Sub tuum praesídium confúgimus,
sancta Dei Génetrix;

nostras deprecatiónes ne despícias in necessitátibus;
sed a perículis cunctis líbera nos semper,
Virgo gloriósa et benedícta.

sabato 14 settembre 2013

Gesù ha detto: "Io sono il pane della vita"

Il miracolo eucaristico di Lanciano (Chieti), richiama all’attenzione del credente la Verità sulla presenza reale di Gesù nell’Ostia consacrata e confuta tutte le diverse eresie emerse nella storia che la vorrebbero negare, anche contro l’evidenza della Parola di Dio a riguardo, basti leggere quello che dice san Giovanni apostolo ed evangelista, riportando integralmente l’insegnamento del Signore sulla santa Eucaristia.

“ Gesù rispose: "Questa è l'opera di Dio: credere in colui che egli ha mandato". Allora gli dissero: "Quale segno dunque tu fai perché vediamo e possiamo crederti? Quale opera compi? I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: Diede loro da mangiare un pane dal cielo". Rispose loro Gesù: "In verità, in verità vi dico: non Mosè vi ha dato il pane dal cielo, ma il Padre mio vi dà il pane dal cielo, quello vero; il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo". Allora gli dissero: "Signore, dacci sempre questo pane". Gesù rispose: "Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete. Vi ho detto però che voi mi avete visto e non credete. Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me; colui che viene a me, non lo respingerò, perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato. E questa è la volontà di colui che mi ha mandato, che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma lo risusciti nell'ultimo giorno. Questa infatti è la volontà del Padre mio, che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; io lo risusciterò nell'ultimo giorno". Intanto i Giudei mormoravano di lui perché aveva detto: "Io sono il pane disceso dal cielo". E dicevano: "Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui conosciamo il padre e la madre. Come può dunque dire: Sono disceso dal cielo?". Gesù rispose: "Non mormorate tra di voi. Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell'ultimo giorno. Sta scritto nei profeti: E tutti saranno ammaestrati da Dio. Chiunque ha udito il Padre e ha imparato da lui, viene a me. Non che alcuno abbia visto il Padre, ma solo colui che viene da Dio ha visto il Padre. In verità, in verità vi dico: chi crede ha la vita eterna. Io sono il pane della vita. I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia. Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo". Allora i Giudei si misero a discutere tra di loro: "Come può costui darci la sua carne da mangiare?". Gesù disse: "In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me. Questo è il pane disceso dal cielo, non come quello che mangiarono i padri vostri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno". Queste cose disse Gesù, insegnando nella sinagoga a Cafàrnao. Molti dei suoi discepoli, dopo aver ascoltato, dissero: "Questo linguaggio è duro; chi può intenderlo?". Gesù, conoscendo dentro di sé che i suoi discepoli proprio di questo mormoravano, disse loro: "Questo vi scandalizza? E se vedeste il Figlio dell'uomo salire là dov'era prima? È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che vi ho dette sono spirito e vita. Ma vi sono alcuni tra voi che non credono". Gesù infatti sapeva fin da principio chi erano quelli che non credevano e chi era colui che lo avrebbe tradito. E continuò: "Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre mio". Da allora molti dei suoi discepoli si tirarono indietro e non andavano più con lui. Disse allora Gesù ai Dodici: "Forse anche voi volete andarvene?". Gli rispose Simon Pietro: "Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna; noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio" . ( Gv 6,29:69 )


E’ il Miracolo più grande nella storia della Chiesa riguardo al Sacramento dell’Eucaristia. Sono passati ormai quattordici secoli, ma non è stato mai dimenticato. Nonostante le vicende del tempo, il Miracolo è sopravvissuto alle indagini della fede, della storia, della scienza. La sua attualità è sorprendente per la trasformazione dell’ostia in Carne, del vino in Sangue e per la loro non corruzione, secondo i risultati della scienza. Il Miracolo è come se fosse avvenuto oggi. Un oggi continuato e permanente. Oggi come mille anni fa, come fra cento anni, stando al corso naturale della storia e del nostro pianeta. In 1300 anni quanti avvenimenti, fenomeni di ogni genere, eppure il Miracolo è lì a testimoniare la sua incolumità e continuità. Il Miracolo di Lanciano è un fatto clamoroso per la Chiesa e per la scienza. La fede richiama il Miracolo all’ultima Cena, alla sera del Giovedì santo quando Gesù istituisce l’Eucaristia con le sue parole divine e onnipotenti: “questo è il mio Corpo, questo è il mio Sangue”. In quel momento avveniva la trasformazione mirabile e miracolosa del pane e del vino. Era un evento soprannaturale che riguardava la teologia e la scienza per il mutamento degli elementi materiali. La frequenza di tanti pellegrini da ogni parte del mondo avviene, sia per la transustanziazione del pane e del vino nella visibilità della Carne e del Sangue, sia per la loro incorruzione. Negare il Miracolo sembra impossibile. La Chiesa per affermarne la verità e l’autenticità vi ha impiegato quattro ricognizioni canoniche (1574,1637,1770,1886) e tre scientifiche (1971, 1976,1981). Di fronte al Miracolo, pur non essendo un dogma di fede, non si può rimanere indifferenti o scettici. L’evidenza e la certezza sono altamente comprovate dal tempo, dalla Chiesa, dalla scienza. Se il Miracolo è vero, quale atteggiamento o comportamento può avere il credente verso l’Eucaristia? Prima di tutto credere fermamente alla presenza di Gesù nell’Eucaristia. Da ciò sorge la certezza nelle sue parole e l’adorazione al Sacramento. L’Eucaristia con le parole di Gesù: “fate questo in memoria di me” riattualizza la sua morte e risurrezione per noi, oggi. La fede porta a ricevere l’Eucaristia: “prendete, mangiate”, a rivivere il mistero della Pasqua: “fate questo in memoria di me”. L’Eucaristia oggi, come allora ripresenta alla nostra vita la persona del Signore e la sua missione salvifica. Essa è il segno di un amore infinito: “questo è il calice per l’eterna e la nuova alleanza”. Non c’è dono più grande dell’Eucaristia. In essa si offre ancora il Figlio di Dio per la salvezza dell’umanità. Sarà così fino alla fine del mondo.

venerdì 13 settembre 2013

La venerazione al Crocifisso è virtù salvifica

Propongo ai lettori una breve storia del Crocifisso, il simbolo autentico della fede cristiana che ciascun battezzato dovrebbe portare sul petto con coraggio.

La Croce paleocristiana

Il segreto della Croce nel simbolo del pesce.

Percorso in nove punti.

1° Nei primi secoli del Cristianesimo non si "scorge" il segno della croce. La ragione del mistero è legata alla persecuzione dei primi Cristiani: occorreva camuffare con simboli misteriosi e incomprensibili l'appartenenza a quella religione.

2° Il simbolo maggiormente utilizzato fu il pesce-delfino: segno di riconoscimento di Cristo ed emblema cristologico per eccellenza. Pertanto, nel simbolo del pesce doveva celarsi il segreto della croce. Tuttavia, i teologi non sono riusciti a cavare un ragno dal buco: non è stato individuato l'emblema della croce nella figura del pesce.

3° Se per un attimo pensassimo che nel pesce non c'era alcuna attinenza con la crocifissione, ciò significherebbe che i primi cristiani giudicavano irrilevante l'atto più rilevante del Cristianesimo. Francamente, ci sembra un'ipotesi infondata. Dunque, proviamo a ricercare quel nesso occulto tra la figura del pesce-delfino e il simbolo della crocifissione.

4° Scartiamo innanzitutto il parallelismo tra parole e figure: l'acronimo greco ICQUC "Gesù Cristo di Dio Figlio Salvatore" è solo una forzatura che trasmigra dal disegno romano alle parole greche. Per di più, quelle parole non indicano la croce né l'episodio della crocifissione. Per gli stessi motivi vanno scartate quelle acrobazie esegetiche che si arrampicano sugli specchi per i significati eucaristici del pesce.

5° Seguiamo invece la strada più semplice per giungere al verosimile. L'elemento essenziale del simbolo-pesce è nel perimetro che costituisce l'essenza del segno catacombale. E nella sagoma della linea esterna è nascosta probabilmente la chiave del mistero.

6° Prima, però, occorre compiere un piccolo passo indietro sul tema della croce. Al tempo dei Romani erano in uso diverse forme di croci: 1) Il patibolo (crux simplex) 2) La croce a X  (del martirio di sant'Andrea) 3) La croce a T  (crux commissa) 4) La croce detta greca (con 4 bracci uguali). Non esisteva ancora la croce divenuta poi simbolo del Cristianesimo.

7° Esaminiamo brevemente la crux simplex: la più antica. Presso gli Assiri la crux simplex era adoperata come forca. Presso i Romani il palo era utilizzato come patibolo per legare il condannato. La crux simplex aveva una forma semplice, un tronco acuminato piantato sul terreno e sul quale venivano legate le mani e i piedi del condannato. Nella Legge di Dio c'era la lapidazione, mentre nella legge dei Romani la crocifissione. Cristo fu assassinato dai romani e non dagli ebrei, motivo per cui occorre risalire alla prassi dell'impero romano raffigurata nei dipinti dell'epoca per identificare il vero "palo" della crocifissione. Quando nell'Antico Testamento si parla di croce - dice Marucchi - si tratta di questa semplice croce "crux simplex" [Dictionn. de la Bibl.]. Il patibolo, strumento di supplizio, era chiamato in latino stipes, lignum o anche arbor – che invece San Girolamo (Bibbia del 405) tradurrà più volte per "cruce" = "croce". E da allora così è rimasto. Nella pagina dal palo alla croce si può notare una correzione della CEI sulla parola "cruce" nella Bibbia di San Girolamo. In ogni caso, ci sono anche altri riscontri testuali. Ad esempio, il Breviario Romano - nel riportare il martirio di san Marco e san Marcelliano (286 d.C.) - recita: "Ad stipitem alligati sunt, pedibus clavis confixis".  Significa che i fratelli Marco e Marcelliano furono legati ad un tronco e trafitti nei piedi con acuti chiodi. Infatti Seneca chiama il tronco "acuta crux". Quindi, in un'epoca successiva alla crocifissione di Cristo (Diocleziano), era normalmente in uso il palo presso i Romani. Lo stesso discorso vale per San Sebastiano, anch'egli martire sulla crux simplex. Inoltre, nel testo biblico c'è una particolarità descrittiva che converge con la tesi del palo, risalente a prima di Cristo.

8° Proviamo adesso a rappresentare l'immagine della crocifissione sulla crux simplex confrontandola con i lineamenti del pesce-delfino delle catacombe. Il pesce ha mimetizzato il patibulum con una decodificazione simbolica. Il delfino era raffigurato in posizione orizzontale (tranne qualche sparuto caso), cosicché «l'eloquente» pesce era incomprensibile e silente, tanto necessario nelle persecuzioni. Per di più, in greco, il vocabolo pesce (Icthûs) permette di comporre un singolare acrostico, ossia: "Gesù Cristo figlio di Dio, Salvatore". La scelta del delfino, tra l'altro, ben si concilia con la pinna caudale spalancata sui due lobi che allude ai piedi divaricati dell'impalato. E per comprendere che nelle esecuzioni i piedi erano disposti ad angolo e non accavallati è sufficiente osservare la surrettizia evoluzione dei chiodi nel crocifisso cristiano. 

9° Il segreto della metafora del pesce, in quanto trasmesso oralmente, si è poi dissipato nel passaggio generazionale allorquando si è chiusa la fase della clandestinità. E nessuno ha più avuto bisogno di quel simbolo catacombale ormai trapassato e seppellito. Successivamente, i testi biblici hanno fatto da battistrada alle nuove icone plasmate sulla parola "croce" [con la Bibbia di San Girolamo], che hanno dato vita a molteplici anagrammi e acrostici eterogenei e discordanti tra loro, sia pur con la prevalenza della croce a X. Qualche secolo dopo [inizio IV d.C.], dopo l'editto di Costantino, si passò dalle catacombe alle chiese. In questo trapasso è stata concepita un'immagine più artistica per esaltare la "gloriosa croce": il simbolo a T per poi giungere alla croce latina. Nell'arco di questa transizione c'è stato il passaggio dal pesce catacombale alla fiction della croce attuale.

L’evoluzione della Croce a T

Nell'estetica e nel contenuto dal IV secolo al 1420 (Brunelleschi).

LA SAGOMA DELLA CROCE Dopo l'editto di Costantino (313 d.C.) si passò dalle catacombe alle chiese, una transizione che ha cambiato radicalmente il simbolo della croce. L'immagine della crux simplex - essendo rozza - non si accordava con un discorso artistico. Il pesce, con l'essenza figurata della croce, apparteneva a un simbolismo semplice della clandestinità. Ragion per cui, superata la fase della persecuzione, si è aperta la fase della raffigurazione artistica per la "glorificazione della forca". L'arte cristiana si è impossessata della croce a T con i primi dipinti del IV secolo. Tuttavia, successivamente l'ha arricchita sino a giungere all'attuale simbolo con il vettore verticale che si allunga sopra la trave orizzontale.

I CHIODI Premessa essenziale. Secondo i quattro Vangeli non c'è stata una crocifissione "privilegiata" per Cristo e una crocifissione "comune" per i ladroni. Cioè, Cristo è stato crocifisso come gli altri condannati: sullo stesso tipo di croce e nell'identico modo. Vero è che in qualche dipinto medievale Cristo appare legato con le corde. Ma già prima i chiodi avevano preso il sopravvento. Nelle prime due figure Gesù appare crocifisso mediante chiodi; i due ladroni invece sono legati con corde. I ladroni evidenziano il gradino iconografico precedente, le tracce della metamorfosi del Crocifisso. In un caso o nell'altro, i venerandi artisti hanno mentito. I chiodi comparvero per la prima volta sulle mani, mentre i piedi restarono liberi o annodati con una corda. In seguito, ciascun piede fu trapassato da un chiodo. In totale quattro chiodi (come nella croce della Chiesa Ortodossa). Infine, con la scuola di Margaritone e Cimabue, si passò a un solo chiodo sui due piedi accavallati. Così da giungere a tre chiodi complessivi, in ossequio al significato allegorico e esoterico del numero 3.

IL POGGIAPIEDI [suppedaneo] La croce, oltre ad essere uno strumento di tortura, aveva funzione "deterrente" per scoraggiare le rivolte (Spartacus 71 a.C.) e l'inosservanza delle leggi. In quell'ottica era del tutto illogico far riposare "comodamente" i piedi del condannato-torturato. Anche qui è utile comunque osservare la differenza tra Cristo e i due ladroni. Si riscontri la differenza tra i chiodi e le corde sui piedi dei tre condannati.

VOLTO ADDOLORATO E TESTA RECLINATA Nei primi dipinti troviamo un Cristo dal volto gioioso, occhi aperti e con il capo ritto. Quel volto esprimeva il concetto di redenzione nella beata sofferenza: il sublime appagamento per un'uccisione attesa che doveva compiersi. In verità il presagio beatificante è un falso, tant'è vero che Cristo prima di morire gridò al Padre "perché mi hai abbandonato?".

LA CORONA DI SPINE In nessun condannato è presente un anello spinato. Anzi, per lungo tempo sul capo di Cristo troviamo un'aureola, mentre solo più tardi comparirà la corona di dolenze. Il tutto per aggiungere maggior "dolore teologico". D'altro canto, i due temi (volto-gioioso/aureola e volto-addolorato/spine) sono intrecciati in una concezione diametralmente opposta. Entrambi, comunque, hanno una stessa finalità di fiction. Dal Messia sereno si è passato al Messia delle sofferenze mediante il trapianto di una corona di spine che ha aggiunto maggior evidenza ai triboli dell'espiazione, così da accrescerne la carica emotiva.

LA SIGLA JNRI Oltre ai dipinti possiamo avvalerci dei testi evangelici: Matteo 27,37 «Questi è il re dei Giudei»; Marco 15,26 «Il re dei Giudei»; Giovanni 19,19 «Gesù il Nazareno, il re dei Giudei»; Giovanni 19,21 «Non scrivere: il re dei Giudei, ma che egli ha detto: Io sono il re dei Giudei».

IL TITULUS CRUCIS: PERCHÉ LE PAROLE SONO STATE PUNTEGGIATE? A)  Il testo biblico depennato. Nel testo c'era la motivazione della condanna, così come prescritta dal diritto romano. L'iscrizione era in tre lingue: Greco, Latino ed Ebraico. (Luca 23,38) Così è scritto nella Vulgata, ma la Bibbia CEI ha cancellato queste parole. Perché? B)  Ragioni di contenuto. Il "Re di un popolo o di una nazione" è infinitamente lontano e immensamente discordante dal concetto di un Dio universale. Quel riferimento patriottico sconfessa il ruolo e l'essenza "dell'entità Assoluta" sovranazionale e soprannaturale. Qualcuno ha osservato che punteggiando la frase (JNRI) non viene richiamata alla memoria l'enunciazione, così che evitando di pronunciarla si evita di riflettere sull'incongruenza evocativa. Chiaramente, alla bisogna, sono state scelte le parole di Giovanni, giacché quelle di Matteo e di Marco sono ancor meno pregevoli.

L'ALTEZZA DELLA CROCE Le croci, secondo l'uso romano del tempo, non erano alte. Il condannato, tutt'al più, rimaneva coi piedi un palmo al di sopra del terreno. L'altezza della testa di Cristo si può desumere anche dalla canna di issopo sulla quale era stata infissa una spugna per inumidire le labbra di Gesù. L'issopo è infatti una pianta piuttosto bassa e la canna può misurare appena un piede [30 centimetri]. Cosicché la testa di Gesù era all'altezza di un uomo con un braccio elevato più una parte della lunghezza della canna: in tutto 220 - 230 cm circa: bassissima.

RICOPERTO I condannati, tra le varie crudeltà, subivano anche lo svestimento. Ma del Cristo ignudo non desideriamo parlare. Anzi, per deontologia, ci piace considerare "artisticamente corretta" l'alterazione dell'immagine. Da un discorso di un teologo agli artisti sull'idealismo della Croce: il problema plastico del Crocifisso. «Il primo fine dell'arte sacra deve essere l'espressione della nostra adorazione a Dio (…) sorpassando e trasfigurando la materia, anche oltre le sue leggi. L'arte sacra ha un secondo fine "ermeneutico", cioè deve essere la forma ausiliaria dell'eloquenza sacra: i pittori fanno per la religione coi loro quadri quanto gli oratori con i loro discorsi....»  Op. sopra cit. pagg. 50 e 51.

Nota

La trasfigurazione della Croce, pur falsificando il simbolo della venerazione, ha un valore del tutto marginale nell'ambito della dottrina divina. È una questione puramente profana; alla stregua della polemica sui preti-atei. Pur tuttavia, è la riprova che il vizio o la necessità della manipolazione sono presenti in molti passaggi della teologia biblica; finanche per quanto attiene al segno della Croce. Comunque per il credente è necessario sapere che Gesù si è sacrificato veramente su una Croce di legno costituita da un palo verticale e un patibolo orizzontale, come è scritto nei Vangeli storici e ha sofferto la sua Passione per amore di ciascuno di noi, per redimerci dal peccato e dalla morte.

giovedì 12 settembre 2013

Ut omnes unum sint

Sintesi delle differenze e dei punti in comune tra cattolici, protestanti e ortodossi: cattolici e ortodossi sono profondamente vicini, mentre i protestanti appartengono a varie realtà separate. La domanda cruciale è: “ Chi possiede integralmente la Verità rivelata? ”.

Le Scritture. I cattolici e gli ortodossi accolgono tutti i 46 libri che compongono il Canone delle Sacre Scritture, i protestanti solo 39.

La figura di Maria. I protestanti in genere, a differenza dei cattolici e degli ortodossi non credono alla verginità perpetua di Maria, né alla sua immacolata concezione né alla sua assunzione in cielo e non recitano il rosario. Accettano di Maria solo ciò che è espressamente detto nei Vangeli.

I sacramenti. La Chiesa cattolica concorda con le Chiese ortodosse nel riconoscere sette sacramenti anche se ci sono però variazioni nel modo di amministrarli. I protestanti riconoscono il Battesimo e la santa Cena, che comunque rimane per loro una mera commemorazione simbolica. Inoltre il divorzio e il risposarsi sono ammessi in caso di fallimento del matrimonio.

La dottrina della Grazia. Per la Chiesa di Roma le opere sono necessarie per meritare la salvezza. Per le Chiese protestanti la salvezza è dono gratuito di Dio che otteniamo per fede.

I dialoghi ecumenici degli ultimi anni hanno portato alla dichiarazione congiunta cattolica-luterana nella quale si supera la contrapposizione e si afferma che le opere non ci garantiscono la salvezza, ma sono il nostro "sì" al dono della salvezza che Dio ci offre.

Primato del Papa o Servizio Petrino.  Gli ortodossi e i protestanti non riconoscono il primato del Papa.

Esposizione e contenuto della teologia ortodossa in rapporto a quella cattolica.

Dio e Trinità

L'esistenza di Dio, nella teologia ortodossa, è più sentita che dimostrata. Dio per l'ortodosso non è un'idea astratta, ma una realtà viva, presente e operante. Quanto alla sua natura, la ragione umana ha difficoltà a dimostrarla. E’ più facile dire ciò che Dio non è, che ciò che è. Si conoscono però bene le sue perfezioni e i suoi attributi, in quanto con questi Egli si è rivelato agli uomini. Non è quindi il Dio ignoto dei filosofi, ma un Dio vivo che si rivela e agisce.
La Trinità delle persone in Dio è insegnata e creduta esplicitamente sia dalla Chiesa ortodossa che dalla Chiesa cattolica. Solo nel modo di esporla la teologia ortodossa diversifica alquanto dalla teologia cattolica.

Creazione e peccato originale

La dottrina ortodossa sulla creazione, sia del mondo sia dell'uomo, è perfettamente identica a quella cattolica. Con la parola mondo s'intende non solo il mondo visibile (terra, astri, ecc.), ma anche il mondo invisibile (cioè angeli, la cui dottrina occupa nella Chiesa orientale un posto ancor più grande che nella Chiesa occidentale).
Alquanto diversa è invece la dottrina sul peccato originale. In Occidente ha prevalso la dottrina di Sant'Agostino, che vede la responsabilità di tutti gli uomini nel peccato di Adamo. In Oriente, invece, si preferisce ammettere che non è la colpa che passa nei singoli uomini, ma la conseguenza della colpa, la cui imputazione rimane circoscritta al solo Adamo.

Incarnazione e redenzione

Mentre la teologia occidentale vede nella redenzione prevalentemente la liberazione dal peccato, quella orientale vede invece la divinizzazione della natura umana, mediante l'assunzione di questa da parte di Cristo nell'incarnazione.
Solo nel sec. XVI e XVII fu accolta dai teologi ortodossi la dottrina di Sant'Anselmo della soddisfazione infinita offerta dal sacrificio della croce, ma i teologi più moderni sono sempre maggiormente propensi a respingere questa dottrina in quanto formula giuridica e antropomorfica.

Mariologia

La dottrina ortodossa sulla Madonna si trova enunciata nel Catechismo greco ortodosso, pubblicato nel 1928 da Callinico, arcivescovo di Tiatira, dove si legge: "La nostra Chiesa chiama la benedetta Maria "Madre di Dio", perché veramente essa ha generato Dio; "Immacolata" perché essa fu purificata da ogni macchia dalla discesa dello Spirito Santo in seguito alla visita dell’Angelo; "sempre vergine", perché essa ha conservato la verginità prima, durante e dopo il parto".
Come si vede, a parte la singolare dottrina che sostiene l'immacolatezza della Madonna solo a partire dall'Annunciazione, per tutto il resto concorda con la dottrina cattolica.
Circa l'Assunzione corporea in cielo della Madonna, anche se essa non viene trattata esplicitamente dai teologi ortodossi, rimane il fatto che la liturgia bizantina ne celebra il ricordo fin dal V secolo. E siccome in Oriente la liturgia è veramente considerata regola di fede, non c'è dubbio che anche questa verità mariologica faccia parte del deposito comune delle verità di fede professate dagli ortodossi e dai cattolici.

Escatologia e novissimi

Sulla sorte delle anime dopo la morte, vi sono molte divergenze con la dottrina cattolica. Generalmente i teologi ortodossi negano che alla morte segua subito un giudizio definitivo sul destino eterno dell’anima e sono invece inclini ad ammettere che il giudizio, cosiddetto particolare dai cattolici, sia solo un giudizio provvisorio, per il quale l'anima si limita a prendere conoscenza del premio, o della pena che ha meritato.
In attesa del giudizio finale. le anime dei morti rimarrebbero in uno stato intermedio detto ade, in cui non possono né meritare né espiare: possono però essere aiutate a cambiare la loro situazione e a essere liberate, anche dal peccato mortale, dalle preghiere e dai suffragi dei vivi. Unica condizione, che non siano morte in stato di disperazione.
La dottrina ortodossa sulla condizione intermedia dell’anima esclude perciò l’idea di un purgatorio, così come è concepito dalla teologia occidentale. Diffusa è pure l’opinione che non si possa parlare di pene eterne di peccato esterno. Pochi tra gli ortodossi sono disposti ad ammettere tranquillamente e in senso assoluto, che vi siano anime dannate in eterno: ciò sarebbe contrario all’immenso amore di Dio.
La gente semplice prega per tutti i morti, credendo che Dio possa strappare dalle pene dell’inferno anche il più grande peccatore.

I SACRAMENTI

Come la Chiesa cattolica anche l'ortodossa ha una teologia sacramentaria che ammette l'esistenza di riti particolari, detti in greco misteri e in latino sacramenti, i quali, secondo una definizione abbastanza comune, sono azioni sacre istituite da Cristo e compiute dai suoi ministri, le quali contengono la grazia invisibile di Dio e la comunicano mediante un segno visibile. Per quanto riguarda il numero dei sacramenti, tutta la tradizione ortodossa concorda con quella cattolica nell'ammetterne sette. Quanto al carattere indelebile di alcuni, esso viene universalmente ammesso per il Battesimo, non da tutti per la Confermazione e l'Ordine sacro.

A) Battesimo

Anche per gli ortodossi il Battesimo è il primo dei sacramenti e di tutti il più necessario, perché per esso si viene introdotti nella Chiesa. Ministro del Battesimo è sempre il sacerdote; il laico ortodosso solo in caso di necessità.
A differenza dei cattolici, presso gli ortodossi il sacramento viene amministrato per immersione. (1)
Quanto alla validità del Battesimo dei cattolici romani, oggi essa è universalmente accettata; non così in passato. Tuttavia non mancano qui e là casi di ribattezzazione. Come la chiesa cattolica, così anche quella ortodossa ammette la possibilità di sostituire al Battesimo di acqua il Battesimo di sangue, cioè il martirio.

Nota

(1) Da notare che nel nuovo Rituale Romano dell'Iniziazione cristiana si richiama: «Si può legittimamente usare sia il rito di immersione, segno sacramentale che più chiaramente esprime la partecipazione alla morte e risurrezione di Cristo, sia il rito di infusione» (Introduzione generale, n. 22; cfr RICA, n. 220).

B) Cresima

Nella Chiesa ortodossa la Cresima segue immediatamente il Battesimo e generalmente viene conferita nel corso della stessa celebrazione. Essa viene conferita dallo stesso ministro che è il sacerdote, e la sua amministrazione non è riservata al Vescovo. La materia della Cresima è costituita dal sacro crisma che è olio di oliva purissimo mescolato a una gran quantità di sostanze aromatiche, consacrato dal vescovo, il Giovedì santo, ogni sette anni.
La formula consiste nelle parole: "Sigillo del dono dello Spirito Santo" e l'unzione viene fatta non solo sulla fronte, ma anche su occhi, narici, orecchie, bocca, petto, mani e piedi. Contrariamente alla Chiesa cattolica, gli ortodossi ammettono che la Cresima si possa reiterare quando si tratta di apostati che ritornano alla loro fede.

C) Eucaristia

La dottrina della presenza reale di Cristo nell'Eucaristia è chiaramente espressa nella lettera che i patriarchi orientali inviarono nel 1723 ai vescovi anglicani.
"Noi crediamo - essi scrissero - che in questo sacramento N. S. Gesù Cristo non è presente solo simbolicamente o figurativamente, ma veramente e realmente, così che dopo la consacrazione del pane e del vino questi, quanto allo loro sostanza, sono cambiati e mutati nel vero corpo del Signore".
Quanto al momento della trasformazione del pane e del vino in Eucaristia, che noi chiamiamo transustanziazione, per la maggioranza dei teologi ortodossi moderni le parole sacramentali e l'invocazione dello Spirito Santo, detta epiclesi, formano un tutto inscindibile.
Circa la materia dell'eucaristia, l'Oriente propende per il pane fermentato perché lo ritiene più completo, in quanto considera il lievito come anima del pane stesso e vede in questo meglio raffigurata la sua dottrina sulla natura umana completa di Cristo, anima e corpo.
La Chiesa ortodossa non condivide l'uso della Chiesa latina della comunione sotto una sola specie e anche qui essa è aderente alla sua dottrina del Cristo totale, secondo la quale il Signore nell'Eucaristia si forma un corpo di pane e lo anima col suo sangue. (2)

Nota

(2) Anche per quanto riguarda la comunione sotto le due specie i richiami nei libri liturgici della rinnovata liturgia di Rito romano sono sempre più frequenti: cfr IGMR, nn. 56 h, 118, 240-252; Precisazioni CEI, nn. 10-11).

D) Penitenza

Ministro della Penitenza, anche per la Chiesa ortodossa, è il sacerdote. Nel medioevo era diffuso l'uso di confessarsi a monaci non sacerdoti e di ricevere da loro l'assoluzione, ma questo abuso fu combattuto dai teologi e condannato dalla Chiesa ortodossa.
La penitenza che il sacerdote impone dopo la confessione, le cosiddette epitimie secondo l'attuale dottrina teologica ortodossa, non hanno carattere soddisfatorio, ma soltanto pedagogico, perché il sacramento cancella anche le pene.
Per questo motivo la Chiesa ortodossa ignora e rifiuta la dottrina cattolica delle indulgenze.

E) Ordine sacro

L'Ordine nella Chiesa ortodossa comprende tre gradi: diaconato, presbiterato ed episcopato. Anticamente, la Chiesa ortodossa riteneva che la consacrazione, una volta ricevuta, fosse incancellabile e quindi l'ordinazione non si potesse reiterare. Oggi i teologi ortodossi sono inclini ad ammettere che l'Ordine sacro non abbia carattere indelebile e che lo si possa perdere per degradazione o per rinuncia.
Riguardo alla validità di ordinazioni fatte da vescovi non ortodossi, compresi i cattolici, la Chiesa ortodossa non ha tenuto una condotta costante; talvolta le ha respinte, talvolta le ha accettate.

F) Matrimonio

Il Matrimonio viene definito nella teologia ortodossa: "il sacramento per il quale, mentre il sacerdote pone l'uno nell'altra la mano degli sposi e implora su di loro lo benedizione di Dio, la grazia divina scende su di loro e li unisce indissolubilmente per tutta la loro vita, per il mutuo aiuto e per la generazione dei figli in Cristo". In questo modo, secondo la concezione ortodossa, il ministro del sacramento è il sacerdote e non, come nella Chiesa cattolica, gli sposi. Tale concezione però è solo della teologia ortodossa recente, perché in passato si intendeva che i ministri del sacramento fossero gli sposi stessi.
Esiste invece un profondo contrasto tra la dottrina cattolica e quella ortodossa per ciò che riguarda l'indissolubilità del matrimonio. Secondo la teologia ortodossa, infatti, il matrimonio può essere sciolto ove intercorrano alcune ragioni. Quante e quali siano queste ragioni è difficile poterlo dire, in quanto la prassi ortodossa varia da Chiesa a Chiesa e talvolta da regione a regione all'interno di una stessa Chiesa.

G) Olio santo

Dalla teologia ortodossa l'Olio santo viene definito il sacramento per il quale il sacerdote unge con olio l'infermo e implora la grazia di Dio per la guarigione dalla malattia corporale che l'affligge e, insieme, dai mali spirituali che spesso sono la causa di quelli materiali. L'olio necessario per le unzioni deve essere consacrato ogni volta e questo rito comporta la presenza di sette sacerdoti, i quali poi procedono all'unzione dell'infermo. Da notare che spesso l'amministrazione di questo sacramento viene fatta anche fuori dei casi di malattia e talvolta è un rito che si compie il Giovedì santo su tutti i presenti, oppure in altre particolari circostanze.

DOTTRINA SULLA CHIESA

La Chiesa, nella dottrina ortodossa, più che una società è concepita come una comunità di credenti, alla quale appartengono di diritto quanti sono battezzati in Cristo. Capo di questa comunità non può essere un uomo, ma solo il Signore Gesù Cristo. Suoi vicari, nelle singole Chiese particolari, sono i vescovi eletti dallo Spirito Santo come successori degli apostoli.
Le Chiese locali, presiedute dai propri vescovi, sono unite dall'identità della loro fede e della loro testimonianza. L'unità della Chiesa si ha quindi, secondo gli ortodossi, dall'unità dì fede e non dall'unità di amministrazione gerarchica.

PRINCIPALI PUNTI DI DIVERGENZA

Secondo quello che può ritenersi l'insegnamento comune dei teologi ortodossi, i punti di divergenza fra la dottrina ortodossa e quella cattolica sarebbero attualmente i seguenti:

1) La Processione dello Spirito Santo, che dai cattolici viene attribuita congiuntamente al Padre e al Figlio, mentre dagli ortodossi viene attribuita solo al Padre. La storia di questa controversia è molto antica. La tesi della Processione dello Spirito Santo dal Padre e dal Figlio ("Filioque", in latino, da cui il nome della questione) venne fatta propria da Sant'Agostino e da altri Padri occidentali, mentre la formula"a Patre per Filium" venne invece seguita dai bizantini. Per molto tempo essa non diede luogo a particolari dispute. Durante il medioevo questa controversia continuò ad agitare i teologi, sia greci che latini, e a nulla valsero gli accordi raggiunti nei Concili di Lione (1274) e di Ravenna - Firenze (1438-39). Oggi la questione ha perduto molto della sua acredine polemica.

2) L'aggiunta della parola "Filioque" al Credo, venne fatta dai latini, ma non ritenuta legittima dagli ortodossi. La storia di questa aggiunta non è ben chiara. Non esiste, infatti, né un concilio, né un documento pontificio che ne abbia autorizzato l'inserzione. La sentenza più comune indica la Spagna come il luogo dove, per primo, si sarebbe verificata questa aggiunta verso la fine del sec. VII. Dalla Spagna questo uso sarebbe passato in tutto il mondo latino, con l'apporto di Carlo Magno, dopo la sua incoronazione a imperatore del Sacro Romano Impero, e dove dalla Chiesa romana sarebbe stato fatto proprio verso la fine del sec. VIII.

3) La controversia delle parole consacratorie o epiclesi. Secondo i cattolici occidentali la consacrazione eucaristica avviene con le sole parole: "Questo è il mio corpo [...] Questo è il mio sangue...". Secondo gli orientali a queste parole bisogna aggiungere la speciale invocazione allo Spirito Santo, detta epiclesi.
La questione dell'epiclesi ebbe come sostenitori acerrimi i greci, i quali però, più che su argomenti teologici, basavano la loro spiegazione su argomenti liturgici. I latini si rifacevano, e insistono ancora oggi, sull'antichità della loro dottrina, che è di molto anteriore alla controversia sollevata dai greci.

4) La dottrina del purgatorio e dell'escatologia. La controversia su questo argomento sorse molto tardi, verosimilmente agli inizi del sec. XII e venne molto dibattuta durante il Concilio di Firenze (1438). Fin da allora si erano formate due correnti tra i teologi greci: alcuni negavano recisamente l'esistenza del purgatorio e ne respingevano perfino il nome; altri, sotto la guida del cardinale Bessarione, si limitavano invece a dissentire dai latini solo per quanto riguarda la reale pena del purgatorio, se cioè essa consistesse nel fuoco o in qualche altra privazione.

5) il dogma dell’Immacolata Concezione di Maria. Anticamente la teologia bizantina non aveva mai posto in dubbio questo particolare privilegio di Maria, anche dopo la separazione delle Chiese. Tuttavia non sono mancati teologi, specialmente russi, che a partire dal sec. XVI, sotto l'influsso della teologia protestante, hanno cominciato a esprimere certe riserve. In realtà esiste su questo punto un certo divario anche fra i teologi ortodossi.

6) La dottrina sul primato romano e sull'infallibilità pontificia. Questo punto, che i teologi ortodossi unanimemente non vogliono riconoscere e che in definitiva costituisce la ragione della loro separazione dalla Chiesa romana, è l'unico grande ostacolo alla riunione.
A proposito del primato romano, alcuni anni fa il patriarca dì Mosca, Pimen, affermava: "La questione del primato di Roma resta sempre lo scoglio sullo via dello riunificazione organica delle nostre Chiese..." e, nel 1992, in un'intervista rilasciata a Jesus, anche il patriarca di Costantinopoli, Bartolomeo, ha dichiarato: "E’ sempre questa questione che maggiormente ci separa".
La storia di questa controversia ha inizio praticamente con il patriarca Fozio (sec. IX). Prima di lui non erano mancati dissidi fra la Chiesa bizantina e la Chiesa romana, ma nessuno mai aveva posto in dubbio l'autorità del Vescovo dì Roma su tutta la Chiesa.
Conseguenza prima della negazione del primato del Papa è il non riconoscimento dell'infallibilità pontificia, che venne proclamata come dogma di fede nel Concilio Vaticano I, del 1870. E a proposito dell'infallibilità pontificia, alcuni anni fa, ancora il patriarca Pimen ebbe a dire: "Effettivamente questo dogma costituisce l'ostacolo principale per il dialogo attuale tra le Chiese ortodossa e cattolica romana, poiché qui noi vediamo due concezioni differenti del 'ecclesiologia".

Concludendo...

Dopo aver studiato per lunghi anni le differenze tra cattolici e ortodossi, quelle stesse di cui abbiamo parlato, il filosofo russo Vladimir Solov'ev giunse a questa consolante conclusione: "Cattolici e ortodossi continuano immutabilmente a essere membri dello stessa Chiesa di Cristo, una e indivisibile. Benché separati non hanno cambiato il loro rapporto con Cristo e con la sua Grazia misteriosa. Da questo punto di vista, non dobbiamo nemmeno preoccuparci della riunione, perché siamo già una cosa sola".

mercoledì 4 settembre 2013

Perché l'ostilità verso la pace?

La discordia tra appartenenti a religioni diverse non è inevitabile, si può cercare con l’ausilio del buon senso quello che unisce e accomuna, piuttosto che quello che divide, ma è vero anche che affermare l’uguaglianza tra tutte le religioni, equivale a mettere sullo stesso piano l’ateismo pratico con la fede cattolica, è una cosa improponibile perché tra queste concezioni di vita e filosofie vi è un’assoluta incompatibilità; il dialogo tra culture religiose e filosofie differenti è chiamato dalla Chiesa ecumenismo, il dialogo tra religioni è molto importante per l’instaurarsi tra i popoli di una cultura di pace; nella Chiesa cattolica le varie culture e i vari folklori e tradizioni dei popoli vengono assimilate e la loro più bella espressione si ha nella liturgia, nulla del bagaglio culturale di un popolo si spegne nell’ambito dell’universalità della Chiesa, ma tutto viene traslato come ricchezza nell’integrazione alla liturgia e alla centralità del sacrificio eucaristico nella santa Messa; in certe occasioni di incontro tra popoli e in certi luoghi della terra, la santa Messa diventa l’espressione particolare di una cultura, senza infrangere la propria continuità con la tradizione canonica liturgica, apostolica e romana, ma facendo da tramite con un popolo convertito alla fede cristiana cattolica, diventando con i canti e la lingua madre, con l’assimilazione di tradizioni anche più antiche del cristianesimo, un culto rinnovato al vero Dio, che è un Padre misericordioso e buono, e il Creatore di tutte le cose, elargitore di ogni bene e salvatore di ogni persona umana nel suo Figlio Gesù di Nazaret, nato dalla Vergine Maria. Il Vangelo è un annuncio di salvezza per l’uomo peccatore e lontano da Dio, e la conversione al Vangelo non vuole segnare l’estinzione di una cultura preesistente, né sostituire costumi e tradizioni, ma vuole integrare il passato millenario di un popolo con l’attualizzazione del messaggio di Cristo, che cerca il bene delle anime e la loro piena realizzazione e libertà, nel contesto in cui la provvidenza divina ha posto ciascuno di noi a vivere: la storia purtroppo non insegna così. Molti in secoli passati furono portatori del Vangelo, ma con sé portarono non senza colpa anche l’idea di conquista da parte dell’occidente colto e progredito tecnicamente, nei confronti di popoli indigeni ritenuti a torto razze inferiori e ritenuti soprattutto ambiti di sfruttamento di risorse, materiali e addirittura umane, basti pensare alla tragedia dello schiavismo e di veri e propri genocidi. Le colpe in questi casi sono del tutto riconducibili a uomini peccatori che si dichiaravano cristiani e non al messaggio di pace del Vangelo, che è stato in quei contesti travisato e corrotto per delle finalità mondane ed umane, per sete di guadagno e per soddisfare la vanagloria di alcuni potenti. In questo frangente mi sono riferito soprattutto all’Africa e alle Americhe, nel contempo dall’altra parte del pianeta in Oriente, molti furono i battezzati cristiani in buona coscienza che morirono martiri per testimoniare la fede, molti missionari e molti convertiti di quei popoli furono uccisi da mano assassina che si rifiutò di accettare il messaggio di pace del Vangelo, e che giustificò quelle stragi come ragion di Stato. Il cristianesimo era odiato e oggetto di intolleranza un pò dovunque nel mondo, proprio come al giorno d’oggi, e paradossalmente anche da coloro che si dichiaravano cattolici, ma lo erano solamente di nome e della fede religiosa e della salvezza eterna della loro anima, non gliene importava nulla. Non è la religione a essere fomentatrice di guerre e tragedie, ma è il cuore malvagio degli uomini che non hanno accettato il messaggio di bontà del Vangelo così come è scritto, nella sua integrale purezza, che lo hanno del tutto tradito per seguire idoli blasfemi, come i miti della razza o la ricchezza materiale, idoli che serpeggiano violenza e morte, cui dietro non vi è che il diavolo e le sue ben note intenzioni. La pace è possibile se le persone cambiano, indipendentemente dalle religioni e dalle convinzioni filosofiche personali che professano, se una persona accetta la pace come norma della sua vita e ripudia la violenza, lo fa innanzitutto nel proprio intimo, dentro sé stessa, perché la pace autentica tra le genti comincia dal cuore del singolo, non è qualcosa che si può imporre agli altri, ma è qualcosa di cui ciascuno può essere esempio se la nutre nel proprio cuore in modo sincero e perseverante, con coerenza e verità. Le persone di pace si riconoscono dalla loro condotta di vita e se si vuole la pace, occorre imparare ad amare la pace, ad apprezzarla… in caso contrario i violenti continueranno a dominare il mondo e sarà una tragedia, mentre noi sappiamo che deve diventare realtà la parola di Gesù nelle beatitudini evangeliche: “ Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio ”. ( Mt 5:9 ) Se l’umanità non impara a convivere senza guerre e ad edificare la civiltà futura nella pace, la nostra specie rischia l’estinzione: questa affermazione ha radici profonde, conviene ricordarlo per chi non vuole ammetterlo e fa finta di non vedere la realtà.