Sub tuum praesídium confúgimus,
sancta Dei Génetrix;

nostras deprecatiónes ne despícias in necessitátibus;
sed a perículis cunctis líbera nos semper,
Virgo gloriósa et benedícta.

lunedì 18 agosto 2014

Breve storia della follia

La follia è come il senso della vita, non la capisci nella sua sconcertante profondità finché non ti ammali e rinsavisci.

Il concetto di follia affonda le sue radici fin dall’antichità, emblematico è l’esempio del filosofo greco Socrate che circa nel 500 a.C. ne parla definendo la follia come un grave errore di giudizio, e utilizzando la metafora dell’uomo che si getta giù da un alto dirupo con la convinzione di potersi librare in volo come un uccello, e che pochi istanti dopo si sfracella al suolo, quindi per Socrate la follia non è altro che una qualsiasi espressione umana contraria alla retta ragione, non è qualcosa che concerne le convenzioni sociali o il conformismo alla massa, ma bensì qualcosa che sfugge al senso comune del bene e del lecito, qualcosa che si trova al di fuori della saggia norma di vita, al di là del bene e del male; il folle a causa del proprio dramma irresolubile, osservando dalla sua prospettiva distorta non comprende la realtà, e non la può comprendere nemmeno se qualcun altro si prende a cuore il compito di spiegargliela con accuratezza, perché è diventato estraneo al mondo e non vuole tornare indietro, anzi non può. Qualcuno sostiene che la schizofrenia è una malattia mentale cronica che accompagna l’umanità fin dai tempi più remoti con una serie di manifestazioni variabili, se ne trova un caso esemplare anche nella Bibbia con il personaggio non inventato ma storico di Nabucodonosor; riguardo a questo famoso sovrano di Babilonia si è perfino teorizzato il mito della licantropia, una malattia inventata il cui sintomo specifico è la convinzione insopprimibile di essere un animale selvatico, che porta il povero ammalato a comportarsi di conseguenza. Ma lasciamo perdere le cialtronerie a arriviamo subito subito ad un’epoca prossima alla nostra, con la realizzazione dei primi manicomi nella Francia di qualche secolo fa, intendiamoci che qui non si fa riferimento all’istituzione totale segregativa dei manicomi più recenti, ma di tutt’altra cosa; i primi manicomi erano concepiti come cittadelle ideali, o cittadelle sanitarie, dove le persone potevano trovare la felicità nel contesto di un microcosmo protetto estraneo a una società corrotta e invivibile, non erano pensati come ospedali o sanatori in cui venivano ricoverati i malati, ma erano l’eureka che andava realizzandosi sulle rovine di un vecchio mondo, di un vecchio sistema, furono il tentativo maldestro di realizzare una nuova civiltà paradisiaca per l’umanità del futuro. Con il tempo purtroppo si rivelarono il ricettacolo della più bieca emarginazione e dell’abbandono, nel manicomio finivano internati dalle autorità statali e locali, con la sola finalità di appartare le diversità o meglio tutto quello che non era omologato all’idea di normalità condivisa dai benpensanti, un numero sempre crescente di indigenti, di disabili con un aspetto poco conforme ai canoni della bellezza, di ammalati nel corpo e nella mente, storpi e deformi, idioti, delinquenti recidivi o pazzi, anziani non autosufficienti, fanciulli rifiutati dalle famiglie d’origine per svariati motivi e chiunque non fosse di pubblico gradimento. Concludo dicendo che storicamente la “ mission ” della psichiatria è sempre stata il controllo e la repressione della persona intollerabile, che sovverte le regole imposte dall’etichetta di una mentalità conformista e illiberale; se non si riesce a controllare e reprimere, ovviamente con l’uso mascherato e perbenista della violenza, del sopruso e della cosiddetta responsabilità di ruolo del medico, si tenta di sopprimere come un animale l’inconsapevole paziente oramai divenuto col trascorrere del tempo debole e vulnerabile, lo si elimina fisicamente, oppure l’alternativa immediata è agire come nel celebre film: “ Qualcuno volò sul nido del cuculo ” (1975), interpretato dal grande attore cinematografico statunitense Jack Nicholson, che per quanto ne so da non molto tempo ci ha lasciati per una vita migliore, costretto dalla veneranda età di settantasette anni; R.I.P. my dear friend. Attenzione! è doveroso specificare che la pagina tratta d’una anamnesi crudele che appartiene a un passato oscuro e vergognoso che non deve tornare, e che è bene non rievocare per stemperare un doloroso trauma collettivo.

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