Sub tuum praesídium confúgimus,
sancta Dei Génetrix;

nostras deprecatiónes ne despícias in necessitátibus;
sed a perículis cunctis líbera nos semper,
Virgo gloriósa et benedícta.

mercoledì 24 ottobre 2012

La santità dei laici, in un medico esemplare


San Giuseppe Moscati, medico e laico; nato a Benevento il 25 luglio 1880, morto il Martedì santo del 12 aprile 1927 a Napoli.

Queste che seguono sono parole colme di significato, tratte da alcuni suoi scritti risalenti a diversi frangenti della sua vita, che manifestano il suo cuore e la sua personalità.
Il suo più alto insegnamento: “Ama la verità; mostrati qual sei, e senza infingimenti e senza paure e senza riguardi. E se la verità ti costa la persecuzione, e tu accettala; e se il tormento, e tu sopportalo. E se per la verità dovessi sacrificare te stesso e la tua vita, e tu sii forte nel sacrificio”.
Il 17 gennaio 1922 scrive: “Gli ammalati sono le figure di Gesù Cristo. Beati noi medici, tanto spesso incapaci di allontanare una malattia, beati noi se ci ricordiamo che oltre ai corpi abbiamo di fronte delle anime immortali, divine, per le quali urge il precetto evangelico di amarle come noi stessi”.
A Lourdes il 6 agosto 1923: “Attorno alla grotta non manca mai gente. Durante queste funzioni l’immagine della Vergine, al punto stesso ove appare, diviene supremamente bella”.
A Torino, davanti alla statua dell’Addolorata: “La vita è per me un dovere; voi radunate le mie scarse forze per convertirle in apostolato. Troppo la vanità delle cose, l’ambizione forse, mi hanno deviato, mi hanno fatto apparire più forte d’intelletto e di scienza di quello che sono!”.
Quando durante i suoi viaggi all’estero non può fare la comunione eucaristica, annota nel suo diario: “Oggi, mio Dio, sono stato senza di te”.
Nel giorno di Pentecoste del 1919: “Il vostro amore, o Gesù, mi volge non verso una creatura, ma verso tutte le creature, all’infinita bellezza di tutti gli esseri creati a vostra immagine e somiglianza”.
Lettera del 6 ottobre 1921: “Quali che siano gli eventi, ricordatevi di due cose: Dio non abbandona nessuno. Quanto più vi sentite solo, trascurato, vilipeso, incompreso, e quanto più vi sentirete presso a soccombere sotto il peso di una grave ingiustizia, avrete la sensazione di un’infinita forza arcana, che vi sorregge, che vi rende capace di propositi buoni e virili, della cui possanza vi meraviglierete, quando tornerete sereno. E questa forza è Dio! Di un’altra cosa dovrete ricordarvi, ed è che non bisogna accasciarsi, ma mettere in pratica una delle quattro virtù cardinali, la fortezza. Accasciarsi significa giustificare le ragioni, che gli altri accampano per imporci un orientamento piuttosto che un altro”.
Dal diario, un momento di grande difficoltà: “Io sono in preda ad un estremo esaurimento e una stanchezza mortale, perché dagli anni della guerra ad oggi è un continuo lavoro e una serie di emozioni per me! […] Passo le notti insonni; ho lasciato trascorrere l’opportunità della ratifica della docenza. Forse la conseguirò nella prossima tornata del corso superiore”.
Da una lettera datata 22 luglio 1922: “Non la scienza ma la carità ha trasformato il mondo… Solo pochissimi uomini sono passati alla storia per la scienza, mentre tutti potranno rimanere imperituri se si dedicheranno al bene”.
Da un frammento trovato da un biografo: “Il dolore va trattato non come un guizzo o una contrazione muscolare, ma come il grido di un’anima, a cui un altro fratello, il medico, accorre con l’ardenza dell’amore, la carità”.
Da una lettera del 1921 ad un suo allievo: “Ricordatevi che, seguendo la medicina, vi siete assunto la responsabilità di una sublime missione. Perseverate, con Dio nel cuore. […] con amore e pietà pei derelitti, con fede e con entusiasmo, sordo alle lodi e alle critiche, tetragono alla invidia, disposto solo al bene”.
Da una lettera scritta pochi giorni prima di morire: “Come mi commuove, maestro, la vostra fede nella nobile missione della nostra scienza! E come la parola vostra si riscalda e si avviva di luce quando la invocate non solo nei pensieri di sollievo fisico, ma di bontà, ed educatrice di morale. Leggendovi, io penso ai sublimi detti di S. Paolo: ‘Potete muovere le montagne, ma se non avete la fiamma della carità, voi non valete niente!’. Tanti maestri frigidi, impregnati di scienza alemanna, taciturni, che non stimolano all’entusiasmo, che non trascinano nei momenti opportuni gli allievi all’amore per lo studio e la ricerca, che non sanno educare… svaniranno dalla memoria!”. 

sabato 20 ottobre 2012

Il quarto d'ora d'orazione


Quindici minuti con Gesù, di sant’Enrico de Ossò (questo testo è una meditazione riveduta e attualizzata).

Gesù parla affettuosamente al tuo cuore...«Non è necessario, figlio mio, saper molto per farmi piacere. Basta che tu abbia fede e che ami con fervore. Se vuoi farmi piacere ancora di più, confida in me di più, se vuoi farmi piacere immensamente, confida in me immensamente. Allora parlami come parleresti con il più intimo dei tuoi amici, come parleresti con tua madre o tuo fratello. 
Vuoi farmi una supplica in favore di qualcuno? Dimmi il suo nome, sia quello dei tuoi genitori, dei tuoi fratelli o amici, o di qualche persona raccomandata… Dimmi subito cosa vuoi che faccia adesso per loro. L’ho promesso: “Chiedete e vi sarà dato: chi chiede ottiene”. Chiedi molto, molto. Non esitare nel chiedere. Ma chiedi con fede, perché io ho dato la mia parola: “Se aveste fede quanto un granellino di senapa, potreste dire al monte: levati e gettati nel mare ed esso vi ascolterebbe. Tutto quello che domandate nella preghiera, abbiate fede di averlo ottenuto e vi sarà accordato”. Mi piacciono i cuori generosi che in certi momenti sono capaci di dimenticare sé stessi, per pensare alle necessità degli altri. Così fece mia Madre a Cana in favore degli sposi, quando nella festa dello sposalizio è venuto a mancare il vino. Mi chiese un miracolo e l’ottenne. Così fece anche quella donna cananea che mi chiese di liberare la figlia dal demonio, ed ottenne questa grazia specialissima. Parlami dunque, con la semplicità dei poveri, di chi vuoi consolare, dei malati che vedi soffrire, dei traviati che vorresti tornassero sulla retta via, degli amici che si sono allontanati e che vorresti vedere ancora accanto a te, dei matrimoni disuniti per i quali vorresti la pace. Ricorda Marta e Maria quando mi supplicarono per il fratello Lazzaro ed ottennero la sua risurrezione. Ricorda santa Monica che, dopo avermi pregato durante trent’anni per la conversione del figlio, grande peccatore, ottenne la sua conversione e diventò il grande sant’Agostino. Non dimenticare Tobia e sua moglie che con le loro preghiere ottennero fosse loro inviato l’arcangelo Raffaele per difendere il figlio in viaggio, liberandolo dai pericoli e dal demonio, per poi farlo ritornare ricco e felice affianco dei suoi familiari. Dimmi anche una sola parola per molte persone, però che sia una parola d’amico, una parola del cuore e fervente. Ricordami che ho promesso: “Tutto è possibile per chi crede. Il Padre vostro che è nei cieli darà cose buone a quelli che gliene domandano! Tutto quello che chiederete al Padre nel mio Nome, ve lo concederà”.
E per te, hai bisogno di qualche grazia? Se vuoi, fammi una lista delle tue necessità e vieni a leggerle in mia presenza; ricorda il caso del mio servo Salomone, mi chiese la saggezza e gli fu concessa in abbondanza. Non dimenticare Giuditta che implorò grande coraggio e l’ottenne. Tieni presente Giacobbe che mi chiese prosperità (promettendomi di dare in opere buone la decima parte di quanto avesse avuto) e gli fu concesso molto, generosamente, tutto quello che desiderava e ancor di più. Sara mi pregò ed io allontanai il demonio che la tormentava. Maddalena pregò con fede e la liberai dalle brutte abitudini. Zaccheo con la preghiera si liberò dal dannoso attaccamento al denaro e si trasformò in uomo generoso. E tu… cosa vuoi che ti conceda? Dimmi sinceramente se sei orgoglioso, se ami la sensualità e la pigrizia. Se sei egoista, incostante. Se trascuri i tuoi doveri. Se giudichi severamente il tuo prossimo, dimenticando la mia proibizione: “Non giudicate per non essere giudicati; non condannate e non sarete condannati”. Dimmi se parli senza carità degli altri. Che ti preoccupi di più di quello che pensano gli altri di te che di quello che “pensa Dio”. Che ti lasci dominare dalla tristezza e dal malumore. Che rifiuti la tua vita, la tua povertà, i tuoi mali, il tuo lavoro, il modo come ti trattano, dimenticando quello che dice il Libro Santo: “Dio dispone tutte le cose per il bene di quelli che lo amano”. Dimmi se hai l’abitudine di dire bugie, che non domini il tuo sguardo né la tua immaginazione, che preghi poco senza fervore, che le tue confessioni sono fatte senza dolore e senza l’intenzione di evitare poi le occasioni di peccato, e per questo cadi sempre nelle stesse mancanze. Che la Messa la segui male e le comunioni le fai senza preparazione e con poche azioni di grazia. Che sei pigro e hai paura dell’apostolato. Che qualche volta passi alcuni giorni senza leggere neanche una pagina della Bibbia… Ed io ti ricorderò i miei insegnamenti che porteranno una trasformazione totale nella tua vita. Ti dirò ancora: “Dio umilia gli orgogliosi, ma gli umili colma di grazie…”. “Se trascuri i piccoli doveri trascurerai anche quelli grandi. Di ogni parola dannosa che uscirà dalla vostra bocca, dovrete rendere conto nel giorno del giudizio. Beati quelli che ascoltano la parola del Signore e la mettono in pratica”. Non ti vergognare, povera anima! Ci sono in Cielo molti giusti e tanti santi di prim’ordine che hanno avuto gli stessi tuoi difetti. Ma pregarono con umiltà e a poco a poco si sono liberati di essi. Perché “non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori”, e perché “Dio non rifiuta mai un cuore umiliato e pentito. Il miglior dono per Dio è un cuore pentito”. E non esitare neanche nel chiedermi doni spirituali e materiali. Salute, memoria, simpatia, successo nel lavoro, negli studi e negli affari. Andare d’accordo con tutte le persone. Nuove idee per i tuoi affari, amicizie che ti siano utili, buon carattere, pazienza, allegria, generosità, amore per Dio, odio al peccato… Tutto questo posso darti e ti do, e desidero che tu mi chieda, sempre e quando favorisca la tua santità e non si opponga ad essa. Ma in tutto devi sempre ripetere la mia preghiera nell’orto: “Padre, non ciò che io voglio, ma ciò che vuoi tu”. Perché molte volte quel che chiede una persona non conviene per la sua salvezza, ed allora nostro Padre gli concede altri doni che gli faranno maggior bene.
E per oggi? Che ti occorre? Cosa posso fare per il tuo bene? Se tu sapessi il desiderio che ho di favorirti. Ho dato da mangiare a cinquemila persone con solo cinque pani, perché ho visto che ne avevano bisogno. Ho calmato la tempesta quando gli Apostoli mi svegliarono. Ho risuscitato la figlia di Giairo quando suo padre mi chiese di farlo. Anche tu dovrai ripetere col profeta: “Chi si è rivolto al Signore e non è stato ascoltato?”.
Hai adesso fra le mani qualche progetto? Raccontami nei dettagli. Cosa ti preoccupa? Cosa pensi di fare? Cosa vuoi? Come posso aiutarti? Magari ricordi sempre la frase del salmista: “Quel che ci porta al successo non sono i nostri affanni. Quel che ci porta al successo è la benedizione di Dio. Raccomandati a Dio nelle tue preoccupazioni e vedrai realizzarsi i tuoi buoni desideri”. Gli israeliti desideravano occupare la terra promessa. Mi supplicarono e lo concessi; David voleva vincere Golia, mi pregò e l’ottenne; i miei Apostoli volevano che aumentassi la loro fede, mi chiesero questo favore e lo concessi con enorme generosità. E tu… cosa vuoi che ti conceda?
Cosa posso fare per i tuoi amici? Cosa posso fare per i tuoi superiori, per le persone che vivono nella tua casa, nel tuo quartiere, che trovi nel tuo cammino, per le persone delle quali dovrai rendere conto nel giorno del giudizio? Geremia pregò per la città di Gerusalemme e Dio la colmò di benedizioni; Daniele pregava per i suoi connazionali ed ottenne che diminuissero molte loro pene. E tu, cosa mi chiedi per i tuoi vicini di casa, per il tuo quartiere, per la tua regione, per la tua patria…?
E per i tuoi genitori? Se sono già morti ricorda che è “un’opera santa e buona pregare Dio per i morti, perché riposino dalle loro pene”. E se sono ancor viventi, cosa vuoi per loro? Più pazienza nelle loro pene, nei loro problemi di salute? Un carattere piacevole? Comprensione in famiglia? Le preghiere di un figlio non possono essere respinte da chi, a Nazareth, per trent’anni è stato esempio di amore filiale.
C’è qualche familiare che ha bisogno di qualche favore? Prega per lui o per lei e io farò della tua famiglia un tempio d’amore e di conforto, e verserò a mani piene sui tuoi familiari le grazie e gli aiuti necessari per essere felici nel tempo e nell’eternità.
E per me? Non desideri da me grazia e amicizia? Non vorresti fare del bene al tuo prossimo, ai tuoi amici, a chi ami forse molto, ma che vivono lontani dalla religione o non la praticano nel modo giusto? Sono padrone dei cuori che, rispettando la loro libertà, porto dolcemente verso la santità e l’amore di Dio. Ma ho bisogno di persone che preghino per loro. Nel Vangelo ho lasciato questa promessa: “Il Padre vostro celeste darà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono”. Chiedimi per i tuoi familiari quel buono Spirito, che si ricordino dell’eternità che li aspetta, di prepararsi un buon tesoro in cielo facendo in questa vita moltissime opere buone e pregando ininterrottamente. Lavorando per la salvezza della tua famiglia e degli altri non dimenticare mai la stupenda promessa del profeta: “Coloro che avranno indotto molti alla giustizia, risplenderanno come le stelle per sempre”.
Sei forse triste e di malumore? Raccontami. Raccontami, anima sconsolata, le tue tristezze in ogni dettaglio. Chi ti ha ferito? Chi ha ferito il tuo amor proprio? Chi ti ha disprezzato? Dimmi se ti va male nel tuo lavoro e io ti dirò le cause del tuo insuccesso. Non vorresti che mi occupassi di qualcosa per te? Avvicinati al mio cuore che ha un balsamo efficace per tutte le ferite del tuo cuore. Raccontami tutto e in breve mi dirai che, come me, tutto perdoni e tutto dimentichi, perché “le pene di questa vita non sono comparabili con l’immensa gioia che ci attende quale premio dell’eternità”. Senti l’indifferenza di persone che prima ti hanno voluto bene, ma che ora ti dimenticano e si allontanano da te senza motivo? Prega per loro. Il mio amico Giobbe pregò per quelli che con lui sono stati ingrati, e la bontà divina li perdonò, e li fece tornare alla sua amicizia.
Vuoi raccontarmi qualche gioia? Perché non mi fai partecipe di essa, come buon amico? Raccontami quello che da ieri o dalla tua ultima visita a me ha consolato e ha fatto sorridere il tuo cuore. Forse hai avuto gradevoli sorprese. Magari sono sparite certe angosce o paure per il futuro. Hai superato qualche ostacolo, oppure, sei uscito da qualche difficoltà impellente? Tutto questo è opera mia, io ti ho procurato tutto questo. Quanto mi rallegrano i cuori grati che, come il lebbroso guarito, tornano per ringraziare, ma molto mi rattristano gli ingrati che, come i nove lebbrosi del Vangelo, non tornano per ringraziare per i benefici ricevuti. Ricorda che “Chi ringrazia per un beneficio ottiene che gli si concedano degli altri”. Dimmi sempre un “grazie” con tutto il cuore.
E poi… non hai qualche promessa da farmi? Già lo sai che leggo nel fondo del tuo cuore. Gli umani si ingannano facilmente. Dio no. Parlami allora con sincerità. Hai il fermo proposito di non esporti più a quella occasione di peccato? Di privarti di quel giornale, rivista, film, programma televisivo che danneggia la tua anima? Di non leggere quel libro che ha eccitato la tua immaginazione? Di non trattare con quella persona che ha turbato la pace della tua anima? Di stare in silenzio quando senti che arriva la collera? Perché “Gli imprudenti dicono quello che sentono dentro di sé quando sono di malumore, ma i prudenti rimangono sempre in silenzio quando sono di malumore, e sanno dissimulare le offese ricevute”. Vuoi fare il buon proposito di non parlare male di nessuno, anche quando credi che quel che dici è la verità? Di non lamentarti perché è dura la vita? Di offrirmi le tue sofferenze in silenzio invece di andare in giro rinnegando le tue pene? Di lasciare ogni giorno un piccolo spazio per leggere qualche cosa che ti sia di profitto, specialmente la Bibbia? Così diranno anche di te: “Chi ascolta la parola di Dio e la mette in pratica, sarà come una casa costruita sulla roccia, non crollerà”.  Sarai ancora amabile con le persone che ti hanno trattato male? Avrai d’ora in poi un volto allegro ed un sorriso amabile? Anche con quelli che non hanno molta simpatia per te? Ricorda le mie parole: “Se saluti solo quelli che ti amano, che merito ne hai? Anche i cattivi fanno così. Perdona e sarai perdonato. Un volto amabile rallegra i cuori degli altri”.
E adesso ritorna alle tue occupazioni… Ma non dimenticare questi quindici minuti di gradevole conversazione, che abbiamo avuto qui nella solitudine del Santuario. Conserva più che puoi il silenzio, la modestia e la carità con il prossimo. Ama mia Madre, che è anche madre tua. Ricorda che essere buon devoto della Vergine Maria è segno di sicura salvezza»

Enrico de Ossò nacque a Vinebre (diocesi di Tortosa, provincia di Tarragona) il 16 ottobre 1840. Morì improvvisamente nel convento francescano di Santo Spirito, a Gilet (Valencia), il 27 gennaio 1896.
Sant’Enrico de Ossò, sacerdote catalano canonizzato da Giovanni Paolo II il 16 giugno 1993 a Madrid, sin dai suoi anni di seminarista si dimostrò “catechista geniale”. Attraverso i bambini riuscì a trasformare l’ambiente della città di Tortosa.
Promosse in tutta la Spagna la devozione a santa Teresa d’Avila, fondando l’arciconfraternita Teresiana. Pubblicò diversi libri di pietà e di pedagogia, subito diventati celebri, fra cui Il quarto d’ora d’orazione (Quindici minuti) e la Guida pratica del catechista.
A Tarragona, nella Catalogna, fondò la Compagnia di santa Teresa di Gesù, congregazione religiosa femminile dedita alla preghiera e all’educazione ed oggi estesa in tutta la Spagna, in Portogallo, in Italia, in Francia, nelle Americhe e in alcuni luoghi dell’Africa e dell’Asia.

sabato 13 ottobre 2012

Contro lo stigma, per una cultura di pace

Definire lo stigma è un’impresa difficile, perché occorre cercare nel cuore delle persone quello che più disattende i loro canoni della normalità, o meglio della banalità; ogni persona è contraddistinta da delle particolarità che gli sono proprie e a maggior ragione bisognerebbe decifrare lo stigma come differenziazione tra gli individui, piuttosto che tra le categorie di individui, ma tutti noi sappiamo che la natura umana porta gli individui ad appartenere a specifici gruppi sociali, distinti da altri gruppi e dagli altri soggetti: la socialità umana restringe le persone ad omologarsi entro determinati gruppi esclusivi, in cui rientrano comportamenti e particolarità che distinguono l’ente sociale da altri enti e da altre persone, che non condividono le medesime caratteristiche. Lo stigma è costituito e realizzato nel contesto della socialità, cioè del gruppo sociale omologato, è in quell’ambito che si definiscono le diversità, quindi il pregiudizio: il diverso non appartiene alla società, perché non rientra nei canoni comunemente condivisi e accettati, è una sociologia simile alla distinzione tra le caste in certe culture orientali, dove il paria è semplicemente l’anomalo, il diverso. La diversità può essere costituita dal colore della pelle, dalla religione, dalla salute personale, fisica o mentale, dalla corporazione professionale di appartenenza, dalla classe sociale, etc.; insomma tutto quello che fa diversità potenzialmente è sul versante di diventare stigma, potenzialmente… è già stigma! Ciò dipende dalle convinzioni etiche dei singoli e dalla personale intolleranza alla diversità, intesa come pregiudizievole inferiorità sociopatica. Nello stigma il gruppo emargina e il singolo è emarginato, si tratta di una ignobile forma di violenza dei forti sul debole, quanto di più vigliacco e meschino in ambito sociale; è la cultura sociale che deve cambiare, attraverso l’educazione dei singoli, una cultura sociale in cui le diversità sono considerate, e diventano sul piano effettivo dei valori, una ricchezza collettiva, un bene da condividere con la solidarietà e la reciproca accettazione: una cultura simile è contro ogni forma di violenza e la si può propriamente definire cultura della pace. Lo stigma è la considerazione del prossimo come di un nemico dalle fattezze anormali, è davvero l’anticamera del conflitto sociale e dell’ingiustizia, per combatterlo efficacemente occorre molta intelligenza e preparazione morale; lo stigma può essere sconfitto se i giovani vengono educati ai valori autentici della vita, soprattutto attraverso una onesta educazione religiosa, che lasci da parte ogni fondamentalismo e ogni implicazione di violenza e di dominio sugli altri, una educazione religiosa in cui essere liberi di credere e di amare, forze che devono diventare le prerogative per la costruzione di un mondo nuovo. Le religioni hanno un grande potenziale di pace, ma questo è veramente possibile se i fedeli sono educati allamore, se i fedeli accettano l’amore come l’espressione più alta della propria fede e rinnegano lo stigma: la Carità non ammette diversità che non siano altro che una ricchezza e il dono delle persone alle persone, un dono reciproco di sé stesse agli altri e viceversa, ma la guerra e l’odio nel corso della storia hanno portato alla deriva questo grande ideale di pace, è necessario riconquistarlo con la formazione delle nuove generazioni, costruendo in questo modo una civiltà umana migliore, aperta al futuro e a favore della vita… stigmatizziamo l’intolleranza nelle sue forme più bieche, tra queste c’è il razzismo: apparteniamo tutti alla grande famiglia umana e dobbiamo agire tra di noi in spirito di fratellanza, lo stigma è l’esatto opposto, è ignoranza e paura delle diversità, la paura è il presupposto alla violenza: ognuno con saggezza dica il proprio no!

lunedì 8 ottobre 2012

La predestinazione è un falso teologico


In ambito protestante ha larga adesione la teologia della predestinazione, secondo cui ci sono anime che sono destinate fin dall’eternità alla salvezza e tutte le altre alla perdizione, una teologia in cui i giochi sono già fatti, poiché è già tutto scritto; questa concezione è del tutto sbagliata, in quanto non esiste predestinazione all’inferno, tutte le anime sono create da Dio per la partecipazione alla beatitudine del Paradiso, fin dall’eternità, l’inferno è una tragica conseguenza del rifiuto di alcune anime di Dio e del suo Amore, il rifiuto di credere e di convertirsi: tutti sono predestinati alla salvezza, nessuno escluso e la perdizione è la conseguenza del peccato, il tremendo mistero del libero arbitrio umano, quindi non ci sono anime elette, anime migliori di altre, poiché davanti al Signore tutte le anime hanno il medesimo valore, sono infinitamente amate e infinitamente desiderate in Paradiso. C’è differenza tra giustificazione e grazia, alcuni protestanti sostengono che per salvarsi basta la fede senza la grazia, appunto giustificati mediante la fede, per usare un’espressione propria di san Paolo Apostolo, ma nella realtà la fede non basta, è sufficiente la considerazione che anche satana e i demòni posseggono la fede, ma tutti noi sappiamo in che condizione essi si trovano, sono all’inferno; per salvarsi è necessaria la grazia e la grazia santificante, che ciascun fedele riceve con il sacramento del Battesimo e poi rinnova nel corso della vita con il sacramento della Confessione o Riconciliazione, è ovvio che la grazia si può perdere e perdere la grazia con il peccato mortale significa morire fuori dall’economia dell’amore di Dio e dannarsi eternamente nell’inferno. Quindi giustificati per la fede e salvati dalla grazia che ci è comunicata dall’amore di Dio, attraverso la vita, la passione, la croce, la morte e la risurrezione del suo Figlio Gesù: la redenzione della nostra anima è frutto esclusivo dell’infinita misericordia del Padre nel suo Figlio Gesù Cristo, fuori da questa economia non c’è salvezza, ma soltanto inganno e menzogna, perdizione. L’incarnazione del Verbo nel seno della Vergine Maria è il cardine della nostra predestinazione alla salvezza, il Padre vede in Gesù suo Figlio, ogni creatura umana come il proprio figlio e ci redime dal peccato, ci toglie il peccato, ci strappa dalla tirannia del maligno e ci innesta nel suo Regno eterno, nella pace e nella beatitudine: queste sono le Verità fondamentali della nostra fede e sono una profonda realtà spirituale, ma occorre credere, perché senza la fede non si può piacere a Dio, comunque più importante è l’amore che va all’unisono con la grazia, la Carità è la grazia e la Carità è Dio nel suo mistero trinitario, Padre e Figlio e Spirito Santo.