Anamnesi, ovvero memoria e reminiscenza... il passato che si rende presente alla coscienza vigile e ci realizza dal sottosuolo in cui riposano silenziose ma vigili le idee.
Aristotele, Della memoria e
della reminiscenza: “La passione prodotta dalla sensazione nell’anima e nella parte
del corpo che possiede la sensazione è qualcosa come un disegno... Infatti il movimento
che si produce imprime come un’impronta della cosa percepita, come fanno coloro
che segnano un sigillo con l’anello”.
Platone, Teeteto: “Supponi che
vi sia nella nostra anima una cera impressionabile, in alcuni più abbondante,
in altri meno, più pura negli uni, più impura negli altri... È un dono, diciamo,
della madre delle Muse, Mnemosine: tutto ciò che desideriamo conservare nella
memoria di ciò che abbiamo udito, visto o concepito si imprime su questa cera
che noi presentiamo alle sensazioni o alle concezioni. E di ciò che si imprime
noi ne conserviamo memoria e scienza finché ne dura l’immagine”.
Platone, Fedro: “Questo ha di
terribile la scrittura, simile, per la verità, alla pittura: infatti le
creature della pittura ti stanno di fronte come se fossero vive, ma se domandi
loro qualcosa, se ne stanno zitte, chiuse in un solenne silenzio; e così fanno
anche i discorsi”.
S. Agostino, Confessioni, X, 8:
“Giungo allora ai campi e ai vasti quartieri della memoria, dove riposano i
tesori delle innumerevoli immagini di ogni sorta di cose introdotte dalle
percezioni; dove pure sono depositati tutti i prodotti del nostro pensiero, e
tutto ciò che vi fu messo al riparo e in disparte e che l’oblio non ha ancora
inghiottito o sepolto. Quando sono là dentro, evoco tutte le immagini che
voglio. Alcune si presentano all’istante, altre si fanno desiderare più a lungo,
quasi vengano estratte da ripostigli più segreti. Alcune si precipitano a ondate,
e mentre ne cerco e ne desidero altre, ballano in mezzo, con l’aria di dire:
“non siamo noi per caso?”. E io le scaccio con la mano dello spirito dal volto
del ricordo, finché quella che cerco si snebbia e avanza dalle segrete al mio
sguardo”.
Locke, Saggio sull’Intelletto
Umano, (II, 10, 5), 1690: “Il nostro spirito assomiglia a quelle tombe dove le
iscrizioni sono cancellate dal tempo e le immagini cadono in polvere, anche se
rimangono il bronzo e il marmo”. (2, 10, 7): “La mente si mette spesso al
lavoro in cerca di qualche Idea nascosta, e rivolge ad essa l’Occhio
dell’Anima: perché a volte queste idee sorgono all’improvviso nella nostra
mente di loro spontanea volontà... o spesso sono risvegliate e fatte uscire
dalle loro celle oscure verso la luce da una passione turbolenta e tempestosa”.
Thomas De Quincey, Confessioni
di un Mangiatore d’oppio (1822): “Molti anni fa, mentre guardavo le “Antichità
di Roma” di Piranesi, Coleridge, che mi era accanto, mi descrisse una serie di tavole
di quell’artista, chiamate Sogni, che rappresentano le visioni da lui avute nel
delirio della febbre. Alcune di esse mostrano delle vaste sale gotiche: sul
pavimento si vede ogni sorta di congegni e macchinari, ruote, cavi pulegge,
leve, catapulte, etc, che danno l’idea di un’enorme forza impiegata per vincere
una resistenza. Si vede una scala che corre lungo i muri, e su di essa sale
faticosamente, a tentoni, lo stesso Piranesi: seguite la scala un po’ più in su
e vedrete che termina improvvisamente, senza un parapetto, in modo che chi ne
abbia raggiunto l’estremità, con un altro passo non può che precipitare giù nel
vuoto. Qualunque sia la fine del povero Piranesi, voi pensate che almeno le sue
fatiche debbano in qualche modo finire qui: ma alzate gli occhi, e vedrete una
seconda scala che si inerpica ancor più in alto, e su di essa c’è di nuovo il
Piranesi, ma questa volta proprio sull’orlo dell’abisso. Alzate di nuovo gli occhi
e vedrete un’altra rampa di scale ancora più aerea: e di nuovo il povero
Piranesi si affatica nella sua penosa salita: e sempre così, finché le scale
interrotte e il Piranesi si perdono entrambi lassù nel buio della sala. Allo
stesso modo si formavano, crescevano senza fine e si riproducevano da sole le architetture
dei miei sogni”.
Thomas De Quincey, Il
palinsesto del cervello umano: “Dal profondo dell’oscurità, dal fantastico immaginifico
del cervello tu estrai città e templi, più belli delle opere di Fidia e di
Prassitele dall’anarchia dell’incubo sognante tu richiami alla luce del sole i
volti di bellezze da tempo sepolte”. “Che cos’è il cervello umano se non un
naturale e grandioso palinsesto? Il mio cervello è un palinsesto, come un
palinsesto è il tuo cervello, o lettore! Infiniti strati di idee, immagini,
sentimenti, sono scesi nel tuo cervello leggeri come la luce. Ti è parso che
ogni strato successivo seppellisse tutti i precedenti. Pure, in realtà, non uno
è stato distrutto”.
Sigmund Freud, Nota sul “notes
magico”, 1924: “Sembrerebbe che nei procedimenti di cui ci serviamo per
surrogare la nostra memoria, l’illimitata capacità ricettiva e la conservazione
di tracce mnestiche permanenti siano fra loro incompatibili: o bisogna rinnovare
la superficie ricevente o bisogna distruggere le annotazioni già prese. (...)
Da un po’ di tempo, con il nome di “notes magico”, è entrato in commercio un piccolo
aggeggio che promette prestazioni migliori sia del foglio di carta sia della
lavagna. Non vuole essere nulla di più che un taccuino da cui gli appunti
scritti possono essere cancellati mediante un comodo movimento. Eppure, se lo
si guarda più da vicino, ci si accorge che questo taccuino è costruito in un
modo che presenta mutevoli concordanze con la struttura da me ipotizzata del nostro
apparato percettivo, e che effettivamente può offrire sia una superficie sempre
disposta ad accogliere nuovi appunti, sia le tracce permanenti delle annotazioni
già prese. Questo foglio, che è la parte più interessante del piccolo aggeggio,
consiste a sua volta di due strati separabili uno dall’altro ad eccezione che
nei due spigoli in alto. Lo strato superiore è una pellicola di celluloide
trasparente, quello inferiore un foglio sottile e traslucido di carta incerata.
(...) L’uso di questo notes magico consiste nel prendere annotazioni sulla
pellicola di celluloide del foglio ricoprente la tavoletta incerata. Per far
questo non è necessaria una matita o un pezzo di gesso, dal momento che lo
scrivere non consiste in questo caso nel depositare un certo materiale su una
superficie ricevente. È un po’ come tornare al modo in cui scrivevano gli
antichi, su tavolette di argilla o di cera. Un punteruolo acuminato scalfisce
la superficie, i cui avvallamenti danno luogo alla ‘scrittura’. (...) Nei punti
toccati dal punteruolo lo strato sottostante di carta incerata aderisce alla
tavoletta di cera, e i solchi così ottenuti diventano visibili sulla superficie
della celluloide, altrimenti grigio chiara, con una scritta di colore scuro.
Quando si vogliono eliminare queste scritte, basta prendere il doppio foglio
dal bordo inferiore libero e, con un leggero movimento della mano, sollevarlo
dalla tavoletta incerata. (...) Il notes magico è ora libero da scritte e
pronto ad accogliere nuove annotazioni (...) Eppure è facile constatare che si
è conservata sulla tavoletta di cera la traccia permanente delle cose che erano
state scritte e che, con un’illuminazione appropriata, esse ridiventano
leggibili. Il notes magico non offre dunque soltanto una superficie come quella
della lavagna, che può essere usata ex novo innumerevoli volte, ma offre
altresì di conservare la traccia permanente di ciò che è stato scritto, come un
normale notes di carta (...); esso risolve il problema di unificare queste due
funzioni ripartendole fra elementi (o sistemi) separati, ma fra loro
interconnessi (...) ciò coincide con un’idea che mi sono fatto da molto tempo (...)
riguardo al modo in cui funziona l’apparato percettivo della nostra psiche”.
Charles Dickens, “La storia
nella cera”, 1854: “Ero passato davanti a questo edificio migliaia di volte
senza rendermi mai conto che quella grandezza su cui avevo fantasticato per tutta
la vita era lì, come una presenza visibile: non era solo scolpita nel marmo o ritratta
su tela, ma calata nelle vesti di una vita vissuta: potevo andare vicino ed
esaminarla; girarle attorno da ogni lato; toccarla...”.
Victor Hugo, Parigi, 1867: “Chi
guarda nel fondo Parigi ha una vertigine. (...) Sotto la Parigi attuale, si distingue
l’antica Parigi, come il vecchio testo nelle interlinee del nuovo. (...) Non
c’è nulla di più difficile da penetrare di questa formazione geologica alla
quale si sovrappone la meravigliosa formazione storica che chiamiamo Parigi”.
Freud, Il disagio della
civiltà, 1929: “Dal momento in cui abbiamo superato l’errore di supporre che il
dimenticare cui siamo abituati significhi distruggere la traccia mnestica, sia
cioè un annullamento, propendiamo per l’ipotesi opposta, ossia che nella vita psichica
nulla può perire una volta formatosi, che tutto in qualche modo si conserva e
che, in circostanze opportune, attraverso ad esempio una regressione che si spinga
abbastanza lontano, ogni cosa può essere riportata alla luce. Cerchiamo di
chiarire il contenuto di tale ipotesi ricorrendo a un paragone desunto da un
altro campo. Prendiamo come esempio l’evoluzione della Città Eterna. Gli storici
ci insegnano che la Roma più antica fu la Roma quadrata, un insediamento
cintato sul Palatino. Seguì la fase del Septimontium (...) Non vogliamo
considerare ulteriormente le trasformazioni dell’Urbe; domandiamoci che cosa
possa ancora trovare nella Roma odierna, di tali stadi precedenti, un
visitatore che supponiamo dotato di vastissime conoscenze storiche e
topografiche (...) Salvo poche interruzioni, potrà trovare tratti delle mura aureliane.
In alcuni luoghi potrà trovare tratti delle mura serviane portate alla luce
dagli scavi. (...) Non c’è bisogno di ricordare che tutti questi resti
dell’antica Roma sono disseminati nell’intrico di una grande città sorta negli
ultimi secoli, dal Rinascimento in poi. (...) Facciamo ora l’ipotesi fantastica
che Roma non sia un abitato umano, ma un’entità psichica dal passato similmente
lungo e ricco, un’entità, dunque, in cui nulla di ciò che un tempo ha acquistato
esistenza è scomparso, in cui accanto alla più recente fase di sviluppo continuano
a sussistere tutte le fasi precedenti”.
Walter Pater, Il Rinascimento,
1869 sulla Monnalisa di Leonardo da Vinci: “Tutti i pensieri e tutta l’esperienza
del mondo han lasciato là il loro segno e la loro impronta (...): l’animalismo
della Grecia, la lussuria di Roma, il misticismo del medioevo con la sua
ambizione spirituale e i suoi amori ideali, il ritorno del mondo pagano, i peccati
dei Borgia. (...) Ella è più antica delle rocce tra le quali siede; come il
vampiro, fu più volte morta, e ha conosciuto i segreti della tomba; è discesa
in profondi mari e ne serba intorno a sé una luce crepuscolare (...)”.
T.S. Eliot: Tradizione e
talento individuale, 1919: “Nessun poeta, o artista, ha il suo significato in
se stesso. (...) Non lo puoi valutare da solo, ma devi collocarlo, per contrasto
e confronto, fra i morti. (...). Ciò che accade quando una nuova opera d’arte è
creata è qualcosa che accade simultaneamente a tutte le opere d’arte che
l’hanno preceduta. (...) il passato è alterato dal presente tanto quanto il
presente è diretto dal passato. Il senso storico comporta la percezione non del
passato in quanto passato, ma come presente. (...). Tutta la letteratura
dell’Europa a partire da Omero ha un’esistenza simultanea e compone un ordine
simultaneo. Il senso storico è il senso dell’atemporale tanto quanto del
temporale, come pure dell’atemporale e del temporale insieme. (...) Il poeta...
deve essere consapevole che la mente dell’Europa – la mente della sua stessa
nazione – è una mente che cambia, e che questo cambiamento è un’evoluzione che
non abbandona nulla lungo il cammino, che non rende obsoleti Shakespeare, o
Omero, oppure i graffiti paleolitici. Questo sviluppo, da intendersi forse come
maggiore raffinatezza e senz’altro come progressiva complessità (...) non
rappresenta però per l’artista alcun miglioramento”.