Sub tuum praesídium confúgimus,
sancta Dei Génetrix;

nostras deprecatiónes ne despícias in necessitátibus;
sed a perículis cunctis líbera nos semper,
Virgo gloriósa et benedícta.

mercoledì 17 maggio 2017

La lanterna e lo scrittore

Nella torre in cima alla collina dimenticata viveva un vecchio che nei lontani paesi conoscevano con l’appellativo di padre corvo; era un uomo chiuso e schivo che detestava chiunque vedeva dalla sua finestrella passare in lontananza. Una fanciulla un giorno si trovò sul sentiero che portava dal suo borgo al fiume che scorre lento e inesorabile sulla linea del destino, e da lontano voltandosi verso l’orizzonte imperituro vide la torre del venerando anacoreta. Si accorse che su quella collina non vi era vegetazione e non si sentiva nemmeno un passero cantare, ebbe timore del luogo e passò oltre quella tetra visione. Nei boschi attorno alla collina passarono molte altre creature e una di esse molto affranta dal tedioso proseguire della vita, senza per questo desistere dal dovere di vivere a cui tutti sono chiamati dal Creatore e dal suo ordine stabilito, decise di salire l’altura per incontrare colui che di molte leggende era diventato il centro e l’idea predominante. Questa creatura diversa dalle altre era un viandante cieco che si orientava lento e scrutava la realtà circostante con l’occhio oscuro e recondito della malvagità; il suo pensiero andò a colui che abitava la torre. Disse dentro di sé con voce roca e sofferta: “Quell’uomo vecchio è l’anima che fugge alla legge della perdizione, andrò da lui e gli domanderò se vuole cadere nelle tenebre”. Affrettò il passo e seguì il sentiero impervio, arrivato alla porta chiusa bussò tre volte. Rispose il venerando: “Chi è che mi cerca? sono da molto tempo morto al mondo”. Il viandante con atteggiamento risoluto così parlò: “Sono il diavolo dai modi gentili e dall’inganno persuasivo, apri la tua porta perché colui che ti parla è un mietitore e un portatore di sventura”. Il vecchio aprì la porta e vide un fanciullo biancovestito con una clessidra nella mano sinistra e una pergamena nella mano destra, la sabbia scorreva nella clessidra dal basso verso l’alto e sulla pergamena ingiallita vi erano parole impronunciabili che potevano essere comprese solamente da chi ha odiato il senso della vita e il suo perdersi nell’eternità. “Perché sei qui?”, disse il venerando digrignando i denti dalla collera, “Sono qui per farti scappare dalla solitudine e dal rancore”, e la voce appariva triste e rassegnata mentre il cuore era intriso di desiderio. La torre dopo pochi istanti crollò e i due si ritrovarono ciascuno in un mondo diverso, lontani dalla collina e in pianure sconosciute; avvicinandosi per la prima volta da tante epoche trascorse, furono separati dalla morte. Non c’è un luogo, per quanto abbandonato e perso nel mondo dei viventi, dove la morte prima o poi non separi, è la morte che inesorabile pone il suo sigillo sulla sapienza e sulla follia, questo è il regno della morte e coloro che gli sono sudditi anche se malvolentieri debbono obbedire ai suoi decreti, padre corvo lo sapeva e aspettava rassegnato. Ma nel mezzo del divenire la Vita increata da millenni arcani aveva già conquistato la vittoria, non tutti lo seppero e soltanto alcuni furono consolati, soltanto coloro che videro quella luce che predicatori impavidi chiamano fede, una luce che non può estinguersi e che rifulge in cima ad alte torri oltre la vanità e il mentire: ciascun uomo che si converte e piange i suoi peccati è quella torre tanto luminosa.

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