Sub tuum praesídium confúgimus,
sancta Dei Génetrix;

nostras deprecatiónes ne despícias in necessitátibus;
sed a perículis cunctis líbera nos semper,
Virgo gloriósa et benedícta.

venerdì 31 agosto 2012

L'ultimo giorno


La fine dei tempi è l’ultimo periodo della storia umana, gli esegeti biblici fanno corrispondere la fine dei tempi tra la prima venuta di Cristo e il suo ritorno nella gloria, per il giorno del giudizio: è prossima la fine del mondo? Probabilmente no, ma è molto di là da venire, ancora lontana e misteriosa. Nel Vangelo è scritto che negli ultimi giorni sorgeranno molti falsi profeti, che annunceranno la fine e che le loro previsioni non si realizzeranno, è quello che avviene nel messianismo di molte sette, anche non cristiane, nel corso della storia contemporanea, comunque i falsi profeti non sono mancati neppure nel passato più antico. L’umanità ha senz’altro ancora molto da scrivere nel corso della sua storia futura e il suo crepuscolo è ben al di là di ogni possibile funesta previsione, questa è la mia personale convinzione; pensare alla propria fine terrena è più saggio che congetturare su presunte profezie che annunciano il giorno del giudizio, per ciascuno il giorno del giudizio è il momento della propria morte, il trapasso da questo mondo per l’al di là, saremo tutti giudicati da Dio alla fine della nostra vita terrena e riceveremo il premio o la condanna eterna. L’escatologia cristiana tratta appunto l’argomento delle cose ultime, i cosiddetti novissimi, cioè la morte, il giudizio, il purgatorio, il Paradiso o l’inferno: tutto questo riguarda ogni singola anima nel suo rapporto individuale con Dio e non il mondo nella sua totalità e quindi la storia universale, considerare vanità l’interrogarsi sulla data storica dell’ultimo giorno, è un esercizio di buona saggezza, infatti cosa può importarcene della fine del mondo, sapendo che la nostra fine terrena è inevitabile, magari entro breve tempo? Meglio concentrarsi sui novissimi e pensare al Vangelo come a un messaggio di conversione e salvezza in vista di essi, che sono il nostro fatale e incontrovertibile destino, a cui non possiamo sottrarci nemmeno se lo vogliamo. La contemporaneità pullula di sette annunciatrici di sventura e nel passato recente possiamo ricordare fatti di cronaca che hanno riguardato vere e proprie tragedie della follia, con numerose vittime innocenti; se qualcuno ci dice che sta per arrivare la fine del mondo, che è prossima a venire, non crediamogli perché si tratta senz’altro di un falso profeta che, come emissario delle tenebre, vuole distoglierci dalla sollecitazione per la salvezza eterna della nostra anima e vuole portarci via la virtù teologale della Speranza, i menagrami di questa specie sono semplicemente ministri al servizio di satana, a cui non importa nulla del vero bene delle anime e della Verità rivelata: Gesù con la sua Parola ci ha insegnato a essere prudenti come i serpenti e semplici come le colombe, affinché la menzogna non prenda possesso dei nostri cuori. Il giorno del giudizio è ancora molto lontano, rammentando quello che ci dice la Sacra Scrittura e cioè che per il Signore mille anni sono come un giorno che è trascorso e un giorno come mille anni, dalla prospettiva di Dio che è l’eternità, il tempo ha un valore relativo; l’umanità è ancora nel divenire della sua storia ed è una mia opinione che il Creatore voglia ancora molte anime da salvare e portare in Paradiso: la creazione è ancora in corso d’opera e il futuro una certezza, Cristo tiene in mano le chiavi della storia e la guida con dolcezza e fermezza, il destino non è una fatalità, ma è nelle mani di Dio.

giovedì 30 agosto 2012

La sofferenza rivela la verità di un'anima


La sofferenza ha un grande valore espiativo e redentivo, chi soffre nella carne ha tagliato i ponti con il peccato, dice la Sacra Scrittura; moltissime persone vedono nella sofferenza un male e nel benessere qualcosa a cui tendere per essere veramente felici, ma nella prospettiva di Dio quale è la verità? La sofferenza terrena è davvero il peggiore dei mali? Nelle visioni mistiche di alcuni Santi e di alcune Sante, come nella speculazione filosofica cristiana, la sofferenza soprattutto fisica ma anche mentale, è quel torchio eletto sotto cui il Signore tempra le anime alla virtù, specialmente alla carità, questo è vero se si considera che le persone maggiormente compassionevoli, empatiche, sono quelle che nella vita hanno sperimentato sulla propria pelle la sofferenza e l’hanno accettata con coraggio e onore. Soffrire quindi ha un valore, per quanto sia arduo da comprendere, il male morale lo si espia con la sofferenza, il carattere espiativo, purificatore della sofferenza, ha la sua massima espressione nella Passione e Croce di nostro Signore, Gesù soffrendo con noi e al nostro posto, ci ottiene dal Padre misericordioso la remissione dei peccati, l’emendazione dalla colpa, da tutte le colpe: un atto di amore unito al dolore, è quella goccia onnipotente che scardina le porte dell’inferno e riconduce le anime alla Luce sempiterna della Carità; soffrire significa essere in comunione con il sacrificio di amore al Padre di Gesù, significa unire alla Croce di Cristo la nostra personale sofferenza, per la nostra redenzione e quella del prossimo, il patire è quindi il veicolo privilegiato della Grazia, quel dinamismo oblativo che comunica la Grazia a tutta l’umanità, facendo germogliare e crescere i frutti della benedizione di Dio, innanzitutto la salvezza eterna della nostra anima. Soffrire non è una punizione che viene dall’alto, ma un segno di predestinazione, paradossalmente la dimostrazione che Dio ci ama e ci vuole più vicini al suo Cuore: tutti fuggono la sofferenza, nessuno la vuole e chi soffre è malvisto, nel senso che è considerato dall’opinione comune uno sfortunato, un poveretto da commiserare e pietire vilmente, come sanno fare bene tutti i benpensanti del mondo, quelli che “ consumano ” la vita, che mangiano il piacere e l’orgoglio, che si perdono nelle vanità seduttrici; nell’antichità la sofferenza era il castigo per il peccato, per le opere malvagie, così la pensavano ad esempio i Giudei del tempo di Gesù, quindi chi soffriva in vita soggiaceva alla legge del contrappasso, per cui a uguale peccato corrispondeva uguale tormento, ma il Signore con la sua Parola esprime la Verità della sua Rivelazione, dicendo che chi soffre manifesta in sé stesso le opere di Dio, quindi l’amore e la compassione dovutagli da chi lo incontra, e che c’è un premio oltre la morte per chi patisce, invece il male morale e spirituale, il peccato per intenderci, porta alla sofferenza eterna che è peggio di qualunque malattia terrena e sventura in cui possiamo imbatterci, peggio della morte corporale, questo Gesù ce lo insegna con la parabola del ricco epulone e del povero Lazzaro, nel Vangelo di san Luca. Soffrire significa affinare l’amore e incontrare l’Amore, per partecipare a una vita più alta, che trascende il mondo con i suoi miraggi di felicità, l’Amore di un Dio che ha scelto il patire della sua Passione e della sua Croce, la sua vita nascosta nell’abiezione di Nazaret, l’umiltà e la piccolezza del Bambino di Betlemme, per essere vicino a ogni uomo e a ogni donna, per dimostrare a ciascuno di noi il suo Cuore compassionevole e misericordioso di Padre, la sua predilezione verso ogni povertà umana… per redimerci, per introdurci nel suo Regno di beatitudine: sofferenza e amore, sono la via maestra nel percorso purificatore di ogni figlio di Dio, sono la via dell’elezione di un’anima verso la salvezza eterna.