Nella
torre in cima alla collina dimenticata viveva un vecchio che nei lontani paesi
conoscevano con l’appellativo di padre
corvo; era un uomo chiuso e schivo che detestava chiunque vedeva dalla sua
finestrella passare in lontananza. Una fanciulla un giorno si trovò sul
sentiero che portava dal suo borgo al fiume che scorre lento e inesorabile
sulla linea del destino, e da lontano voltandosi verso l’orizzonte imperituro
vide la torre del venerando anacoreta. Si accorse che su quella collina non vi
era vegetazione e non si sentiva nemmeno un passero cantare, ebbe timore del
luogo e passò oltre quella tetra visione. Nei boschi attorno alla collina
passarono molte altre creature e una di esse molto affranta dal tedioso proseguire
della vita, senza per questo desistere dal dovere di vivere a cui tutti sono
chiamati dal Creatore e dal suo ordine stabilito, decise di salire l’altura per
incontrare colui che di molte leggende era diventato il centro e l’idea
predominante. Questa creatura diversa dalle altre era un viandante cieco che si
orientava lento e scrutava la realtà circostante con l’occhio oscuro e
recondito della malvagità; il suo pensiero andò a colui che abitava la torre.
Disse dentro di sé con voce roca e sofferta: “Quell’uomo vecchio è l’anima che fugge alla legge della perdizione,
andrò da lui e gli domanderò se vuole cadere nelle tenebre”. Affrettò il
passo e seguì il sentiero impervio, arrivato alla porta chiusa bussò tre volte.
Rispose il venerando: “Chi è che mi
cerca? sono da molto tempo morto al mondo”. Il viandante con atteggiamento
risoluto così parlò: “Sono il diavolo dai
modi gentili e dall’inganno persuasivo, apri la tua porta perché colui che ti
parla è un mietitore e un portatore di sventura”. Il vecchio aprì la porta
e vide un fanciullo biancovestito con una clessidra nella mano sinistra e una
pergamena nella mano destra, la sabbia scorreva nella clessidra dal basso verso
l’alto e sulla pergamena ingiallita vi erano parole impronunciabili che
potevano essere comprese solamente da chi ha odiato il senso della vita e il
suo perdersi nell’eternità. “Perché sei
qui?”, disse il venerando digrignando i denti dalla collera, “Sono qui per farti scappare dalla solitudine
e dal rancore”, e la voce appariva triste e rassegnata mentre il cuore era
intriso di desiderio. La torre dopo pochi istanti crollò e i due si ritrovarono
ciascuno in un mondo diverso, lontani dalla collina e in pianure sconosciute; avvicinandosi
per la prima volta da tante epoche trascorse, furono separati dalla morte. Non
c’è un luogo, per quanto abbandonato e perso nel mondo dei viventi, dove la
morte prima o poi non separi, è la morte che inesorabile pone il suo sigillo sulla
sapienza e sulla follia, questo è il regno della morte e coloro che gli sono sudditi
– anche se
malvolentieri – debbono
obbedire ai suoi decreti, padre corvo
lo sapeva e aspettava rassegnato. Ma nel mezzo del divenire la Vita increata da
millenni arcani aveva già conquistato la vittoria, non tutti lo seppero e
soltanto alcuni furono consolati, soltanto coloro che videro quella luce che
predicatori impavidi chiamano fede, una luce che non può estinguersi e che
rifulge in cima ad alte torri oltre la vanità e il mentire: ciascun uomo che si
converte e piange i suoi peccati è quella torre tanto luminosa.
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