Demonologia
e prassi dell’esorcismo e delle preghiere di liberazione nella Chiesa latina (
libro con finalità pedagogiche liberamente tratto dal web di cui si omettono
autore e luogo )
Questo opuscolo riflette
integralmente – con poche necessarie correzioni – il testo delle dispense di un
corso tenutosi negli anni 2001-2003 presso lo Studio Teologico Interdiocesano,
affiliato alla Facoltà Teologica dell’Italia Centrale. Il corso era concepito
come “modulo” di poche ore all’interno del corso di Teologia Pastorale, ha
quindi un carattere teoretico–pratico finalizzato a fornire a dei giovani
aspiranti al presbiterato, per lo più già diaconi, e a tutti quei fedeli interessati
che ritengono l’argomento di fondamentale importanza, alcune necessarie e
succinte informazioni su un punto molto delicato e controverso, ma certamente
ormai non più marginale per quanto concerne la dottrina teologica e la pastorale, ci riferiamo alla demonologia e alla pratica della
liberazione.
Della scuola il testo conserva
tutti i pregi e i difetti: stile “parlato”, carattere molto sintetico e poco
organico… Sarebbe bene metterlo a disposizione di un pubblico più vasto.
Rileggendolo mi si è affacciato alla memoria l’antico detto «cetera
desiderantur», a cui si è però immediatamente affiancato il trito «l’ottimo è
nemico del bene». Dato il vuoto teologico che circonda l’argomento penso
effettivamente che anche queste brevi e scarne note, che non hanno nessuna
pretesa né di originalità, né tanto meno di completezza possano svolgere una
loro benefica funzione. Se non altro quella di introdurre alla materia e di
dare delle primissime informazioni.
Oltre che dalla scuola il testo
è supportato dall’esperienza pastorale. Sono stato infatti incaricato dal mio
Ordinario di coadiuvarlo nelle questioni riguardanti la celebrazione degli
esorcismi e ho svolto questo ministero per più di dieci anni nella mia diocesi.
Solo ora sono stato sollevato dall’incarico per ragioni di salute. Continuerò
però a tenere il corso (che si affianca alla materia di cui sono docente
stabile: la metafisica) e quindi – spero – ad approfondire e integrare.
Un sentito ringraziamento ai
colleghi che mi hanno chiesto di tenere il corso e agli studenti che hanno
seguito e partecipato con straordinario interesse.
1. Teologia degli angeli e dei
demóni
Si impone un punto di partenza
teologico–speculativo per due ragioni.
Una di carattere generale: il
legame teoria–prassi in campo teologico è troppo stretto perché si possa
procedere semplicemente “dando per scontato” il presupposto teorico.
L’altra di valore più
circostanziale riguarda la particolare situazione della demonologia (a cui è
strettamente connessa l’angelologia) nell’attuale economia degli studi
teologici. Molto semplicemente: si tratta di argomenti che – per lo più – non
sono trattati.
1.1 Gli angeli: a che cosa
servono?
Fino a qualche tempo fa si
poteva parlare di una situazione di crisi della credenza negli angeli. Oggi il
panorama è assai cambiato.
I problemi per il credente (e,
a maggior ragione, per il non credente) sono due: ci sono? E, se ci sono, a che
servono? Cioè: che cosa cambia nella mia vita se credo alla presenza degli
angeli? Io inizierei dal secondo dei quesiti. Siamo infatti abituati a
impostare così i problemi da una certa mentalità. Ci interessa ciò che serve.
Giudicare tutto dal punto di vista dell’utile. E dell’utile immediato.
Incomincio di qui, ma proprio
per contestare questo punto di partenza. Con i problemi della fede (e non solo
con quelli…) dobbiamo rovesciare il discorso. Non ci credo perché serve, ma
certamente serve perché ci debbo credere. Dio non rivela cose inutili. In
effetti il mistero di Dio e della sua provvidenza appare in ben altra
prospettiva se lo vedo circondato dalle schiere degli angeli adoratori e
messaggeri. Così come il mistero del male acquisisce spessore e profondità
nuove se ammetto che la sua «centrale» si situa in una dimensione «altra»
rispetto a quella soltanto umana.
1.2. Esistono?
Ma ci debbo veramente credere?
Cioè Dio lo ha veramente rivelato? Prima di affrontare direttamente il problema
dal punto di vista della Rivelazione, poniamoci un problema: è l’unica fonte?
a) Indizi
1. La prima cultura che ha ignorato
o respinto il mondo angelico è quella del razionalismo europeo del XVIII
secolo. La credenza in esseri intermedi è universale, nel tempo e nello spazio.
2. Questo interesse non
abbandona neppure l’Occidente illuminista e post–illuminista. «Ernst Bloch ha
distinto nella storia del marxismo una “corrente fredda” che sottolinea il
materialismo e il razionalismo, e una “corrente calda” che insiste sul novum
radicale dell’utopia rivoluzionaria. Un’analoga distinzione sembra presente
nella storia della spiritualità massonica, dove coesistono una “corrente fredda”
razionalista e scettica, con una gamma di variazioni che va dal deismo
illuministico all’ateismo, e una “corrente calda” irrazionalistica e
interessata a tutti i tipi di occultismo»[1].
3. Anche l’interesse per gli extraterrestri testimonia di una nostalgia degli angeli. Ma c’è un argomento più serio. La
completezza dell’universo. Nell’universo c’è una componente materiale e una
componente materiale–spirituale, che è l’uomo. Posto che il mondo creato da
Dio, manifesta nel suo insieme una grande armonia e che componente dell’armonia
è la corrispondenza delle parti e la completezza dell’insieme, tutto lascia
supporre che debba esistere anche una componente puramente spirituale. Non sarà
forse Dio stesso, secondo lo schema: mondo materiale – mondo materiale/spirituale
(uomo) – Dio. No, perché Dio è fuori serie! Deve quindi esistere un mondo solo
spirituale come componente della realtà complessiva del l’universo creato.
Questo argomento, che è “solo” di convenienza[2], mette in risalto il ruolo
dell’angelologia come bastione della trascendenza di Dio nell’ambito della
teologia globale[3]. Dio non è riducibile alla componente spirituale del cosmo,
perché ne è il principio trascendente, che contiene in sé – in modo virtuale ed
eminente – tutte le sue componenti. In Dio non c’è materia, ma vi deve essere
l’idea della materia e l’idea archetipa.[4] L’assenza della consapevolezza di
un mondo di spiriti finiti finisce per indurre ad una visione onto–teologica di
Dio e viceversa. Non dimentichiamo che la prima negazione riflessa del mondo
angelico è dell’Illuminismo, solidale con la sua visuale razionalistica e “deistica”
di Dio. Gli angeli trovano invece un indiscusso spazio in una visione che
riconosca all’apofatismo il suo indispensabile ruolo teologico.
b) Prove
La Bibbia. Molti teologi ed
esegeti dicono che il suo linguaggio a proposito di angeli e demóni fa parte di
quel rivestimento culturale che noi, appartenenti ad una cultura diversa e più
evoluta, dobbiamo lasciar cadere. Ma quali gli argomenti?
«Chi accetta Dio non si vede
quale razionale difficoltà “a priori” possa avere ad accettare la risurrezione
di Cristo o la maternità verginale di Maria o la moltiplicazione dei pani e dei
pesci. Non ho mai capito l'allergia “a priori”, che si riscontra in molti
teologi, ad ammettere gli angeli, se non identificandola come una “zona di
incredulità” sussistente per incoerenza in una mentalità che dovrebbe essere
tutta permeata dalla fede. Una volta appurata nella fede l'esistenza del mondo
invisibile, “a priori” non ho obiezioni da opporre non solo agli angeli, ma
nemmeno agli arcangeli, ai cherubini, ai serafini a chi sa quali altre creature
siano state pensate e volute dalla divina fantasia.
«O l’universo è vuoto, e allora
si capisce che sia sordo e muto; o c’è la possibilità che sia popolato, e
allora mi aspetto che ci siano molti esseri in grado di porsi in ascolto delle
nostre voci e in grado di farci arrivare la loro.
«Il credente è uno che si
attende molte sorprese. Una volta conosciuta l’esistenza di un Dio che è
fantasioso e onnipotente, cioè “capace di tutto”, la ragionevolezza sta nell’aspettarsi
che la divina immaginazione a poco a poco si manifesti, oltrepassando sempre
ogni previsione e stupendo sempre la nostra connaturale propensione per ciò che
è consueto, prevedibile, convenzionale.
«L’uomo nativamente “religioso”
“a priori” non esclude niente. Sa che, se è arduo dimostrare l’esistenza di
qualche cosa, è ancora più arduo dimostrarne apoditticamente l’inesistenza.
«L’uomo “areligioso” è quello
che possiede la più arrischiata e irragionevole delle certezze: la certezza di
ciò che non c’è. E’ una certezza che conviene solo a Dio: solo colui che è
onnisciente può elencare le cose che non ci sono. Sicché paradossalmente
potremmo dire che l’uomo areligioso possiede la più arbitraria e ingiustificata
delle fedi. E, ancora paradossalmente, soltanto da una divina rivelazione
potrei avere la notizia indubitabile che oltre la zona accessibile alla mia
conoscenza naturale non ci sia niente.»[5].
La Bibbia ne parla. Certamente
la Bibbia ha bisogno di una interpretazione. Leggere la Bibbia «alla lettera»,
fidandosi di un senso che sarebbe sempre ovvio e immediato, è una illusione.
Non è neppure la lettura antica o tradizionale, ma qualcosa di moderno e di
legato anch’esso – come la lettura razionalista – all’Illuminismo. Il
«fondamentalismo» come corrente all’interno del Protestantesimo è nato con John
Nelson Darby (1800–1882), mentre il nome risale all’inizio di questo secolo.
Quando per es. leggiamo: «Il
Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un
alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente» (Gen 2,7), dobbiamo far
intervenire una pre–comprensione metafisica di Dio, per cui, escludendo da Dio
tutto ciò che è corporeo, leggiamo le espressioni che lo fanno come un vasaio
che plasma il suo manufatto alla stregua di espressioni simboliche. Per
scoprire subito che esse non cessano di essere profonde. L’uomo ha due
componenti: una terrestre, che viene dalla materia informe (fango) e una
celeste, che viene direttamente da Dio (soffio) e che ha una analogia con quel
«soffio» divino che appare già nell’AT come una realtà personificata in Dio.
Soffio è indizio di vita e di movimento. Soffio, vento è la realtà materiale
più… immateriale. Più «spirituale».
A volte per rendersi pienamente
conto del significato esclusivamente simbolico di una data rappresentazione c’è
voluto un certo itinerario di indagine scientifica, come l’affermarsi della
teoria Copernicana (pure molto antica) su quella Tolemaica. Ciò non toglie che
il senso simbolico fosse già presente e spessissimo
anche l’intuizione della precarietà della visione scientifica corrente (per es.
in san Tommaso d’Aquino proprio a proposito del moto dei cieli).
Qualcuno ha voluto coinvolgere
angeli e demoni nell’ambito precario di una immagine del mondo destinata ad
essere coinvolta nell’aggiornamento scientifico, per cui la loro funzione
sarebbe ormai solo simbolica e anche questa da rivedere con il mutare della
sensibilità dell’uomo moderno. Ecco per es. la posizione di un campione del
razionalismo biblico dell’Ottocento – David Friedrich Strauß (1808–1874) –: a
noi «mediante la concezione copernicana è stato tolto il luogo in cui l’antichità
giudaica e cristiana pensava posto il trono di Dio»[6]. Non c’è più posto per
il trono di Dio e nemmeno per i suoi angeli.
Il problema è...
Che non c’è nessuna ragione
metafisica per interpretare l’angelo (buono o cattivo) come un simbolo, la
metafora di qualcosa. Mentre Dio non può avere un corpo e quindi sedere su un
trono, può benissimo aver creato dei puri spiriti ed esserne «circondato», cioè
essere oggetto della loro adorazione amante, costruire con loro una famiglia di
amore e servirsi della loro opera per guidare le sorti del mondo.
Che non c’è neppure nessuna
ragione scientifica per operare questa de–mitologizzazione. La scienza non può
certamente provare che gli angeli esistono, ma non può neppure dimostrare che
non ci sono…
Che se si esamina con un po’
di attenzione tutto il quadro della rivelazione biblica ci si accorge che il
dramma della storia della salvezza conosce anche questi personaggi. Se non sono
i protagonisti, non sono neppure delle comparse. Nella prima lettera di san
Giovanni troviamo questa affermazione sulla finalità di tutta l’azione
redentiva del Verbo Incarnato: «il Figlio di Dio è apparso per distruggere le
opere del diavolo» (1 Gv 3,8).
Se poi andiamo a riesaminare
la posizione dei demitologizzanti ad oltranza ci accorgiamo facilmente di un
fatto paradossale: dietro l’immagine innocente di un mero problema di metodo e
di adattamento ai progressi della scienza e del costume, ci sono delle
posizioni teoriche antitetiche alla fede: per es. il manicheismo e la gnosi.
Davanti a testi che ci parlano
di angeli e demóni occorrono dunque dei criteri. Non possiamo muoverci in essi
arbitrariamente.
Il criterio, lo abbiamo già
visto non può essere quello fondamentalista. Esso annulla il problema
eliminando (o occultando) l’alterità della forma.
Il racconto richiede di essere
decodificato.
In base a quale chiave di
comprensione?
È nota l’infelice espressione
di Bultmann: «Non ci si può servire della luce elettrica e della radio, o far
ricorso in caso di malattia ai moderni ritrovati medici e clinici, e nello
stesso tempo credere nel mondo degli spiriti e dei miracoli propostoci dal
Nuovo Testamento»[7].
Qui il criterio è la concezione
del mondo dell’uomo moderno, frutto del progresso scientifico tecnico.
A Bultmann fa eco H. Haag: «Tutto
quanto si afferma su Satana nel Nuovo Testamento non appartiene al messaggio
vincolante della Rivelazione, ma solo a quell’immagine del mondo caratteristica
degli scrittori biblici ossia della mentalità della loro epoca»[8]. «Questa
concezione non è più compatibile con l’immagine che oggi ci facciamo del mondo
e perciò abbiamo il diritto di non accettarla»[9].
Qui andrebbe osservato subito
che la «concezione dell’uomo moderno» è in continua evoluzione. Bultmann
sarebbe sorpreso nel vedere quanti uomini del nostro tempo accendono
tranquillamente la luce elettrica, si siedono davanti al televisore e, nello
stesso tempo, frequentano l’astrologo e credono ai folletti e alle fate…[10] Ma
a lui va concessa una attenuante: la sua conferenza è del 1941. Ben altra
responsabilità hanno coloro che continuano a propagandare oggi la favola dell’uomo
moderno.
Ma, al di là di considerazioni
circostanziali, resta il rilievo di fondo: è possibile elevare la concezione
del mondo dell’uomo moderno a criterio ermeneutico decisivo del testo biblico e
dei documenti della fede? Certamente la scienza rientra fra i momenti
regolativi nell’interpretazione di questi documenti, ma non potrà mai
costituire l’ultima istanza.
È interessante vedere come
Pannenberg – che pure vuole porsi nella linea della demitologizzazione più
conseguente – sottopone oggi a critica l’argomentazione classica della scuola
liberale per sbarazzarsi di angeli e demóni:
«David Friedrich Strauß ha
parlato, proprio a proposito della “attività mondana degli angeli” di una “contraddizione
della concezione moderna della natura”, perché considera questi fenomeni
naturali, come lampo e tuono, terremoto, pestilenza, ecc.” non come “speciali
manifestazioni di Dio”, ma li riconduce a “cause che si situano all’interno del
contesto naturale”. Ora questa obiezione colpisce non solo l’operare degli
angeli ma anche il particolare agire di Dio negli avvenimenti della natura e
presuppone una concezione del contesto naturale come un sistema chiuso (in
corrispondenza all’immagine meccanicistica del mondo) e vede nelle affermazioni
teologiche sull’agire di Dio o degli angeli negli accadimenti del mondo, in
ogni caso nei singoli eventi della natura, spiegazioni di procedimenti naturali
che fanno concorrenza con le descrizioni scientifiche e i fattori da loro
addotti»[11].
1.3. Chi sono?
Si tratta di esseri personali e
spirituali. Intrattengono una certa somiglianza col platonico mondo delle idee.
Sono come gli archetipi e i prototipi personali di tutto ciò che esiste. Con
san Tommaso d’Aquino si afferma la concezione che gli angeli non differiscono
tra loro “numericamente” ma come specie da specie. Ogni angelo un’idea. Fra
angelo e angelo c’è, di per sé, una ben più grande distanza che fra uomo e
uomo, più grande che fra razza e razza.
1.4. Che fanno?
Angelo: messaggero, inviato.
mal’ak – mal’achim dalla radice semitica l’k = mandare, che i LXX e il NT
rendono con ánghelos – ángheloi.
La vita e il destino è in
comunione. Uno può pensare: che bisogno c’è di tutta questa moltitudine di
esseri intermedi? In fondo io posso vedermela direttamente con Dio. Perché
dunque Dio non mi ha fatto da solo? E perché ho bisogno dell’altro? Questo
certamente obbedisce alla logica dell’amore personale. È il riflesso nell’uomo
– solo dell’uomo è detto che è immagine e somiglianza di Dio – della Trinità e
della infinita perfezione di Dio. Collegamento, influsso, dramma, comunione fraterna. All’uomo si può
togliere tutto, ma c’è una cosa di cui ha supremamente bisogno: dell’altro. La
Scrittura dice: «guai ai soli!». E l’eremita? E colui che ha trovato altra
compagnia. La compagnia di Dio (che è una eterna compagnia) e, appunto, degli
angeli. I valori materiali se con–divisi (la torta...) diminuiscono, quelli
spirituali aumentano! L’uomo desidera ardentemente comunicarli. Si ama
comunicare le belle notizie.
Esiste un legame riconosciuto
tra angeli e liturgia[12]. I veri valori stanno al cospetto di Dio da cui segue
con logica stringente il primato della contemplazione. Torniamo qui, in certo
qual modo al punto di partenza: a che cosa serve? Serve a questo. E questo? A
quest’altro. Serve, serve, serve. Ma non si può andare all’infinito. Bisogna
arrivare ad un punto in cui si incontra qualcosa (o Qualcuno) che non serve a
niente. Non perché è inutile, ma proprio per il motivo contrario, perché è il
termine di ogni utile, cioè è il Fine supremo. E chi si occupa direttamente di
questo Fine supremo, chi fissa il suo sguardo in quel Volto, ed è sempre
occupato a questo è colui che ha trovato nel suo agire la massima intensità di
senso possibile. E, per gli angeli non esiste quella tensione spesso
dilacerante che è tipica della condizione umana: azione o contemplazione? Per
occuparsi degli uomini non devono distogliere lo sguardo dal Volto, anzi, da
quello sguardo traggono tutta la loro energia e la loro luce. Il mio direttore
spirituale (potremmo dire il mio guru). Un direttore sapiente e prudente. C’è
un famoso detto anglosassone denso di saggezza pedagogica: «Per insegnare il
latino a John bisogna conoscere il latino, ma soprattutto bisogna conoscere
John...». E chi può meglio conoscermi del mio «Moi céleste»[13]? Fra l’uomo e
il suo angelo c’è una profonda simpatia, una simpatia “metafisica”, radicata in
Dio e nella creazione. Una tale simpatia che i suoi sussurri sono
impercettibili e possono facilmente essere scambiati per i nostri stessi
pensieri... Una guida che vive innanzitutto quello che suggerisce. Come una
guida di montagna esperta che conosce le cime come le sue tasche. Lui conosce
le cime, perché è sempre al cospetto di Dio, e il suo volto sorridente (l’angelo
di Chartres!) fissa lo sguardo nel Volto di Dio
1.5. Gli angeli malvagi
La negazione del demonio e
della sua azione nella teologia contemporanea
Come si è arrivati a negare l’esistenza
del demonio?
Partiamo dalla data che, almeno
nella Chiesa cattolica, ha rappresentato il punto di partenza emblematico della
crisi. La data è il 1969 con la pubblicazione di un libretto da parte di un
esegeta tedesco – esperto di Antico Testamento – Herbert Haag. Molto noto,
autore anche di un importante dizionario biblico. Il libretto è intitolato
Abschied vom Teufel, cioè «Commiato dal diavolo», tradotto subito l’anno
successivo in italiano dalle edizioni Queriniana di Brescia. Un dettaglio
significativo: alla traduzione è stato aggiunto un punto interrogativo nel
titolo, per cui diventa «Liquidazione del diavolo?», anche se nella versione
tedesca originale questo punto interrogativo non c’è. In Italia certe frasi
forti mettono un po’ più di scrupoli… ma la sostanza è la stessa.
Alla pubblicazione di questo
libro è connesso anche un aneddoto. Haag insegnava all’università di Tubinga e
tra i suoi colleghi c’era il professor Joseph Ratzinger. Quando Ratzinger fu
trasferito – credo – a Monaco, fecero una festicciola tra docenti, una festa di
congedo; in quell’occasione il professor Haag consegnò a Ratzinger il suo
libretto dal titolo appunto «Commiato dal diavolo»…
In seguito Ratzinger lesse quel
libro e lo criticò anche pesantemente.
La tesi di Haag è semplice: il
demonio non esiste, è soltanto un simbolo, il simbolo della malvagità nel
mondo. Quali gli argomenti? Si riassumono tutti in questa frase: «Tutto quanto
si afferma su Satana nel Nuovo Testamento non appartiene al messaggio
vincolante della Rivelazione, ma solo a quell’immagine del
mondo caratteristica degli scrittori biblici ossia della mentalità della loro
epoca»[14]. Questa concezione non è più compatibile con l’immagine che oggi ci
facciamo del mondo e perciò non possiamo più accettarla.
Questa credenza in un mondo di
spiriti intermediari fra Dio e l’uomo – angeli e demoni, spiriti buoni e
spiriti cattivi – fa parte di quella concezione del mondo che noi oggi, alla
luce del progresso scientifico e tecnico, non siamo più autorizzati ad
ammettere. Per «concezione del mondo» qui si intende in modo indifferenziato
non soltanto un certo modo di interpretare scientificamente i fenomeni della
natura, ma anche un determinato modo di concepire Dio, l’al di là e i suoi
rapporti con l’al di qua. Questa concezione del mondo era condivisa da tutti a
quell’epoca e Haag non ha difficoltà ad ammettere che era condivisa anche da
Gesù e da tutti i personaggi del Nuovo Testamento. Ci rendiamo conto, già da
questo punto di vista, come l’impostazione sia molto debole, perché in fondo,
una impostazione di questo genere fa assurgere il modo con cui l’uomo
interpreta scientificamente il mondo, con tutta la sua intrinseca incertezza e
mutevolezza, a criterio ultimo di giudizio per l’interpretazione dei contenuti
della fede. Le idee dell’uomo cambiano spesso… Oggi per es. assistiamo a una
netta inversione di tendenza, per cui, con gli stessi criteri dovremmo
prepararci ad ammettere nella teologia le cose più favolose e incredibili.
Il personaggio più
significativo, ed il primo – per quanto abbia potuto indagare io – che ha
ragionato così è David Friedrich Strauß (1808–1874), noto soprattutto per i
suoi studi sul Vangelo e sulla vita di Gesù, il quale afferma praticamente le
stesse cose, dice: «mediante la concezione copernicana è stato tolto il luogo
in cui l’antichità giudaica e cristiana pensava posto il trono di Dio»[15], per
cui tolto il trono, bisogna togliere anche la corte, e non abbiamo più motivo
di credere ad angeli e demoni. Una cosa va però sottolineata: questa posizione
non è mai stata una posizione di maggioranza anche nell’ambito della teologia
protestante liberale. La posizione più frequente è quella che si trova
incarnata in un altro teologo importante, Friedrich Schleiermacher (1768–1834):
una posizione agnostica o di disinteresse. Gli angeli (e i demóni) si possono
lasciare alla pietà popolare, ma il teologo che si rispetti non li deve
prendere in considerazione. Karl Barth (1886–1968) critica questa impostazione
chiamandola «l’angelologia dell’alzata di spalle»[16]. Che ci possano essere
angeli non è ragionevole negarlo, perché è una possibilità che certo non
possiamo mettere in discussione, però il teologo se ne deve disinteressare,
perché è un argomento indegno della sua considerazione; d’altra parte che ci siano
gli angeli o che non ci siano, non cambia assolutamente nulla della vita
cristiana, per cui lasciamo pure che la gente ci creda, lasciamo che l’angelologia
e la demonologia siano ancora presunti, per esempio, nella liturgia e nella
preghiera dei cristiani, però il teologo deve guardarsi bene dall’occuparsi di
queste cose. Questa è una linea che ha avuto un certo seguito. Diciamo pure che
ha influenzato parecchio anche la teologia cattolica. Molto spesso infatti più
che una aperta negazione, si è diffusa una impostazione di questo genere: un atteggiamento
che si riassume plasticamente nell’espressione usata da Barth: gli angeli? una
«spalluccia»… Se proprio dobbiamo parlarne, sbrighiamo la cosa alla svelta così
passiamo a cose più serie.
Soffermiamoci un momento sulla
teologia cattolica. Qui una presa di posizione di Karl Rahner ha influenzato
pesantemente negli anni passati più ancora che il contenuto della demonologia l’affettato
disinteresse che l’ha colpita. «Non c’è alcun motivo, oggi, – scrive Rahner –,
per collocare la dottrina del d. [demonio], compresa nell’annuncio, al primo
piano della ‘gerarchia delle verità’, come in parte avvenne in tempi passati
(ancora in Lutero, per esempio). Non perché non esista una enunciazione di
fede, di valore permanente, sul d., ma perché quello che essa dice per il
concreto compimento dell’esistenza cristiana, può essere detto, nel suo
contenuto determinante, anche senza una tale dottrina esplicita sul d., o,
quanto meno, l’accesso a questa dottrina è relativamente difficile per l’uomo d’oggi.
Il discorso riguardante il d. non si trova infatti nelle grandi professioni di
fede».[17]
Qui si può e – a mio avviso –
si deve contestare che il messaggio di Cristo possa essere esistenzialmente
trasmesso senza un riferimento all’opera del diavolo nella storia della
salvezza e nella vita concreta del singolo. Se è vero che la verità sul demónio
e gli angeli malvagi non si trova al vertice della gerarchia delle verità, non
si può neppure affermare che si trovi in fondo… Certamente il demónio non c’è
né nel credo apostolico né in quello niceno costantinopolitano. Lo troviamo
però nel Padre Nostro. È infatti quanto meno assai probabile che la domanda
rysai hemas apò tou ponerou debba essere correttamente tradotta liberaci dal
Maligno[18]. È comunque presente con assoluta certezza nella professione di
fede del concilio Lateranense IV, come vedremo più avanti.
Per tornare ad Haag: non
possiamo leggere la Scrittura partendo da questo presupposto così fragile: la
mentalità o la visione del mondo dell’uomo moderno, non è certamente questo il
modo corretto di impostare il discorso. Qual’è il criterio determinante per
fare discernimento, per distinguere nella Scrittura quello che è soltanto un
dato culturale, secondario e caduco, e quello che è invece l’elemento
determinante dal punto di vista della fede? Non può essere che l’insegnamento
della Chiesa, il suo magistero. Il Magistero si è pronunciato in molti modi,
tra l’altro proprio a proposito del libro di Haag. Nel ‘72 Paolo VI ha parlato
dell’esistenza del demonio come essere personale, della sua azione, del suo
influsso. E’ uscito anche un documento che vi invito a leggere e a rileggere,
pubblicato dalla Congregazione per la Dottrina della Fede nel 1975, intitolato
Fede cristiana e demonologia, dove viene affrontato in modo teologico,
dottrinale, il tema della demonologia[19].
Riguardo all’esistenza degli
angeli e dei demoni il testo magisteriale più importante è costituito
certamente dal capitolo Firmiter della professione di fede del Concilio
Lateranense IV (1215 – papa Innocenzo III): «Crediamo fermamente e confessiamo
apertamente che uno solo è il vero Dio. […] Con la sua forza onnipotente fin
dal principio del tempo creò dal nulla l’uno e l’altro ordine di creature:
quello spirituale e quello materiale, cioè gli angeli e il mondo terrestre, e
poi l’uomo, quasi partecipe dell’uno e dell’altro, composto di anima e di
corpo. Il diavolo, infatti, e gli altri demoni da Dio sono stati creati buoni,
ma da se stessi si sono trasformati in malvagi. L’uomo poi ha peccato per
suggestione del demonio» (DS 800).
Questo testo conciliare così
chiaro, è stato esaminato da qualche teologo e ne è stata messa in dubbio la
portata di definizione dogmatica. L’argomento è più o meno questo: tutte le
volte che la Chiesa definisce una verità, dobbiamo vedere quale è la sua
intenzione e quale è l’errore che la Chiesa vuole scartare. Ora noi sappiamo
che il Concilio Lateranense IV aveva in mente l’errore del manicheismo. Secondo
il manicheismo il mondo è la creazione di un dio cattivo, quindi il male ha una
sua consistenza ontologica. Ora qui la Chiesa ha voluto dire, semplicemente,
che questo non è vero, ha voluto dire che la creazione è buona, ma non ha
voluto dire che veramente Dio ha creato gli angeli e che alcuni di essi sono
poi diventati cattivi.
Questa è l’obiezione che è
stata fatta a questo testo del Magistero.
Qui bisogna rispondere in
questo modo.
Non tutti i testi del Magistero
sono testi condannatori, quello che abbiamo detto qui va bene quando ci
troviamo di davanti ad una condanna e, quindi effettivamente, per capire la
portata della condanna dobbiamo partire da quell’errore che è condannato ed
evincere da lì e solo da lì la portata effettiva di quello che la Chiesa voleva
dire.
Qui, invece, il genere di cose
è diverso, ci troviamo davanti ad una professione di fede, la Chiesa
semplicemente fa professione di quello che crede; davanti ad una professione di
fede, tutto quello che qui viene esplicitamente
detto fa parte del patrimonio di fede della Chiesa.[20] In più c’è anche un
legame profondo tra le cose: non è un caso che questa affermazione della Chiesa
salti fuori in corrispondenza dell’errore manicheo. Facciamo qualche passo
indietro.
Il problema del male accompagna
l’uomo da che esiste. Ogni riflessione religiosa o filosofica è sempre in fondo
stimolata da questo problema: da dove viene il male?
Anche nel racconto (o nei
racconti) della creazione che apre il libro del Genesi l’interesse principale è
quello di dare una risposta a questo quesito. Il testo ci dice che in principio
Dio ha creato il cielo e la terra, poi descrive tutte le varie realtà che Dio
ha creato e quasi a mo’ di ritornello ripete: «E Dio vide che ciò era buono».
Se contate tutte le volte che questo è detto, vedete che corrisponde al numero
sette, perché la Scrittura usa un linguaggio anche simbolico: il numero sette è
un numero di perfezione, per sette volte viene detto «ciò è buono».
Poi dopo – solo dopo – si parla
del peccato. Nel capitolo terzo fa capolino il male, ma il male fa capolino nel
modo e sotto la forma di deviazione della libertà di uno spirito finito. Anche
dalla forma letteraria di questi racconti, noi vediamo che l’autore sacro è
quasi in polemica nei confronti di altre visioni dell’uomo che circolavano nell’ambiente,
visioni in cui il problema del male veniva risolto in fondo in questo modo:
nella natura delle cose c’è il bene e c’è il male. Il male fa parte integrante
della natura delle cose. Le cosmologie dei popoli circostanti Israele
interpretavano l’origine del mondo e del cosmo come una composizione fra
elementi diversi tra cui c’è anche un elemento cattivo. Perché c’è il male?
Perché fra le varie nature che ci sono, fra le varie cose che ci sono, c’è
anche il male, quindi il male c’è strutturalmente. Il manicheismo non farà
altro che portare alle estreme conseguenze questo concetto. Questo tipo di
spiegazione prenderà altre forme, affermando come addirittura succede nella
speculazione della Cabala ebraica, che il male è una qualità di Dio, o come avviene
nell’idealismo di Hegel, che il negativo entra dentro la costituzione dell’assoluto,
che l’assoluto ha bisogno del negativo per essere quello che è. Allora il male
diventa qualche cosa di costitutivo nella natura delle cose e addirittura nella
natura stessa di Dio.
No! sembra dire il testo sacro.
Il male non è nella natura delle cose, ma è entrato nel mondo solo con un atto
di libertà. Con il peccato dei progenitori. Il male non è né in Dio né nelle
cose, ma il male è saltato fuori perché Dio ha creato degli esseri liberi, i
quali hanno usato male questa loro libertà. Non solo, la Scrittura subito ci fa
notare una cosa: cioè che l’uomo non è stato l’inventore del male, lo ha fatto
con tutta la sua responsabilità, ma in qualche modo lo ha trovato, perché
qualcuno glielo ha suggerito, e qui abbiamo quel personaggio misterioso che è
il serpente, di cui non si dice inizialmente chi veramente sia.
Nell’Antico Testamento infatti
del demonio si parla molto poco.
Abbiamo pochi passi in cui si
parla di lui. In fondo questo serpente, viene interpretato come tale nell’Antico
Testamento soltanto nel tardivo libro della Sapienza, dove si dice che la morte
è entrata nel mondo a causa dell’invidia del diavolo (cfr. Sap 2,24), quindi si
interpreta l’evento che ha per protagonista il serpente, come operato dal
diavolo, si dice appunto che il serpente è il diavolo.
Nel libro di Giobbe si dice che
il demonio è uno degli angeli che sono presenti alla corte di Dio e da tutto il
racconto si evince che il demonio fa comunque e sempre solo quello che Dio gli
permette di fare.
Ecco che quadro nasce da questa
spiegazione biblica: il male non è una cosa, non è una virtù, ma è
strutturalmente privazione. Dire che il male è privazione non vuol dire che non
sia niente. Dire che il male non esiste può sembrare una ingiusta
banalizzazione del male e il male non va mai banalizzato; però si può dire
che il male è sempre una mancanza di perfezione, il male è carenza di ciò che
si dovrebbe avere e fare secondo la propria natura e la causa ultima del male
si radica nell’uso cattivo, deviato di una libertà.
La Scrittura ci dice anche che
non tutto il male che c’è è fatto dall’uomo, anzi, originariamente l’uomo ha sì
fatto il male, ma lo ha fatto per una suggestione che veniva da lontano. Se noi
leggiamo attentamente il racconto del Genesi, ci rendiamo conto che non
autorizza nessuna deresponsabilizzazione, perché non dice che, dato che Adamo
ed Eva sono stati tentati dal diavolo non erano responsabili… Si dice solo che
la suggestione era molto forte e che c’è stata e c’è ancora una presenza del
male che in qualche modo precede l’attività dell’uomo. Il male, potremmo dire,
ha una sua dimensione metastorica che è appunto questa presenza degli spiriti
cattivi che sono diventati tali per una deviazione della loro volontà. La cosa
è allusa, per così dire, nella Scrittura sia per quello che riguarda la
creazione degli angeli, sia per quello che riguarda la loro caduta. Nella
Scrittura non abbiamo delle affermazioni così aperte o perlomeno così importanti
come quelle riguardanti la creazione del mondo e dell’uomo, però troviamo delle
allusioni che sono sufficientemente chiare. Nella seconda lettera di san Pietro
(2 Pt 2,4), nella lettera di san Giuda (Gd 6), troviamo dei passi abbastanza
espliciti per quello che riguarda la caduta, mentre san Paolo, parlando di
principati e potenze, dice che sono creature (Rm 8,38).
Che succede quando si nega l’esistenza
del demonio dicendo che è il simbolo del male? Si finisce fatalmente per fare
di questo male un qualcosa che ha una sua consistenza, cioè per ricadere nel
manicheismo, proprio in quelle concezioni che la parola di Dio voleva confutare
rivelando l’esistenza di spiriti celesti decaduti. Questo esito fatale lo
troviamo per esempio in quei teologi protestanti che affermano che i demóni
sono «strutture mentali». Che cosa significa? O che il male ha una sua
consistenza oggettiva, oppure che il demonio è una inclinazione cattiva che è
nel cuore dell’uomo. Una teoria molto antica che troviamo anche nel Talmud. Ma
il problema è solo spostato: se nel cuore dell’uomo c’è, fin dalla nascita, una
inclinazione cattiva allora questa inclinazione viene da Dio.
Molti di questi teologi
affermano che «Gesù come tutti gli uomini del suo tempo condivideva la
concezione dell’esistenza di demoni, angeli, ecc.». È una affermazione
profondamente inesatta, perché anche al tempo di Gesù c’erano già delle
correnti che negavano l’esistenza del diavolo e degli angeli: i Sadducei
infatti negavano l’esistenza degli angeli (cfr. At 23,8). È invece chiaro dai
Vangeli che il Signore molto spesso contraddice apertamente le convinzioni
diffuse nel suo tempo, mostrando la sua piena indipendenza.
La ricerca più avveduta ha
riscontrato che l’Apocalittica più che un “genere letterario” costituisce
piuttosto una corrente teologica. L’essenziale dell’apocalittica non sarebbe
quindi da ricercarsi in una questione di metodo, ma a livello di contenuti. Ora
il contenuto centrale della teologia apocalittica è proprio il problema del
male, dove il demonio non rappresenta più una cifra simbolica, ma proprio la
sostanza della soluzione: il male non è un “qualcosa”, ma è in radice il frutto
dell’uso sbagliato della libertà, quindi ha un fondamento personale. La lotta
contro il male è dunque sì drammatica, ma, avendo per oggetto non incoercibili
leggi della natura, ma potenze personali, può essere vinta e le foze del male
depotenziate. Ecco tutta l’ambiguità e il paradosso dell’apocalittica:
messaggio insieme di estrema drammaticità e di sfolgorante speranza.
«La figura del diavolo nei suoi
molteplici aspetti non è frutto della fantasia […]. Il diavolo non rappresenta
affatto il trionfo dell’estetica sulla logica, ma condensa su di sé esigenze
razionalissime del pensiero umano di fronte al problema del male. Il diavolo è
quella x che risolve una complessa equazione di non so quale grado, dove si
tiene conto di molteplici fattori non facilmente fra loro conciliabili, quali l’esistenza
di un Dio giusto, della libertà dell’uomo che si fa tale davanti ad una scelta fra bene e male, nella
quale uno dei due termini, la Luce, viene fatto risalire a Dio, mentre l’altro,
la Tenebra è impossibile riportarcelo, almeno direttamente. Nella figura del
diavolo c’è anche l’intuizione del male come forza organizzata, in quanto ha
uno scopo di distruzione che non colpisce soltanto questo o quello, ma è
rivolta contro tutto e contro tutti e quindi non può essere opera di un
semplice spirito maligno. Il diavolo è una forza che l’uomo avverte al tempo
stesso come a lui esterna ed a lui interiore. Il diavolo del giudaismo non “è
quella parte del tutto chiamata Tenebra” di Goethe, né la morte che va al suo
posto come gli antichi miti cananaici; il diavolo spiega che il male c’è ed è
sempre, per così dire, fuori posto, perché è quella forza che si oppone all’ordine
e non si può, in nessun modo, farlo rientrare in nessuna rassicurante struttura
dell’essere»[21]
Perché questa attenzione alla
negazione dell’esistenza del demonio? Perché sono convinto che ha portato molta
confusione. Ha distolto infatti la teologia e la catechesi da una riflessione
attenta sul tema, favorendo così una situazione di vuoto. Ma il pensiero dell’uomo,
come la natura, fugge il vuoto, così che lo spazio lasciato libero si è
riempito in modo disordinato. Si è trascurato di coltivare un angolo del
giardino, non ci si deve meravigliare che si sia riempito di erbacce…
2. Il problema della
possessione diabolica e dell’azione demoniaca in generale
Riguardo all’azione che le
forze demoniache esercitano nella vita dell’uomo dobbiamo stare attenti ad una
polarizzazione eccessiva, esagerata, sul tema della possessione.
Il peccato angelico ha avuto un
influsso non solo sul mondo “umano”, ma su tutto il creato nel suo insieme.
Tutto giace nelle doglie del parto a causa del peccato. La morte non faceva
parte del primitivo piano di Dio e quindi neppure la malattia. Il disordine
portato dal peccato è la causa delle malattie. Ciò non significa che ogni
malattia sia causata dal peccato personale di chi ne è affetto: la Scrittura ci
invita piuttosto a pensare il contrario. Rimane però vero che c’è un
collegamento tra malattia e peccato. La vittoria sul peccato tuttavia non
determina per ciò stesso la scomparsa della malattia che rimane come mezzo di
espiazione e purificazione e anche come mezzo di elevazione. Con l’accettazione,
nella fede e nell’amore, della sofferenza che la malattia comporta l’uomo può
anzi partecipare alla redenzione di Cristo. È nel contesto della teologia della
malattia che dobbiamo innanzitutto collocare la problematica della possessione.
In quest’ottica si deve dire
che l’azione dei demóni è di duplice natura: indiretta e diretta[22]. L’azione
indiretta è quella che si manifesta nella debolezza della carne che sfocia così
spesso in malattia e ultimamente nella morte. Così come il disordine del cuore
umano porta con sé un disordine della sua vita associata, il sorgere di
strutture di peccato e ultimamente di quell’ambiente permeato dal peccato e che
spinge ad esso che è il “mondo”. In questo senso il demonio è il “principe di
questo mondo”. Accanto però a quest’azione indiretta c’è un’azione diretta
degli spiriti malvagi che si manifesta soprattutto come “tentazione”, cioè come
suggestione del male. L’azione è finalizzata a modificare l’orientamento della
volontà dell’uomo, portandola a dis–orientarsi da Dio. Quest’opera di dis–orientamento,
se ha il suo fulcro nel fondo dell’anima e nel “cuore” dell’uomo come centro
delle sue decisioni personali e libere, si attua partendo – per così dire –
dalla periferia, cioè dalle facoltà di cui l’uomo si serve per pensare e
decidere, soprattutto la fantasia. L’azione del maligno non può essere diretta
sulla libertà, ma è “diplomatica”, cioè avviene attraverso mediazioni che sono
quelle delle potenze corporee di cui si serve l’uomo per attuare la sua
moralità (è tutto l’ambito morale fondamentale degli atti imperati e delle
passioni). La “possessione” quindi (in senso lato) va vista come un tentativo
messo in atto da entità personali spirituali malvagie per prendere possesso
dell’uomo in tutte le sue componenti al fine di assoggettarlo e spingerlo
contro Dio. In questo si manifesta l’odio verso Dio che non potendo
estrinsecarsi anche qui in forma diretta, si esprime attraverso il
danneggiamento del creato e soprattutto del capolavoro del creato che è l’uomo[23].
Questo sforzo di assoggettamento può giungere in qualche caso fino a
rendere tecnicamente “folle” l’uomo. Cioè fino al punto di fargli perdere il
controllo delle sue facoltà compiendo atti di cui non è più responsabile, atti
che hanno di norma una valenza autodistruttiva o aggressiva, sia verbale che
fisica nei confronti di Dio, delle cose sacre e delle persone. Anche qui con un
crescendo di intensità che di norma si esprime con due termini distinti:
ossessione e possessione.
Per valutare bene questo
discorso è importante rifarsi ad una antropologia corretta, cioè che non
indulga – in modo più o meno consapevole – a precomprensioni di stampo
cartesiano e meccanicistico. Occorre cioè avere ben chiaro che l’uomo è corpore
et anima unus. Se è importante distinguere ciò che rileva della sfera dell’anime
e del corpo, tutto però deve avvenire senza compromettere in nulla l’unità
sostanziale del composto. Ogni distinzione deve ciò operarsi nell’unito. Non
solo: è importante recuperare la visione biblica e tradizionale dell’uomo a tre
dimensioni, cioè somatica, psichica e pneumatica. Non si tratta affatto di
ipotizzare tre componenti dell’uomo, ma modalità diverse di esprimersi della
componente immateriale. L’anima, che è il principio vitale, non esprime tutta
la sua capacità vitale nel dinamismo vegetativo e animale del corpo (dimensione
psichica), ma dispone di operazioni che trascendono la materia – pur essendo ad
essa sempre strettamente legata (dimensione pneumatica).
Sempre in una prospettiva di
teologia della malattia si può allora elaborare questa classificazione
eziologica: le malattie hanno una dimensione somatica e psichica (la malattia
spirituale in senso vero e proprio è il peccato, che si annida nella volontà
della persona). La malattia psichica, che è quella che qui ci interessa
direttamente, può avere una causa somatica, demoniaca o spirituale. Può cioè
ricollegarsi in modo più o meno evidente alla dimensione corporea, quindi
materiale, dell’uomo; può essere invece frutto di un diretto intervento
demoniaco; oppure ricollegarsi a una o più malvagie passioni umane (soprattutto
la philautía, cioè lo smodato amore di sé, in particolare del proprio
corpo[24]). Tutte queste considerazioni che meriterebbero certamente uno sviluppo
più ampio, possono servire qui ad introdurci al difficile tema della diagnosi
degli interventi malefici. Dovrebbe essere ormai chiaro che la questione è
complessa e che una diagnosi corretta deve rifarsi ad una eziologia
differenziata. Per esempio è evidente che l’azione malefica non esclude di per
sé che il soggetto sia malato, anche psichicamente, per altra causa. Così come
appare evidente che l’azione malefica sul soggetto induce di necessità un
disordine nelle sue facoltà, quindi una malattia, la quale di norma presenta
sintomi che possono essere letti anche solo in chiave somatica. Questo
naturalmente se non immaginiamo l’uomo come non è, cioè la somma giustapposta
di anima e corpo. Il fatto che un disturbo sia di origine endogena od esogena
non modifica ordinariamente più di quel tanto il suo immediato proporsi
fenomenico.
In che cosa consiste dunque la
possessione?
Si intende per possessione una
aggressione da parte di forze demoniache di un soggetto umano per cui questo si
trova limitato o del tutto inibito nel disporre delle sue proprie funzioni
psichiche.
Questa è la possessione in
senso stretto, cioè la possessione accompagnata da follia, perché la
possessione senza particolari e veri e propri disturbi psichici è un fatto più
ampio che può essere considerato coestensivo con tutta l’azione dei demóni
quando si manifesta in interiore homine.
«È spesso difficile dire perché
questo tipo di possessione accompagnato da follia sovente agitata tocca certi
individui piuttosto che altri, così come è difficile spiegare per quale ragione
la malattia, a parità di condizioni, tocca quel tale piuttosto che il tal
altro. Il diavolo sceglie di manifestarsi in questa forma in certi individui
per delle ragioni che non sono sempre chiare. Non si potrebbe sempre invocare
uno stato peccaminoso più grande in colui che è vittima, perché altri sono
risparmiati da questa forma di possessione quando il loro stato spirituale
sembra pur tuttavia equivalente. Se a volte l’intervento demoniaco fa seguito a
un peccato personale, questo ne è piuttosto – propriamente parlando – l’occasione
che la causa. Ciò che determina la scelta particolare dei demóni appare
tuttavia nel caso in cui l’uomo si è volontariamente e coscientemente
abbandonato al potere di Satana (qui il prototipo è Giuda), nel caso ugualmente
in cui la possessione e la follia che ne risulta sono stati indotti da pratiche
di stregoneria e magia, come nel caso infine in cui si può vedere nella
possessione/follia una prova permessa da Dio per permettere una purificazione e
un progresso spirituale che, in certuni, non avrebbe potuto effettuarsi in
altro modo»[25].
Il ministero dell’esorcismo era
inizialmente qualcosa di molto diffuso nella comunità cristiana e il cui
esercizio era abbastanza libero. Ben presto si è arrivati a determinare la
funzione specifica dell’esorcistato e poi, successivamente il ministero è stato
circoscritto ai presbiteri. In seguito si è stabilito (Benedetto XIV, 1 ottobre
1745) che il sacerdote può amministrare l’esorcismo solo se ha licenza da parte
del suo vescovo, e questa è la norma che si è andata consolidando nella Chiesa
cattolica.
Così il Codice di Diritto
Canonico del 1917 diceva che nessuno poteva esorcizzare senza espressa licenza
del vescovo, e la stessa cosa è stata ribadita nel codice del 1983.
Fino al 1998 era in vigore un
rituale dell’esorcismo risalente al 1614. Esso è tuttora utilizzato ancora da
molti esorcisti. La Congregazione per il Culto divino e la disciplina dei
Sacramenti ne concede l’uso ai vescovi che ne fanno richiesta per i loro
esorcisti. Riporta una serie di regole iniziali sul modo di amministrare questo
sacramentale e contiene anche delle norme di discernimento. Vi si dice prima di
tutto che il sacerdote non deve credere facilmente che qualcuno sia posseduto
dal demonio: «In primis, ne facile credat, aliquem a daemonio esse
obsessum»[26]. Nel 1991 è stato concesso alla CEI e distribuito ai vescovi e ai
sacerdoti da loro incaricati un Rito degli esorcismi ad interim in lingua
italiana. Finalmente nel 1998 è arrivato il nuovo rito nell’edizione tipica
latina con il titolo De exorcismis et supplicationibus quibusdam che revisiona
e sostituisce il Titulus XII del Rituale romano del 1614. Il rituale aveva già
subito alcune modifiche. La più significativa risale a Pio XII: gli indizi di
possessione vengono qualificati come indizi possibili, anziché come indizi
sicuri. Evidentemente si trattava di sottolineare la necessità di un
discernimento che poggiasse su un quadro diagnostico globale, dove il punto
focale era costituito dall’avversione per il sacro. I criteri di discernimento –
con questa precisazione – sono transitati senza modifiche nel nuovo rito.
È rimasta intatta la formula
«ne facile credat». Se quindi l’esorcista messo davanti ad un caso di presunta
possessione avanza delle esigenze di esame più dettagliato, questo non è
indizio di incredulità, ma solo di obbedienza alle leggi della Chiesa. Bisogna
fare discernimento, cioè non si deve procedere in modo spontaneo, quasi
meccanico, a praticare un esorcismo.
L’esorcismo è una preghiera con
cui «la Chiesa domanda pubblicamente e con autorità, in nome di Gesù Cristo,
che una persona o un oggetto sia protetto contro l’influenza del Maligno e
sottratto al suo dominio»[27]. L’esorcismo che può compiere solo il presbitero
autorizzato dal vescovo è quello sulle persone e riguarda solo i casi di
possessione[28]. Dunque sulle cose o sulle persone nei casi di vessazioni che
non arrivano alla possessione qualunque sacerdote è competente. È un
sacramentale e come tale la sua efficacia dipende dalla fede di chi lo
amministra, dalla fede di chi lo riceve e dalla fede delle persone che sono
presenti, per cui è chiaro che la presenza di curiosi, di persone che sono lì
soltanto per godersi lo spettacolo danneggia la riuscita del sacramentale
stesso.
L’elemento decisivo è sempre la
fede per cui l’esorcista deve continuamente esortare la persona esorcizzata ad
assecondare con la preghiera, con una vita di fede, con il suo impegno, l’azione
che viene svolta.
Anche l’esorcista deve
impegnarsi personalmente con una vita di preghiera, di fedeltà a Dio, di
impegno, questo perché un sacerdote può celebrare validamente una Messa anche
essendo – purtroppo – molto lontano da Dio, pur dubitando anche della verità di
quello che sta dicendo. La Messa è pur sempre valida. Diverso è il caso del
sacramentale. L’efficacia del sacramentale non è sempre garantita, perché chi
lo amministra e chi lo riceve non danno tutto quello che potrebbero dare in
termini di fede e di preghiera e anche naturalmente perché Dio può avere degli
altri progetti…
Il tema del maleficio (fattura)
è un argomento molto delicato. Anche su questo punto, esistono effettivamente
diversità di opinioni nel campo della teologia.
Per esempio, ancora
recentemente, un teologo brasiliano di origine tedesca, mons. Boaventura
Kloppenburg, vescovo di Novo Hamburgo e membro della Commissione Teologica
Internazionale (un organismo della Santa Sede), in un convegno di otto anni fa,
a Lione, ha sostenuto che la cosiddetta magia nera è una illusione[29]. Il
diavolo non agirebbe su commissione. Il che non vuol dire che il demonio non
possa nuocere alle persone, solo che per farlo non si servirebbe di
intermediari.
Bisogna però riconoscere che la
patristica e la grande maggioranza dei teologi ha sempre ritenuto il maleficio
possibile e reale[30].
Recentemente se ne è parlato
anche in una nota pastorale della conferenza episcopale toscana intitolata A
proposito di magia e demonologia[31]. Che io sappia è il primo documento
episcopale che si occupa così distesamene di demonologia, affrontando anche
questioni pratiche. In tema di maleficio ci dice questo: «Alcuni fedeli si
domandano: è vera la “fattura”? Ha effetti reali? Il demonio si può servire di
persone cattive e quindi di gesti come la “fattura” o il “malocchio” per fare
del male a qualcuno? La risposta è certamente difficile per i singoli casi, ma
non si può escludere, in pratiche di questo genere, una qualche partecipazione
del gesto malefico al mondo demoniaco, e viceversa. Per questa ragione la
Chiesa ha sempre fermamente rifiutato e rifiuta il “maleficium” e qualunque
azione ad esso affine»[32].
Una cosa è certissima: la
persona che fa la fattura – posta le ovvie condizioni della piena avvertenza e
del deliberato consenso – commette un peccato grave, gravissimo, perché vuole
fare del male, odia e quindi è chiaro che si mette in sintonia con colui che è
omicida fin dal principio, e questa sintonia non è solo un fatto psicologico, è
qualcosa di più. Mettersi in sintonia vuol dire entrare in una certa sfera di
influenza.
Non si può però neanche
escludere che ci sia una partecipazione in senso rovesciato, cioè non solo del
soggetto alla malvagità del demonio, ma anche del demonio al soggetto che
compie l’azione malefica, così che questi partecipa in qualche modo della sua
forza e la persona (o la cosa) oggetto del maleficio ne è colpita. Questo
naturalmente solo per permissione di Dio e nei limiti di questa permissione.
Il tema è delicatissimo perché
mai come in questo campo sono possibili le illusioni e lo scivolamento in forme
maniacali di delirio di persecuzione. Al demonio interessa stare nascosto, però
uno può occultare la sua vera esistenza sia perché non se ne parla mai, sia
perché se ne parla troppo. Anche l’eccessiva e disordinata pubblicità è un modo
di occultare la propria natura. Clive S. Lewis, che ci ha regalato una
serie di gustosi ma anche profondi libretti sul diavolo, nota con arguzia: «Vi
sono due errori, uguali ed opposti, nei quali la nostra razza può cadere nei
riguardi dei Diavoli. Uno è di non credere alla loro esistenza. L’altro, di
credervi, e di sentire per essi un interesse eccessivo e non sano. I Diavoli
sono contenti d’ambedue gli errori e salutano con la stessa gioia il
materialista e il mago»[33].
La caccia alle streghe, è un
tema che deve far riflettere: noi oggi possiamo dire con certezza che non è
vero che è stata la Chiesa a causare la caccia alle streghe, essa c’è stata per
altre ragioni. Oggi siamo anche in grado di dire che l’intervento dell’Inquisizione
fu un intervento che ha messo molta più moderazione di quanta non ce ne fosse
nei tribunali civili[34]. Però – attenzione! – perché effettivamente c’è stato
un periodo storico in cui la gente si è lasciata prendere da una vera e propria
mania che un grande demonologo, Egon von Petersdorff non esita a qualificare –
nei suoi eccessi – essa stessa come diabolica…[35]
3. Criteri diagnostici
Come sempre succede la
soluzione dei problemi è condizionata dalla loro corretta o scorretta
impostazione. La delicata questione della diagnosi della possessione e del
disturbo malefico in generale è anch’essa condizionata dalla generale
impostazione della problematica. Le pagine che precedono hanno cercato di
fornire un quadro di riferimento, certamente bisognoso di sviluppi e
integrazioni, ma forse sufficiente all’impostazione del problema. Iniziamo col
mettere in chiaro come il problema non va impostato. Dire che la ammissione di
una diretta influenza demoniaca è condizionata dall’esclusione di ogni sia pur
lontanamente plausibile spiegazione naturale porta di suo ad eliminare di fatto
ogni possibile diagnosi in questo senso. Gli esorcisti che partono da questo
presupposto sono molto spesso degli esorcisti “credenti” ma “non praticanti”.
Il passo alla miscredenza è solo questione di tempo. Ma c’è anche l’ipotesi –
tutt’altro che remota – di un passaggio alla credulità indiscriminata, perché
così – sempre in concreto – molto spesso va l’uomo… Questo punto di partenza è
viziato da un falsa precomprensione dei rapporti tra teologia e scienza e a
monte tra soprannaturale e naturale. Il teologo non è condannato ad occupare
gli spazi che gli sono concessi, bontà loro, dagli altri inquilini dell’edificio
del sapere[36]. Di questo passo il dormire sotto i ponti è un destino
ineludibile… In realtà si tratta di occupare tutto e di imparare a coabitare
nel rispetto reciproco. Fuor di metafora: l’interpretazione teologica non
procede a compartimenti stagni, perché tutto l’essere è suo oggetto proprio. La
teologia si occupa di Dio e di ogni cosa in quanto ha (e di principio sempre lo
ha) riferimento a Dio. Se si occupa dell’uomo se ne occupa in ogni sua
dimensione. Lo stesso fanno le scienze umane, in cui rientrano anche la
psicologia e la psichiatria. La differenza di oggetto formale non è riconducibile
ad una differenza di oggetto materiale, appunto. Nella concreta prassi dell’interpretazione
però occorre tenere nella dovuta considerazione i risultati scientificamente
motivati che procedono da altri approcci, confrontarsi con essi nel rispetto
del metodo scientifico che li ha generati e del metodo teologico proprio nella
certezza che verità non può contraddire a verità. Il lavoro dell’interpretazione
è sempre necessariamente olistico e tanto più convincente quanto più sa
rispondere alle critiche che procedono da altri modelli, sa criticare modelli
alternativi e sa integrare modelli complementari.
In quest’ottica è importante
prendere in esame qualche critica di tipo “genealogico” che metterebbe in forse
– se accolta – tutto l’impianto della nostra interpretazione. L’accettazione
dell’ipotesi demonologica sarebbe dovuto soltanto al fatto che in una fase
arretrata del progresso della scienza medica – della psichiatria in particolare
– le malattie in generale e quelle psichiche in particolare erano sempre solo
ricondotte a fenomeni di possessione o maleficio o comunque all’azione di
spiriti malvagi. Questa impostazione in quanto legata ad una visione del mondo
caduca e ormai superata deve essere decisamente abbandonata.
Qui bisogna rispondere che
questa critica riposa su presupposti storici falsi. Come l’interpretazione
della credenza di Gesù nell’esistenza degli spiriti malvagi come partecipazione
ad una unanimemente condivisa visione del mondo degli uomini del suo tempo. Noi
sappiamo infatti che questa visione condivisa non esisteva. I sadducei non
credevano all’esistenza di spiriti buoni o cattivi che fossero. Anche la
concezione dell’istinto malvagio (yetser ha–ra’), della sua natura e della sua
origine (impersonale o personale esterna) all’interno della tradizione
rabbinica, quindi farisaica, non è affatto univoca.[37] Così noi constatiamo
che i racconti evangelici di esorcismo ci mettono davanti ad ogni pié sospinto
a testimonianze di diagnosi differenziata. Malattie e possessioni non sono percepiti
affatto come fungibili.
In primo luogo possessioni e
malattie o infermità sono nettamente distinte in numerosi passi:
«La sua fama si sparse per
tutta la Siria e così condussero a lui tutti i malati, tormentati da varie
malattie e dolori, indemoniati, epilettici e paralitici; ed egli li guariva»
(Mt 4,24).
«Venuta la sera, gli portarono
molti indemoniati ed egli scacciò gli spiriti con la sua parola e guarì tutti i
malati» (Mt 8,16).
«Chiamati a sé i dodici
discepoli, diede loro il potere di scacciare gli spiriti immondi e di guarire
ogni sorta di malattie e d’infermità. […] Guarite gli infermi, risuscitate i
morti, sanate i lebbrosi, cacciate i demoni» (10,1.8).[38]
Inoltre, la maggior parte delle
malattie o infermità citate a proposito di miracoli compiuti da Cristo non
appaiono affatto legate ad una possessione.[39]
In terzo luogo, in alcuni casi,
la stessa persona risulta affetta simultaneamente da una possessione e da una
malattia senza che la seconda sia legata alla prima. Abbiamo già visto per es.
Mt 8,16, dove Gesù procede a due operazioni successive: l’una di esorcismo
(scacciò gli spiriti), l’altra di guarigione (guarì tutti i malati). La prima
però sarebbe bastata se la malattia si fosse identificata con la possessione o
fosse stata causata da essa.
Non dobbiamo neppure pensare
che – come spesso si dice – i cristiani antichi non sapessero distinguere tra
malattia e possessione. «Si pensa spesso al giorno d’oggi che l’attribuzione di
una causa demoniaca a certe forme di follia è dovuta al fatto che la medicina
dell’epoca non sarebbe stata in grado di dare ad essa delle spiegazioni
naturali. Questo vuol dire ignorare che la medicina contemporanea agli scritti
patristici a cui facciamo riferimento vedevano le cose nella stessa prospettiva
naturalista della psichiatria attuale e non lasciava, esattamente come questa,
alcuno spazio nelle sue descrizioni alla demonologia».[40] Il celebre trattato
ippocratico intitolato Del male sacro, attacca tutti quelli che vogliono
attribuire l’epilessia e, in termini generali, qualunque malattia mentale, a un
potere divino o demoniaco.[41]
Certo le diagnosi mediche del
tempo di Gesù non sono le stesse di oggi, ma ciò non muta l’impostazione del
problema. La diagnosi demonologica poi è di natura ultimamente carismatica[42].
Ciò che importa rilevare è che all’interno del progresso della scienza medica e
– in una certa misura – anche della diagnostica teologica della possessione –
rimane chiaro che i due fenomeni non coincidono.
Si può poi avanzare un “genealogia
della genealogia”, cioè interpretare la negazione come espressione della volontà
di potenza del razionalismo, del suo “delirio di interpretazione”, tale da non
ammettere ambiti che possano trascendere il potere esplicante della ragione
naturale, soprattutto quando questi ambiti si aprono su orizzonti inquietanti,
che mettono paura. Qui molto spesso l’ironia assume i tratti
di una specie di “esorcismo laico”. Ciò fra l’altro è autocontraddittorio
perché contraddice l’agnosticismo che – normalmente – accompagna l’impostazione
scientistica. Oggi i progressi dell’epistemologia generale e di quella
psichiatrica in particolare concludono ragionevolmente a risultati ben più
umili e aperti.
La crisi e gli sviluppi dell’epistemologia
contemporanea, in particolare il frantumarsi del modello positivista, hanno
avuto un inevitabile ricaduta in psichiatria: «Da parte di vari ricercatori si
parla di crisi della ragione. Mentre affiora un insieme di ragioni, si fa
strada la consapevolezza dell’impossibilità di ridurle alla Ragione di classica
memoria illuminista. Si incrina: – il dogma della riduzione del complesso al
semplice, – il postulato del poter descrivere ogni fatto noto di natura sotto
la relativa legge, – la nozione di oggettività fondata sulla elaborazione sommativa
dei dati osservati. La coscienza scientifica si propone sempre meno di
pervenire a parametri totalizzanti in quanto si infrange nella crisi della
Ragione e nel riaffiorare dell’indiscussa validità di paradigmi locali»[43].
Scilligo, a proposito della
diagnosi di possessione, non teme di evocare la possibilità della coesistenza
di interpretazioni diverse: «Di fronte a questi fenomeni lo scienziato mantiene
una mente aperta e come minimo sospende il giudizio e spera in una risposta
futura che avalli la sua convinzione di ridurre tutto a processi fisici. Lo
scienziato può anche rischiare di più e abbassare il suo pregiudizio e pensare
ad esempio che anche in questo campo potrebbe valere il concetto di
complementarietà del fisico Bohr […]. Potremmo trovarci di fronte ad un
fenomeno che per certi versi è spiegato bene dalla teoria delle scissioni e
proiezioni e per certi versi dalla teoria delle possessioni spiritiche. I fatti
concreti osservati potrebbero costringere anche lo scienziato ad accettare spiegazioni
parallele, tutte e due plausibili, proprio come è accettata la spiegazione di
un unico fenomeno, la luce, sulla base di due teorie».[44]
Oggi il famoso Manuale
Diagnostico dell’American Psychiatric Association, nella sua IV ed., descrive
la possessione in termini molto «neutrali» e ammonisce che si può parlare di
Disorder, cioè porre una diagnosi psichiatrica, solo se non si tratta di stati
accettati dalla cultura dell’interessato come una parte normale di una pratica
culturale o religiosa (cfr. DSM–IV, pp.486–487.490. 727–728). Questo può essere
visto come una generica forma di tolleranza religiosa, ma credo debba essere
interpretato soprattutto come prudenza scientifica nell’affrontare un fenomeno
di difficile catalogazione.
I criteri di discernimento
Il vecchio rituale li elencava
in questo modo: parlare lingue sconosciute, non soltanto qualche parola, ma
intrattenere un dialogo, una conversazione; manifestare fatti o cose nascosti e
lontani; sviluppare una forza assolutamente sproporzionata rispetto all’età e
alla complessione.
Questi sono i termini usati nel
rituale edito da Paolo V nel 1614 e rivisto da Pio XII nel 1952. Nel De
exorcismis et supplicationibus quibusdam si aggiunge giustamente un altro
criterio che è l’avversione a Dio, a Maria, ai santi e in generale a tutto ciò
che dice relazione con l’azione salvifica di Dio. Viene anche accentuata la
necessito di un quadro diagnostico globale.
Vale la pena riportare il testo
per intero:
«L’esorcista dunque non proceda
alla celebrazione dell’esorcismo se non ha accertato, con certezza morale, che
l’esorcizzando sia veramente posseduto dal demonio e – se possibile – con il
suo consenso.
Secondo la prassi sperimentata,
si considerano come segni di possessione diabolica: proferire molte parole in
una lingua sconosciuta o capire chi la parla; manifestare cose lontane o
occulte; dimostrare forze superiori alla natura dell’età o della condizione.
Tali segni possono offrire un qualche indizio. Ma siccome tali segni non sono
necessariamente da interpretare come provenienti da parte del diavolo, bisogna
fare attenzione ad altri segni, soprattutto di ordine morale e spirituale, che
manifestano diversamente l’intervento diabolico, come ad esempio una forte
avversione nei confronti di Dio, del santissimo nome di Gesù, della Beata
Vergine Maria e dei santi, della Chiesa, della parola di Dio, di cose, riti,
soprattutto sacramentali, e immagini sacre. A volte si deve esaminare con molta
cura il rapporto di tutti i segni con la fede e il combattimento spirituale
nella vita cristiana, perché il Maligno è soprattutto nemico di Dio e di tutto
ciò che i fedeli mettono in relazione con l’azione salvifica di Dio».[45]
Questi sintomi si presentano –
anche presi uno per uno – come fenomeni spiegabili in maniera naturale. La
personalità multipla (MPD Multiple Personality Disorder), per esempio, è un
fenomeno che gli psichiatri conoscono e ritengono di poter ricondurre a un
processo di scissione e proiezione[46]. Bisogna però subito aggiungere che –
pur essendo stato accolto nel 1980 nel DSM–III (American Psychiatric
Association, Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorder) – si tratta
di un criterio diagnostico molto discusso e contestato[47]. Il sintomo più
sicuro – preso a sé stante – sembra essere il parlare lingue sconosciute[48].
Quando si tratta veramente di un discorso, di una conversazione in una lingua
che il soggetto per certo non può conoscere, è qualche cosa che dal punto di
vista naturale non si può spiegare in nessun modo.
Naturalmente tutte le volte che
si parla di sintomi è chiaro che occorre una visione globale della situazione,
bisogna cercare di vedere non tanto separatamente le manifestazioni, ma in
tutto il contesto in cui si presentano e l’esorcista deve fare un esame
dettagliato della persona e della sua situazione prima di procedere all’esorcismo.
C’è da dire però anche un’altra
cosa: l’esorcismo solenne «sugli ossessi» non è l’unica forma di intervento nei
confronti di disturbi di carattere malefico, così come d’altra parte, la
possessione diabolica non è l’unica forma di manifestazione di carattere
malefico. Ci possono essere fatti anche di altra natura: si può parlare, per
esempio, di ossessione[49] nel senso di un disturbo che non arriva fino alla
possessione in senso stretto, ma che si manifesta in vessazioni che toccano più
o meno pesantemente la persona, nei confronti delle quali si può procedere con
preghiere, con esorcismi in senso lato. Per infestazione invece si intende in
genere il disturbo che riguarda cose e luoghi.
L’elemento decisivo è sempre
quello indicato nella prima lettera di san Pietro: «Siate temperati, vigilate.
Il vostro nemico, il diavolo, come leone ruggente va in giro, cercando chi
divorare. Resistetegli saldi nella fede, sapendo che i vostri fratelli sparsi
per il mondo subiscono le stesse sofferenze di voi» (1Pt 5, 8–9). “In” in
ebraico vuol dire sia “in” che “con”; in questo caso potremmo quindi tradurre:
«resistetegli saldi con la fede», dove la fede rappresenta l’elemento
determinante di qualsiasi lotta contro il demonio.
Prendiamo un altro passo
importante che è quello del capitolo sesto della lettera agli Efesini:
«Rivestitevi dell’armatura di Dio, per poter resistere alle insidie del
diavolo. La nostra battaglia infatti non è contro creature fatte di sangue e di
carne, ma contro i Principati e Potestà, contro i dominatori di questo mondo di
tenebra, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti.
Prendete perciò l’armatura di Dio, perché possiate resistere nel giorno
malvagio e restare in piedi dopo aver superato tutte le prove. State dunque ben
fermi, cinti i fianchi con la verità, rivestiti con la corazza della giustizia,
e avendo come calzatura ai piedi lo zelo per propagare il vangelo della pace.
Tenete sempre in mano lo scudo della fede, con il quale potrete spegnere tutti
i dardi infuocati del maligno; prendete anche l’elmo della salvezza e la spada
dello Spirito, cioè la Parola di Dio» (Ef. 6, 11–17).
Nel vangelo di Luca, il
Signore, che ha scacciato il demonio da un indemoniato, ci dà così la
spiegazione di quello che è successo: «Quando un uomo forte, bene armato, fa la
guardia al suo palazzo, tutti i suoi beni stanno al sicuro. Ma se arriva uno
più forte di lui e lo vince, gli strappa via l’armatura nella quale confidava e
ne distribuisce il bottino» (Lc 11, 20–22).
Chi è Gesù? È il più forte, in
grado di schiacciare il forte, cioè il demonio. Se dovessi dire quale è l’atteggiamento
che il cristiano deve avere nei confronti di questo mondo inquietante e
tenebroso, direi che non è quello della paura, ma quello della vigilanza, anzi
il cristiano in fondo se ha paura e nella paura si adagia, pecca, perché vuol
dire che non crede! Se noi diamo un’occhiata alla storia della salvezza vediamo
che a tutti i livelli c’è sempre una tensione, fra un “già” e un “non ancora”.
Il Signore ci ha già salvati, però noi abbiamo ancora qualcosa da fare a questo
mondo per accogliere questa salvezza. Così possiamo dire che il Signore ha già
vinto il demonio e che però il demonio è ancora all’opera. Quindi la vigilanza
la dobbiamo sempre avere senza mai perdere la consapevolezza della vittoria che
il Signore ha riportato sul demonio. Il demonio in fondo è vinto e noi lo
vinciamo nella misura in cui con la fede ci affidiamo interamente a quest’Uomo
più forte di lui che è Gesù nostro Signore.
È significativo anche il
confronto con altre culture non toccate dal cristianesimo. A volte ne ho
trovato conferma in alcuni missionari che sono venuti a contatto con
popolazioni in cui c’è un rapporto inquieto, teso, con il mondo degli spiriti,
come una paura costante nei confronti di un mondo dal quale si teme sempre un
attacco. Il cristianesimo allora porta serenità, perché porta la convinzione
profonda che questo mondo è soggiogato, è tenuto lontano, è controllato.
«La cultura atea dell’Occidente
moderno vive ancora grazie alla libertà dalla paura dei demoni portata dal
cristianesimo»[50]. L’ottimismo che pervade la nostra civiltà occidentale ha
questa origine cristiana, ma può anche mantenersi solo conservando i suoi rapporti
con il cristianesimo che lo giustifica (l’«uomo forte» non è da temere solo se
qualcuno «più forte» di lui lo tiene legato): «se questa luce redentrice del
Cristo dovesse spegnersi, pur con tutta la sua sapienza e tutta la sua
tecnologia il mondo ricadrebbe nel terrore e nella disperazione. Ci sono già
segni di questo ritorno di forze oscure, mentre crescono nel mondo
secolarizzato i culti satanici»[51].
4. L’aspetto pastorale e
liturgico
Ho svolto un ministero
pastorale in questo campo per più di dieci anni.
Nel mese di dicembre del 1992
(o poco prima) il Vescovo mi ha affidato l’incarico di prendere in esame i casi
di persone che si ritenevano oggetto di disturbi di origine malefica,
riservando a sé la qualifica e il ministero di esorcista della diocesi.
Ho usato sempre questa prassi:
più colloqui preliminari al fine di accertare con la massima accuratezza
possibile la reale situazione della persona. Quindi, nell’eventualità lo
ritenessi necessario, richiesta di celebrazione dell’esorcismo solenne da parte
del Vescovo. Il Vescovo ha sempre, di fatto, incaricato me. Ho cercato fin da
subito la collaborazione di medici specializzati in Psichiatria.
Descrivo qualche caso non tra
quelli che mi paiono più “eclatanti”, ma scegliendo alcuni casi emblematici, “tipici”
delle diverse situazioni che mi si presentano spesso nel ministero. Avverto che
la descrizione subisce modifiche di dettaglio, che non influiscono ovviamente
nella sostanza, onde salvaguardare la privacy delle persone.
1. Pochissimo tempo dopo aver
ricevuto l’incarico, si è presentata da me una signora di origine slava sui
cinquant’anni. Aveva frequentato a lungo l’ambiente degli «operatori dell’occulto»
facendo anche la rappresentante di ditte fornitrici del settore (carte, libri,
pupazzi, candele…). Io stesso più volte mi sono recato (in borghese…) a
visitare una libreria di Viareggio dove viene venduto materiale di questo
genere. Effettivamente si tratta di un giro commerciale di una certa
consistenza. La donna riteneva di avere ricavato da questa attività una serie
di disturbi di origine malefica. In certi momenti le capitava di perdere il
controllo di sé. Questa donna mi porta altre due persone: fratello e sorella,
ancora più disturbati di lei. Io cerco di tranquillizzarli e minimizzo l’importanza
del caso. Una sera arrivano all’improvviso. La ragazza è praticamente sorretta
da due persone e sta male. È molto pallida e non parla. Provo a recitare
qualche preghiera, ma le reazioni sono violente. Telefono al Vescovo chiedendo
istruzioni. Il Vescovo non ritiene che sia il caso di celebrare l’esorcismo
solenne. Chiedo comunque l’autorizzazione di utilizzare l’esorcismo di Leone
XIII che mi viene accordata. La reazione della ragazza è ancora più violenta:
urla e si dimena. Sono necessarie più persone per tenerla ferma. Una cosa
soprattutto mi colpisce: il movimento degli occhi è molto strano, anche se non
mi pare eccezionale. L’impressione soggettiva è comunque molto forte. Non
articola nessuna parola dotata di senso, il tono della voce però è decisamente
impressionante. Dopo circa un’ora di preghiera, interrompo e fisso un nuovo
incontro fra qualche giorno. Per il giorno fissato è presente anche uno
psichiatra, ma la ragazza non si presenta più, né avrò più sue notizie in
seguito.
2. P.B. è una ragazza di circa
vent’anni, figlia unica. Ha frequenti crisi che paiono collegate con una certa
fobia del sacro. Va in crisi quando si recita il Rosario. Vado a casa sua per
assistere ad una di queste crisi. Effettivamente si agita molto. I movimenti
però, per quanto scomposti, mi paiono decisamente controllati dalla ragazza. La
voce è solo un po’ stridula, ma tutto sommato normale. Non dice cose
significative. La indirizzo dallo psichiatra che, davanti alla resistenza alle
terapie e al persistere delle crisi decide di ricoverarla. I genitori –
soprattutto la madre – sono iperprotettivi. Il ricovero dura una quindicina di
giorni. La ragazza ne esce guarita.
3. Una giovane donna è affetta
da fortissimi mal di testa. Si è sottoposta a molte visite, anche specialistiche,
senza risultato. Risulta sana e le blande terapie proposte non hanno effetto.
La donna mi pare assolutamente normale e non particolarmente influenzata
religiosamente. La convivenza con la suocera (o altra persona di casa) è
difficile. È la presenza di questa persona, nella sua sensibilità, che fa
problema. La invito a pregare, soprattutto a perdonare. La vedo due volte (o
una soltanto?…) e la benedico. I mal di testa spariscono improvvisamente.
4. M.S. è una ragazza di circa
vent’anni. Conosce una persona molto strana che le parla di un mondo invisibile
con cui entrare in contatto. Partecipa a sedute spiritiche (guidate da questa
persona?). Mantiene una relazione (non so fino a che punto «pulita») con questa
persona molto più vecchia di lei, naturalmente di nascosto dai genitori. Sente
voci e vede luci di notte. La sensazione della luce che gira per la stanza è
piacevole. M. è strana e irrequieta. Ha diversi ragazzi perché molto bella, ma
i rapporti non sono mai sereni. Si confessa e tutto sembra sparire. A volte
però affiorano comportamenti strani, si direbbe distruttivi, nei confronti
delle persone. Sembra che si diverta a far soffrire le persone. Un suo ragazzo
si suicida. Una volta – forse l’ultima – viene da me per confessarsi. Poi,
prima che fossimo entrati in argomento e si accennasse alla confessione,
improvvisamente, si dà alla fuga. La inseguo. Prego di nascosto e lei inveisce
contro di me dicendomi «smettila di dire queste…».
5. Una giovane ragazza viene
coinvolta dal fidanzatino in un gruppo di giovani «satanisti». Li guida una
persona più matura. Vanno al cimitero e scoperchiano le tombe. Fanno riti
strani che culminano nel falò di un crocifisso. Non ho verificato la veridicità
di questo episodio, so però per certo che episodi di questo genere si sono
verificati nelle nostre zone. Ho avuto anche la visita di una ispettrice di
Polizia che voleva avere da me qualche informazione. Sono entrato in possesso
di alcune fotografie scattate da giornalisti. La ragazza mi pare assolutamente
sincera. L’episodio che fa scattare le turbe è questo: una sera la ragazza è
messa in una cassa da cui è stato tolto il cadavere. Da allora è agitata, non
dorme, fa fatica a entrare in Chiesa, ecc. Ottengo il permesso di esorcizzarla.
Si agita parecchio. Dopo diverse sedute incomincia a stare meglio. Mi telefona
che non ha più bisogno di venire.
6. Una signora di mezza età che
vive sola è spaventata dalla comparsa in casa di macchie con visi e simboli. Mi
reco sul posto. Spostiamo faticosamente (e pericolosamente) un grosso armadio
per visionare le macchie più sospette. Sono solo macchie di umidità. Accetta
docilmente la spiegazione e si confessa.
Questa è la prassi con cui
affronto abitualmente i casi.
Dopo qualche convenevole per
cercare di mettere la persona o le persone a proprio agio, mi faccio raccontare
di che si tratta. Ascolto e mi sforzo di completare il quadro con opportune
domande. In particolare cerco di accertare se la persona ha già da tempo
disturbi del genere, se ha seguito terapie, se è attualmente in cura. Indago
sulla sua frequentazione di maghi o sedute spiritiche o altro del genere. Sulla
sua fede e pratica cristiana, sulla situazione matrimoniale e familiare.
Per lo più mi limito ad una
esortazione che tende a rafforzare, in molti casi a riaccendere, la fede.
Faccio uso dei sacramentali, in particolare olio benedetto. Mai però senza che
questo gesto sia spiegato e accompagnato dalla Parola di Dio. Insisto sull’ascolto
della Parola di Dio, sulla recita del Rosario, sulla lettura della Bibbia, sulla
preghiera del cuore, sull’Eucaristia. Suggerisco la frequentazione di qualche
gruppo di preghiera, parrocchiale o altro e insisto perché si perseveri in
quello già frequentato, qualora ci sia.
Ho constatato che per molti la
partecipazione ad una Messa con preghiere di liberazione, molto movimentata ed
«emozionante», ha costituito il momento forte – la «scossa» – per un generale
riavvicinamento alla fede. In qualcuno l’effetto è stato disturbante (nel qual
caso li sconsiglio di continuare), in altri è il punto di partenza di un
cammino di fede che cerca contenuti, anche dottrinali, sempre più solidi. In
questo caso – per esempio – il «riposo nello Spirito» rappresenta un episodio
di passaggio.
In moltissimi casi il colloquio
sfocia in una confessione, che per tanti è la «seconda» della vita, e in molti
prosegue in un rapporto di guida spirituale.
Constato che le preghiere di
liberazione e gli esorcismi hanno un effetto per lo più positivo. Si può
certamente pensare ad un «effetto placebo», peraltro in sé tutt’altro che
disprezzabile se porta buoni frutti. Non mi pare però che tutto possa e debba
essere ridotto a questo.
L’esperienza che ho accumulato
mi ha confermato nella convinzione che l’uso dei sacramentali sia molto utile
se inserito in un contesto di fede. I sacramentali fanno parte della struttura
sacramentale della fede cristiana. L’abuso è certamente possibile. Mi è
capitato per es. il caso di una signora che per potenziare l’efficacia dell’olio
benedetto se ne era letteralmente versata in testa una bottiglia, con grande
sconcerto del figlio… Sono tuttavia riuscito a convincerla ad abbandonare
completamente questo tipo di pratiche! Bisogna notare però che l’abuso
attraversa tutti gli ambiti dell’esistenza cristiana: non risparmia neppure la
Bibbia, di cui si può fare un uso fondamentalistico, o la Messa che può essere
concepita come un gesto magico, soprattutto le Messe per i defunti. Constato
spesso con raccapriccio che il rapporto che la nostra gente ha con la Messa è
spesso di questo genere. Questo però non può essere una buona ragione per
allontanare i fedeli dalla Messa e neppure per mettere in discussione la
pratica delle Messe in suffragio dei defunti. La catechesi e – a monte – la
teologia dei sacramentali è utilissima. Essi rappresentano il modo tradizionale
della Chiesa per espandere l’ordine sacramentale a tutti i momenti della vita.
La vita del cristiano è esistenza sacramentale. Mi pare che la risposta
adeguata allo scadimento magicistico non sia l’esclusione, ma l’integrazione.
Altri esorcisti hanno
confermato una mia impressione: per lo più ci troviamo davanti a fenomeni
misti, dove cioè patologia e influsso malefico sono strettamente intrecciati.
Mi sento a questo punto anche
di produrre dei desiderata. È importante sottrarre l’esorcista dal suo attuale
isolamento pastorale, che gli conferisce per lo più una identità quasi “stregonesca”.
È importante dissolvere l’eccessiva
concentrazione sulla possessione e quindi sull’esorcismo solenne. Attualmente
il termine esorcismo è diventato sinonimo di esorcismo solenne, per cui si è
introdotto il neologismo “preghiere di liberazione”. Al di là di un problema di
terminologia sarebbe opportuno dotare la Chiesa di preghiere ufficiali di
taglio esorcistico che possano servire per tutti i casi (che sono i più
frequenti) che non rientrano nel caso della liberazione di un ossesso. Il
Benedizionale è stato accusato di aver eliminato ogni riferimento demonologico.
Non è proprio esatto: se si leggono bene le norme introduttive si vede che una
delle funzioni delle benedizioni è proprio quella di sottrarre le cose dall’influsso
del demonio, quindi – anche se poi la preghiera specifica non lo nomina
esplicitamente – la norma introduttiva dice che ha anche questa finalità[52].
Rimane tuttavia l’esigenza che vi siano anche preghiere con esplicito
riferimento esorcistico. Nel frattempo si può ricorrere a preghiere libere. Nel
1985 la Congregazione per la Dottrina della Fede ha inviato una lettera ai
vescovi richiamando le norme della Chiesa sugli esorcismi. Vi si dice che i
fedeli laici non possono usare le formule dell’esorcismo solenne e neppure
quelle dell’esorcismo di Leone XIII, tuttavia la lettera conclude che: «il
richiamo di queste norme […] non deve affatto allontanare i fedeli dal pregare
affinché, come ci ha insegnato Gesù, siano liberati dal male»[53].
Bibliografia sommaria
Per il momento esegetico
Rimane fondamentale: HEINRICH
SCHLIER, Mächte und Gewalten im Neuen Testament (Quaestiones Disputatae 3),
Freiburg i. B.: Herder, 1958; trad. it.: Principati e potestà nel Nuovo
Testamento, Brescia: Morcelliana 1967.
Per mettere a fuoco la
posizione di forte centralità del ministero esorcistico nel Nuovo Testamento ho
trovato di grande utilità:
SUSAN R. GARRETT, The Demise of the Devil. Magic and
the Demonic in Luke’s Writings, Minneapolis: Augsburg Fortress, 1989.
GRAHAM H. TWELFTREE, Jesus the Exorcist. A
contribution to the Study of the Historical Jesus, Peabody – Massachussetts:
Hendrickson Publishers, 1993.
Per il momento patristico
Jean–Claude Larchet è un
teologo francese di confessione ortodossa. Il suo “trittico” incentrato sulla
teologia della malattia costituisce un contributo di grande valore per il
nostro argomento. Valido anche per l’aspetto sistematico.
JEAN–CLAUDE LARCHET, Théologie de
la maladie, Paris: Éditions du Cerf, 1991; trad. it. Teologia della malattia
(Universale teologica 34), Brescia: Queriniana, 1993.
IDEM, Thérapeutique des
maladies mentales. L’expérience de l’Orient
chrétien des premiers siècles, Paris: Éditions du Cerf, 1992.
IDEM, Thérapeutique des maladies spirituelles. Une
introducyion à la tradition ascétique de l’Église orthodoxe, Paris: Éditions du
Cerf, 2000/4ª ed.
Per il momento sistematico
EGON VON PETERSDORFF,
Demonologia. Le forze occulte ieri e oggi, Invito alla lettura di Massimo
Introvigne, prefazione di Pietro Cantoni, Milano: Leonardo (Arnoldo Mondadori
Editore), 1995.
RENÉ LAURENTIN, Il demonio mito
o realtà. Insegnamento ed esperienza del Cristo e della Chiesa, trad. it.,
Milano/Udine: Massimo/Segno, 1995.
BENITO MARCONCINI – ANGELO
AMATO – CARLO ROCCHETTA – MORENO FIORI, Angeli e demoni. Il dramma della storia
tra il bene e il male (Corso di teologia sistematica, 11), Bologna: Edizioni
Dehoniane Bologna, 1991.
Sull’aspetto parapsicologico
MARIA TERESA LA VECCHIA,
Antropologia paranormale. Parte I: Fenomeni dell’occulto e della Parapsicologia
(ad uso degli studenti), Roma: Pontificia Università Gregoriana, 1989.
IDEM, Antropologia paranormale.
Parte II: Fenomeni preternaturali e soprannaturali (ad uso degli studenti),
Roma: Pontificia Università Gregoriana, 1989.
Sull’aspetto liturgico
ACHILLE M. TRIACCA, Esorcismo,
in: DOMENICO SARTORE, CSJ – ACHILLE M. TRIACCA, SDB – CARLO CIBIEN, SSP (a c.
di), Liturgia, Cinisello Balsamo (Milano): S. Paolo, 2001, pp. 711–735.
AA. VV., «Cacciate i demoni».
Manuale per l’uso, in: Rivista Liturgica 87 (6, 2000).
AA. VV., De exorcismis, in: Ephemerides liturgicæ 114
(3, 2000).
[1] MASSIMO INTROVIGNE, Il
cappello del mago. I nuovi movimenti magici, dallo spiritismo al satanismo,
Sugarco, Milano 1990, p. 39. Tutta questa importante opera di Introvigne può
essere considerata come la dimostrazione fattuale
di questo assunto. L’esito
della secolarizzazione non è stat la scomparsa della magia, ma la sua
ricomparsa in forme massificate.
[2] Per una corretta
comprensione del ruolo indispensabile e della dignità dell’argomento di “convenienza”
in teologia, si veda: GILBERT NARCISSE, O.P., Les raisons de Dieu. Argument de convenence et Esthétique théologique selon
saint Thomas d’Aquin et Hans Urs von Balthasar, prefazione di J. P. Torrel,
Fribourg Suisse: Editions Universitaires, 1997.
[3] Questo ruolo è francamente
riconosciuto da Karl Barth come un merito non trascurabile della angelologia
scolastica, in particolare di Tommaso d’Aquino, il doctor angelicus, cfr. Die
kirchliche Dogmatik (Studienausgabe 18), Die Lehre von der Schöpfung III/3 §§
50–51, Zürich: Theologischer Verlag, 1992, pp. 465–466.
[4] «Potest tamen dici esse
aliquam ideam materiæ secundum quod materia aliquo modo divinam essentiam
imitatur» (San Tommaso d’Aquino, De potentia, q. 3, a. 1 ad 13).
[5] GIACOMO BIFFI, La bella, la
bestia e il cavaliere, Jaca Book, Milano 1984, p. 52.
[6] Die christliche Glaubenslehre, vol. I (1840), pp.
670ss.
[7] RUDOLF BULTMANN, Nuovo
Testamento e mitologia, Brescia, 1970, p. 110.
[8] HERBERT HAAG, La
liquidazione del diavolo?, Brescia: Queriniana, 1970, p. 52.
[9] Ibid., p. 30.
[10] Cfr. per es.: FERDINANDO
ABBRI, Immagini della natura e reincanto del mondo nella cultura nord–americana,
in: ASSOCIAZIONE TEOLOGICA ITALIANA, La creazione e l’uomo, Padova: Messaggero,
1992, pp.145–156.
[11] WOLFHART PANNENBERG, Systematische Theologie,
vol. 2, Göttingen: Vandenhoeck & Ruprecht, 1991, p. 129.
[12] GEORGES TAVARD, Los ángeles
(Historia de los Dogmas II, 2b), trad. sp. dal ted., Biblioteca de Autores
Cristianos, Madrid 1973, p. 87; ERIK PETERSON, Il libro degli angeli, trad. it.
dal ted., Edizioni Liturgiche, Roma 1989.
[13] È una espressione di
Sergej Nikolaevic Bulgakov, a cui dobbiamo una delle più belle opere
angelologiche del nostro tempo: L’Échelle de Jacob, L’Age d’Homme, Lausanne
1987.
[14] HERBERT HAAG, La
liquidazione del diavolo?, Brescia: Queriniana, 1970, p. 52.
[15] D. F. STRAUß, Die christliche Glaubenslehre, vol.
I (1840), pp. 670ss.
[16] KARL BARTH, Die kirchliche Dogmatik, III/3,
Zürich: Theologischer Verlag, 1950, p. 479ss.
[17] KARL RAHNER, Diavolo in:
Sacramentum Mundi, trad. it., vol. III, Morcelliana, Brescia 1975, col. 68.
[18] Cfr. JEAN CARMIGNAC,
Recherches sur le «Notre Père», Letouzey & Ané, Paris 1969, pp. 306–312.
[19] Si vedano in particolare:
PAOLO VI, Discorso per l’udienza
generale del 15 novembre 1972 «Liberaci dal male», Insegnamenti di Paolo VI,
vol. X (1972), 1168–1173.
PAOLO VI, Omelia «Resistite
fortes in fide», 29 giugno 1972, Insegnamenti di Paolo VI, vol. X (1972), 703–709.
SACRA CONGREGAZIONE PER LA
DOTTRINA DELLA FEDE, Documento «Les formes multiples de la superstition» sul
tema «Fede cristiana e demonologia», 26 giugno 1975, Enchiridion Vaticanum 5
(1974, 1976), 1347–1393.
PAOLO VI, Discorso per l’udienza
generale del 23 febbraio 1977 «Vigilanza ed energia morale per resistere alle
tentazioni del mondo», Insegnamenti di Paolo VI, vol. XV (1977), 192–194.
GIOVANNI PAOLO II, Udienza
generale del 13 agosto 1986: «La caduta degli angeli ribelli», La Traccia 7 (8,
1986), 822–824.
GIOVANNI PAOLO II, Udienza
generale del 20 agosto 1986: «La vittoria di Cristo sul male», La Traccia 7 (8,
1986), 828–829.
GIOVANNI PAOLO II, Discorso per
l’udienza generale del 25 novembre 1987, La Traccia 8 (11, 1987), 1291–1293.
[20] Cfr. P. M. QUAY, Angels and Demons: the Teaching
of IV Lateran, in: Theological Studies 42 (1981), 20–45.
[21] PAOLO SACCHI, L’apocalittica
giudaica e la sua storia, Paideia Editrice, Brescia 1990, pp. 296–297.
[22] Nella seconda edizione del
LThK Karl Rahner ammoniva opportunamente di distinguere ma non separare l’azione
diretta dei demóni dalla lora azione indiretta, che si ricollega alla malattia,
alla sofferenza e alla morte. Cfr.
KARL RAHNER, Besessenheit. IV. Theologische Aspekte, in: Lexikon für Theologie
und Kirche II (1958), 298–300.
[23] All’odio verso l’uomo come
unico modo di dar sfogo all’odio verso Dio si somma anche un odio finalizzato
alla natura umnaa in quanto tale, perché in qualche modo intimamente connessa
alla vicenda della caduta degli angeli malvagi. Cfr. PIETRO CANTONI, Appunti
per una teologia del «primo peccato», in: Sacra Doctrina 39 (1, 1994), 25–50.
[24] Cfr. IRÉNÉE HAUSHERR, S.J., Philautía. Dall’amore
di sé alla carità, trad. it., Magnano (BI): Qiqajon, 1999 (1952).
[25] JEAN–CLAUDE LARCHET, Thérapeutique des maladies
mentales. L’expérience de l’Orient chrétien des premiers siècles, Paris:
Éditions du Cerf, 1992, p.65.
[26]Rituale romanum, titulus
XII, caput I, n. 3.
[27]Catechismo della Chiesa
Cattolica, n. 1673.
[28]Il can 1172, che restringe
la facoltà di compiere esorcismi ai presbiteri autorizzati, parla di «esorcismi
sugli ossessi», dove il termine «ossesso» è qui sinonimo di «posseduto».
[29]MONS. BOAVENTURA
KLOPPENBURG, O.F.M., La théorie du pacte avec le diable dans la magie
évocatoire, in JEAN–BAPTISTE MARTIN – MASSIMO INTROVIGNE (a c. di), Le défi
magique. II. Satanisme et sorcellerie, Lyon: Presses Universitaires, 1994, p.
241–257.
[30] Cfr. L. GARDETTE, Magie,
in: Dictionnaire de Théologie Catholique 9 (1927), 1510–1550.
[31] CONFERENZA EPISCOPALE
TOSCANA, A proposito di magia e demonologia, nota pastorale, 1 giugno 1994,
Firenze: Edizioni Cooperativa Firenze 2000, 1994. Esistono però altri documenti
sulla demonologia dei Papi e della Santa Sede che abbiamo già richiamato. Sull’azione
del demonio è fondamentale per autorevolezza: Concilio di Trento, Sessione V
(17 giugno 1546): DS 1511. Qui infatti la Chiesa ha definito come dogma di fede
che con il peccato originale l’uomo è caduto sotto il potere del diavolo. Cfr.
EGON VON PETERSDORFF, La potestà del diavolo. Un domma del Concilio di Trento,
Il Concilio di Trento 2 (4, 1943), 377–392.
[32] Op. cit., p. 22.
[33] CLIVE STAPLES LEWIS, Le
lettere di Berlicche (Oscar), trad. it., Milano: Mondadori, 1979, p. 3.
[34] Sul punto si può vedere
questa letteratura recente: BRIAN P. LEVACK, La caccia alle streghe in Europa
agli inizi dell’età moderna, Bari: Laterza, 1988; GUSTAV HENNINGSEN, L’
avvocato delle streghe. Stregoneria basca e Inquisizione spagnola, Milano:
Garzanti, 1990; GIOVANNI ROMEO, Inquisitori, esorcisti e streghe nell’Italia
della Controriforma, Firenze: Sansoni, 1990; RAINER DECKER, Die Hexen und ihre
Henker. Ein Fallbericht, Freiburg i. B.: Herder, 1994.
[35] EGON VON PETERSDORFF,
Demonologia, Milano: Leonardo, 1995, pp. 164–175.
[36] Cfr. LEO SCHEFFCZYK,
Exorzismus. III. Systematisch–theologisch, in: Lexikon für Theologie und
Kirche/3ª ed. 3 (1995), 1127: «Anche se la Chiesa presta attenzione alle
conoscenze delle moderne scienze umane, non può però riconoscerle come ultime
istanze di giudizio. La decisione deve essere presa alla luce dell’insieme dei
sintomi naturali–psicologici nell’ottica delle determinanti di carattere
salvifico o malefico secondo le regole del discernimento degli spiriti».
[37] Cfr. A. COHEN, Il Talmud,
trad. it. di Alfredo Toaff, Bari: Laterza, 1935 (reprint 1991), pp. 122–127 (le
due inclinazioni).
[38] Cfr. ancora: Mc1,32.34;
3,2.10–11; 6,13; 16,17–18; Lc 4,40; 6,18; 7,21; 8,2: 9,1; 13,32.
[39] Passim
[40] JEAN–CLAUDE LARCHET, Op.
cit., p. 56.
[41] Ibidem, nota 9.
[42] «In generale una
interpretazione demonologica del male nella vita della Chiesa, in particolare
nella sua interpretazione religiosa come possessione, dipende ultimamente
sempre dal carisma del discerniumento degli spiriti» (HANS J. LIMBURG,
Besessenheit VIII. Praktisch–theologisch,
in: Lexikon für Theologie und Kirche/3ª ed. 2 [1994], 317).
[43] MARIO M.A. GHIOZZI, Psichiatria
e epistemologia. La realtà culturale e quella teologica, Pisa: Pacini, 2000, p.
121.
[44] PIO SCILLIGO, Molteplicità
dei sé e possessioni, in EUGENIO FIZZOTTI (a c. di), La sfida di Beelzebul.
Complessità psichica o possessione diabolica?, Roma: LAS, 1995, p. 66.
[45] De exorcismis et
supplicationibus quibusdam, editio typica 1999, Prænotanda n. 16. Per un
confronto riporto il breve testo del Rituale precedente: «In primis, ne facile
credat, aliquem a dæmonio esse obsessum, sed nota habeat signa, quibus obsessus
dignoscitur ab iis qui morbo aliquo, præsertim ex psychicis, laborant. Signa
autem obsidentis dæmonis esse possunt: ignota lingua loqui pluribus verbis, vel
loquentem intelligere; distantia et occulta patefacere; vires supra ætatis seu
conditionis naturam ostendere; et id genus alia, quæ cum plurima concurrunt,
majora sunt indicia» (Titulus XII, caput I, n. 3).
[46] Cfr. Ibidem e anche: M.
GARUGLIERI – P.F. LORENZI – M. DI FIORINO, Personalità multipla: elementi
storici e “credenze” nosografiche, in: Psichiatria e territorio 16 (1–2, 1999),
43–57.
[47] Cfr. MASSIMO INTROVIGNE,
Indagine sul Satanismo. Satanisti e anti–satanisti dal seicento ai nostri
giorni, Mondadori, Milano 1994, pp. 325–346.
[48] «Sembra accertato che
fatti di autentica xenoglossia possano aversi solo nei casi di possessione»
(MARIA TERESA LA VECCHIA, Antropologia paranormale. Parte I: Fenomeni dell’occulto
e della Parapsicologia (ad uso degli studenti), Roma: Pontificia Università
Gregoriana, 1989., p. 186).
[49] La terminologia non è
purtroppo ben fissata. Il Codice di Diritto Canonico parla di ossessi nel senso
di posseduti, mentre la maggioranza degli autori distingue fra ossessione e
possessione. Anch’io scelgo questa terminologia.
[50]JOSEPH RATZINGER – VITTORIO
MESSORI, Rapporto sulla fede, Cinisello Balsamo (MI): Paoline, 1985, p. 145.
[51]Ibidem.
[52]«Per antica tradizione le
formule di benedizione hanno soprattutto lo scopo di rendere gloria a Dio per i
suoi doni, chiedere i suoi favori e sconfiggere il potere del maligno nel
mondo» (Benedizionale, Premesse generali, 11).
[53]CONGREGAZIONE PER LA
DOTTRINA DELLA FEDE, Lettera «Inde ab aliquot annis» del 29 settembre 1985,
Enchiridion Vaticanum 9 (1985), 1667.