LITURGIA IL LIBRO DI LUIGI D’AYALA
VALVA RACCOGLIE LA LETTERATURA BIZANTINA SUL TEMA: DA MIRACOLO DEI MISTERI A
FARMACO DI IMMORTALITÀ
Eucaristia, il doppio scandalo
al cuore del cristianesimo
Dal molteplice all’uno. I
sacrifici degli agnelli nell’antica alleanza venivano fatti molte volte, ma
erano anche vani. Il sacrificio della nuova alleanza, invece, una volta sola,
per volontà di Dio. Differenze di tradizione. Tutto avviene per intervento
miracoloso dello Spirito Santo, sebbene questo intervento venga ricordato nei
testi dei padri greci e non ancora nei vangeli sinottici. La comunione del
corpo e del sangue, presenza reale tra i fedeli.
In un libro affascinante,
Entrare nei misteri del Cristo (Qiqajon, pp. 652 50), Luigi d’Ayala Valva
raccoglie i testi della liturgia eucaristica, come si sviluppò nella
letteratura bizantina dal II al XIV secolo, da Ignazio d’Antiochia a Nicola
Cabasilas. Seguirà un secondo volume, con i paralleli testi latini. Nella
letteratura bizantina, l’eucaristia è il cuore della religione cristiana:
«miracolo dei misteri», «il farmaco d’immortalità», la «messa sacra e
tremenda». «Oh tremendo mistero! Oh ineffabile economia di salvezza!», «Oh
incomprensibile condiscendenza», «Oh insondabile compassione!», così esclama
Teofilo d’Alessandria, verso la fine del quarto secolo. Durante la messa
eucaristica e la liturgia che la ricorda, le parole dei fedeli celebrano i
cherubini, i serafini, e tutte le potenze angeliche. In quello stesso momento,
le innumerevoli schiere, che stanno attorno al trono di Dio, cantano l’inno di
gloria, interrompendo e variando la voce del sacerdote. A piena voce, dall’alto,
echeggiano le parole: «Santo, Santo, Santo, il Signore Sabaoth». Questo doppio
inno umano ed angelico ha una funzione apocalittica, perché rivela che la
liturgia della Chiesa trascende non solo ogni realtà mondana ma anche sé stessa
come liturgia, trovando compimento nella realtà celeste e anticipando l’inno
glorioso della fine dei tempi. Se i cristiani hanno l’ardire di servirsi delle
stesse parole dei cherubini e dei serafini, lo fanno perché sono coscienti che
Cristo ci ha permesso di diventare immortali come gli angeli. In quei canti che
dal basso salgono in alto e dall’alto scendono in basso, regna il timore, la
reverenza, la cautela: le parole che arditamente volano in alto, nell’alta
camera occupata da Gesù, non interrompono mai la più profonda misura. Ma questo
timore è pieno di un immenso fuoco. «Ohi magari ( scriveva Origene ) si infiammasse
anche il nostro cuore dentro di noi mentre spieghiamo le Scritture, e
divampasse un fuoco nella nostra meditazione. Così Geremia accendeva gli
ascoltatori: niente di tiepido e di freddo rimaneva dentro di loro; ma come il
fuoco distrugge ogni materia, e non accoglie in sé nulla di contaminato, così
anche coloro il cui cuore è stato toccato dalla fiamma della parola divina, non
sopportano più di essere contenuti nelle apparenze materiali e mondane, ma le
loro lampade resteranno sempre accese e le loro lucerne ardenti, come quelle
dei servi che aspettano il padrone di ritorno dalle nozze». Questo fuoco non
deve bruciare chiuso sotto il moggio: ma illuminare liberamente le lontananze,
restando acceso sopra il candelabro. Tutta la meditazione sull’eucaristia viene
improntata dalla doppia forza del timore e del fuoco. L’antica, originaria
alleanza tra Dio ed Israele era avvenuta nell’Esodo. Mosé costruì un altare ai
piedi della montagna, con dodici steli per le dodici tribù d’Israele; i giovani
ebrei sacrificarono i tori al Signore; Mosé lesse ad Israele il libro dell’alleanza,
asperse il popolo con il sangue dei tori, e disse: «Ecco il sangue dell’alleanza,
che il Signore ha stabilito per voi, sulla base di tutte queste parole». Non
era il solo legame tra Dio ed Israele. Prima della fuga dall’Egitto, ogni
famiglia prese un agnello, maschio, puro e senza difetti, e lo sgozzò al
crepuscolo, macchiando di sangue i due montanti e l’architrave di ogni porta.
Poi tutti gli ebrei, quella notte, arrostirono la carne degli agnelli sul
fuoco, e la mangiarono con pane senza lievito e con erbe amare: niente di crudo
o di cotto nell’acqua, ma tutto arrostito sul fuoco, con la testa, le zampe e
le frattaglie. Quello che restò il mattino, venne bruciato. Anche il Nuovo Testamento
conosce una alleanza tra Dio e il suo popolo: la nuova alleanza, che avrebbe
insieme confermato e cancellato l’antica. Durante l’ultima cena, come
raccontano i tre vangeli sinottici, Gesù disse ai discepoli: «Ho desiderato
ardentemente mangiare questa pasqua con voi prima della mia passione. Vi dico
infatti che non la mangerò fino a quando sia compiuta nel regno di Dio». E
preso un calice, dopo aver reso grazie, disse: «Prendetelo e distribuitelo tra
voi. Vi dico infatti che da questo momento non berrò del frutto della vigna
finché sia venuto il regno di Dio». Poi, preso un pane e reso grazie, lo spezzò
e lo diede loro dicendo: «Questo è il mio corpo che è dato per voi. Fate questo
in memoria di me». E allo stesso modo con il calice, dopo aver cenato, dicendo:
«Questa è la nuova alleanza nel mio sangue che è versato per noi». I sacrifici
degli agnelli nell’antica alleanza avvenivano molte volte: giacché erano
molteplici, dicono i padri greci, erano anche vani. Il sacrificio della nuova
alleanza avviene invece una volta sola, per volontà di Dio e di Cristo, quando
Gesù sale sulla croce e muore in croce anticipando il suo gesto ai discepoli
durante l’ultima cena: per questo carattere di assoluta unicità, la cerimonia
della nuova alleanza è fondata ed eterna. È vero che anch’essa si ripete, ogni
volta che i fedeli accostano alla bocca il pane ed il vino: ma il fondamento
dell’alleanza sta indietro, all’origine, quando Gesù si immola sulla croce per
perdonare i nostri peccati. Il gesto di Cristo durante l’ultima cena è, in
primo luogo, un ricordo: quel pane spezzato in pezzi più o meno minuti ci
racconta di scorcio l’episodio della crocefissione, quando, allo stesso modo,
le membra di Gesù erano state colpite, ferite, vilipese, spezzate. Ma, nella
sua essenza, il gesto di Gesù è molto più di un ricordo. È una conversione: una
metamorfosi. Mentre Gesù offre il pezzo di pane e il sorso di vino ai
discepoli, egli trasforma quelle semplici specie naturali nel suo stesso corpo,
nel suo stesso sangue, e solo in questo modo il suo gesto diventa il segno
fisico della nuova alleanza. Ora, le membra e il sangue di Cristo sono lì,
sulla tavola, nelle mani di Gesù, o nel calice, che egli tiene in mano: sono
state trasformate in pane ed in vino; e Gesù raccomanda ai discepoli di
mangiare e di bere, come fanno ogni giorno quando mangiano e bevono il pane e
il vino della loro esistenza. Questo è il doppio scandalo, il doppio, grandioso
paradosso dell’Eucaristia: la conversione del pane e vino in corpo e sangue di
Cristo; il cannibalismo mistico, per cui i fedeli gustano il corpo del loro
Signore. Per quanto possa sembrare assurdo e incomprensibile, i fedeli devono
accettare questo mistero: senza l’eucaristia, intesa non in senso simbolico ma
in senso fisico, non esiste nessun cristianesimo, il quale ha bisogno di questo
doppio scandalo e ne fa la sua essenza. Guardando ed ascoltando ciò che accade
con occhi e orecchie mistiche, i fedeli comprendono che le parole del
sacerdote, le quali ripetono alla lettera quelle del Cristo, operano la grande
metamorfosi: la stessa che le parole e i gesti di Gesù avevano operato durante
l’ultima cena. Tutto avviene per intervento miracoloso dello Spirito Santo,
sebbene questo intervento venga ricordato nei testi dei padri greci e non
ancora nei vangeli sinottici. Mentre Gesù offre il suo corpo ai discepoli
durante l’ultima cena, egli è già morto: sembra vivo, parla con perfetta
ragionevolezza, come fanno i viventi e non i morti; eppure il corpo della
vittima, se fosse ancora vivo, non sarebbe adatto alla manducazione da parte
dei discepoli. Questa interpretazione non viene data dai vangeli sinottici, ma
dai padri greci, i quali pensano che il corpo di Cristo sia già stato
segretamente immolato, forse dallo Spirito Santo. Tutto ciò che racconta la liturgia
bizantina dell’eucaristia è egualmente ineffabile e inconcepibile. I fedeli
sanno che ognuno di loro assorbe soltanto un pezzo di pane e un sorso di vino:
dunque una parte minima del corpo di Cristo; eppure i padri greci ci assicurano
che, nell’eucaristia, i fedeli possiedono e gustano l’intero corpo di Cristo.
Origene assicura che ognuno di essi lo gusta secondo la propria necessità e la
propria natura: tocco non meno misterioso di quelli di cui abbiamo parlato
finora.* * *Alla fine, avviene la metamorfosi definitiva. Pur restando in
apparenza esseri umani, i fedeli si trasformano nel corpo vivente di Cristo:
tutto viene divinizzato, secondo il profondo desiderio del pensiero bizantino.
Non ci sono più corpi isolati e divisi, non c’è più nulla di terreno e di
mondano; ma c’è soltanto l’unico, immenso corpo divino della Chiesa, che si
identifica totalmente e assolutamente con quello del Cristo. L’aveva già detto
Ignazio di Antiochia, pochi decenni dopo la morte di Gesù. «Cercate dunque di
avere un’unica eucaristia. Una sola infatti è la carne del Signor nostro Gesù
Cristo e uno solo il calice che ci unisce nel suo sangue, uno solo è l’altare,
come uno solo il vescovo, insieme al presbiterio e ai diaconi, miei compagni di
servizio. Tutto ciò che farete, lo farete secondo Dio». RIPRODUZIONE RISERVATA
Citati
Pietro
Pagina 23
(21 luglio 2013) – articolo del
Corriere della Sera
Nessun commento:
Posta un commento