Sub tuum praesídium confúgimus,
sancta Dei Génetrix;

nostras deprecatiónes ne despícias in necessitátibus;
sed a perículis cunctis líbera nos semper,
Virgo gloriósa et benedícta.

martedì 28 maggio 2019

Quello che è vero in apparenza

Molto tempo all’indietro fuori dal tempo, attraversava le pianure desolate del nord uno stregone esperto in evocazioni e alchimia, andava ripetendo alla gente che incontrava queste parole: “Il male non esiste, se lo sono inventato i monaci per rendervi schiavi dei loro vizi, siamo noi che decidiamo a seconda dei nostri desideri, la paura del male è un modo per togliervi la libertà”. Entrato nella grande aula in cui gli oratori itineranti si facevano ascoltare dal popolo curioso e impertinente, disse così: “Ci sono pazzi che continuano a farvi credere che il male comporti delle conseguenze, è una menzogna! Fare il male cagiona soddisfazione e rende liberi, l’unica conseguenza nel compiere il male è diventare belli, felici e assennati”. Un bambino che si trovava in mezzo alle numerose persone che ascoltavano con ammirazione prese la parola: “Se il male rende migliori perché la tua anima è morta, perché puzza di marciume?”. Lo stregone disprezzandolo rispose: “La mia anima è una fantasia che gli imbecilli prendono a pretesto per inculcare la paura del peccato, ogni peccato invece è un atto di libertà che ci rende belli, che cambia il mondo e lo rende più buono”. Il bambino pianse e gridò: “Bugiardo!”. La gente che lo vide piangere intimò allo stregone di dimostrare il suo insegnamento e al contempo di dimostrare che il bambino aveva torto, che il bambino era pazzo. Lo stregone disegnò sul pavimento il sigillo di un demone per richiamarlo dall’abisso affinché prendesse le sue difese e dimostrasse le sue tesi. Il demone si presentò quasi subito e il suo aspetto era di un nero cupo e funereo, circonfuso da un’aura rossastra, aveva lo sguardo perfido e la voce da corvaccio gracchiante, si librava a mezz’aria. Il demone si rivolse all’assemblea e disse: “A me piace divorare le anime ma per farlo è necessario che siano molto sporche e senza speranza”, allora il bambino prese di nuovo la parola: “Quello stregone ha detto che il peccato rende felici, tu sei felice?”. Ed egli rispose: “Dipende da cosa intendi per felicità, per me la felicità è puzzare di odio e bestemmiare”. Poi guardò lo stregone e lo rimproverò di averlo evocato perché si era reso conto che quelle persone erano sì interessate a certe elucubrazioni o voli pindarici del pensiero ma non abbastanza sprovvedute, non avevano perso del tutto la coscienza con i suoi salutari rimorsi e la capacità di chiamare bene il bene e male il male. Il demone se ne andò svanendo con le sembianze di una nube cinerea, lasciò quel malvagio a difendersi da solo dall’arguzia del bambino che concluse il simposio con queste parole: “Il male ha una straordinaria capacità d’inganno soltanto per coloro che accettano di essere ingannati e di far morire la propria coscienza, questa è la libertà e senza la libertà non potremmo amare, saremmo dei gretti burattini incapaci di operare scelte che ci cambiano, che ci rendono disperati o felici, la nostra libertà è la nostra grandezza e ci sono martiri persino all’inferno”. Lo stregone fuggì lontano con la gente che lo prese a sassate, giurò vendetta e non si fece più vedere da quelle parti. Il bambino divenne monaco e con i suoi sacrifici e il suo rosario otteneva da Dio la conversione di molti peccatori impenitenti. La verità non è l’opinione di qualcuno che si convince di essere guida per gli altri, la verità è una soltanto e non possono essercene altre, è il Signore con la sua sapienza che la suggerisce al cuore di chi si conserva puro e vive alla luce della stella luminosa della benevolenza.

lunedì 13 maggio 2019

La vita non è tolta ma trasformata

Mia madre stava seduta su una sedia di vimini in giardino, il cielo era sereno di un bell’azzurro con qualche nuvola, un bel sole con qualche nuvola in quella lontana primavera di malinconia. Ricordo la sua voce che mi parlava domandandomi cosa avessi fatto la mattina a scuola e io le dicevo nulla di particolare, le solite cose, abbiamo letto, fatto esercizi dal libro, conversato tra amici. Mia madre mi è sempre sembrata un po’ distante, talvolta indifferente, anaffettiva e io le ho sempre voluto bene, l’ho rispettata anche se tra noi ogni tanto si litigava, nascevano conflitti per le cose più banali, ma poi tutto tornava a posto. Era contenta del catechismo, delle cose che scrivevo, del voto sempre alto, anche da ragazzino mi piaceva scrivere, in italiano e in grammatica andavo bene, chi mi leggeva trovava le mie cose originali, significa che pensavo, che mi facevo delle convinzioni autonome senza lasciarmi influenzare da nessuno, avevo le mie idee ma rimanevo tollerante. A costruire la nostra casa nuova fu mio nonno con il suo lavoro e l’aiuto degli amici, vendette i campi che coltivava e con il ricavato e i risparmi di una vita si adoperò nella costruzione di una piccola villa su tre piani con giardino, che fu la mia casa d’infanzia, ricordo i volumi delle stanze, era grande. Mio nonno materno non fece nemmeno in tempo ad andare in pensione che si ammalò di una malattia cronica a sessantatré anni, un tumore osseo. Fui presente alla sua morte in quella casa, nella stanza da letto, avevo sei anni e mi fece segno di avvicinarmi a lui perché voleva dirmi qualcosa, ebbi timore e scappai via. Poi incontrai un parente sulle scale poco dopo che mi disse che era morto, allora salii nella mia cameretta al terzo piano e me la presi con un crocifisso che era appeso al muro, gli dissi perché me lo hai portato via? E piansi. Vidi il suo corpo esanime come se dormisse. Mio nonno materno era un uomo semplice ma giusto, veramente onesto. Anche il fratello di mia mamma si ammalò di una malattia degenerativa e morì a soli quarant’anni, desiderava guarire ma era impossibile per una malattia come quella. Fui preso dal rimorso perché ero un ragazzino stupido e cattivo e non dimostrai quell’affetto che invece sentivo, ed era sincero e lo nascondevo dentro di me. Nell’adolescenza persi le persone care, anche mia nonna che soffrì per anni anch’essa per malattia. Perdere le persone che si amano è un po’ come se il sole si oscurasse, manca una presenza ed è come se una parte di te si fosse spenta, fosse andata perduta, il lutto è mancanza irrimediabile, si deve ricominciare da capo a ricostruirsi psicologicamente, a rielaborarsi e a non piangere più sapendo che chi ci lascia con il corpo, con l’anima è in un luogo migliore, non si dimenticano di noi che hanno lasciato, ci amano e pregano. Sono persone che mi hanno insegnato quanto sia grande il valore della vita ma non fine a sé stessa, bensì in relazione al nostro prossimo, cominciando dalle persone che abbiamo il dovere di amare come i genitori o i figli. Chi ci lascia vive in Dio ed è felice, se in vita avremo amato ci ricongiungeremo con loro nell’al di là. Sono credente e Cristo ha fatto questa promessa, credo nella risurrezione e nella vita del mondo che verrà, è la professione della nostra fede cristiana.

mercoledì 1 maggio 2019

La clinica della preghiera

Che cosa significa pregare? Essenzialmente significa maturare la convinzione che in un oltre fuori dai sensi e dalla nostra mente ci sono delle persone a cui ci rivolgiamo che ascoltano le nostre parole e che ci vogliono bene. Purtroppo i miscredenti interpretano questa convinzione come un delirio, quindi l’orante non sarebbe altro che uno schizofrenico vittima dei suoi sintomi. Credere in Dio, nel diavolo o nella Madonna sono forme di alienazione mentale, l’intelligenza sana è in opposizione a qualsiasi credenza religiosa o misticismo. Ma nella realtà è davvero così? Se Dio esiste me lo suggerisce la ragione in quanto Dio ha creato ogni cosa esistente, ha creato anche me che non sono un prodotto del caso. Pregare ha senso soltanto se si possiede il dono della fede, se invece si pensa di essere animali con un cervello più sviluppato e che la morte sia la fine di tutto, pregare è qualcosa di assurdo, la manifestazione di una psicopatologia. Quelli che affermano di non credere e di esercitare la ragione sono individui che vivono di quella superbia che li fa sentire al di sopra dei poveri imbecilli che pregano, gente che non si lascia suggestionare dalle favolette per poveri illusi, insomma persone intellettualmente superiori. Ma sarà proprio così? Dalla prospettiva del diavolo sono solamente delle somme insipienze, senza esserne consapevoli diventano le sue marionette. Se si prega si deve credere necessariamente nel soprannaturale, si deve credere in quelle che vengono definite dal teologo le verità di fede, si decide di comprendere che il Vangelo non è una serie di racconti fantastici ma una cronaca di fatti realmente accaduti, inseriti nell’arco temporale della storia umana. Pregare è un esercizio della ragione, forse il più alto e nobile, non è un genere di attività demenziale propria di coloro che hanno perso il contatto con la realtà. La preghiera è fatta di parole e le parole sono intrise di significato, di verità e di ragione, nella preghiera non ci si rivolge al vuoto ma a delle persone vive che si trovano in una dimensione che non è quella terrena in cui noi ci muoviamo tutti, che si trovano su un piano della realtà che non è il nostro. Non esiste soltanto quello che cade sotto la percezione dei sensi, il mondo è molto più ampio e complesso di quanto riusciamo a immaginare. L’atto di pregare è un po’ capire che la nostra mente non è prigioniera del divenire e dell’immediato, ma è fatta anche per qualcosa – o meglio per Qualcuno – che si trova fuori di noi e del nostro mondo corruttibile. La preghiera ci suggerisce anche che siamo amati da Dio, che Dio non è lontano da ciascuno di noi, estraneo e indifferente, ma può risiedere nei nostri cuori attraverso l’amore con cui amiamo il prossimo. La misura del credere è data dalla qualità della nostra preghiera, dall’importanza che gli diamo nella vita quotidiana. Pregare non può danneggiarci e non ha mai nuociuto a nessuno, vale la pena pregare perché dalla medicina della preghiera può venirci soltanto del bene. Chi prega è razionale e non scappa dalla realtà, prega per comprenderla meglio e per comprendere meglio i suoi simili. Senza che ce ne accorgiamo la preghiera assidua fa crescere in noi i suoi frutti preziosi, ci cambia interiormente e ci ottiene dall’Alto quel soccorso con cui maturiamo nella conversione a Dio e quindi nell’esercizio della moralità, delle virtù cristiane e innanzitutto della carità. Pregare ci fa sempre del bene, prima ci libera, poi ci guarisce e infine ci salva, la prima mozione della grazia è indurci a pregare frequentemente per toglierci al peccato, mentre il nemico delle nostre anime tenta sempre di estinguere in noi la preghiera per farci suoi e rovinarci eternamente. Chi ama Dio prega e chi prega ama Dio, non è un cerchio chiuso perché con questa dinamica si ama il prossimo e non si vive esclusivamente per sé stessi. Chi prega si salva.