Mia madre
stava seduta su una sedia di vimini in giardino, il cielo era sereno di un bell’azzurro
con qualche nuvola, un bel sole con qualche nuvola in quella lontana primavera
di malinconia. Ricordo la sua voce che mi parlava domandandomi cosa avessi fatto
la mattina a scuola e io le dicevo nulla di particolare, le solite cose,
abbiamo letto, fatto esercizi dal libro, conversato tra amici. Mia madre mi è
sempre sembrata un po’ distante, talvolta indifferente, anaffettiva e io le ho
sempre voluto bene, l’ho rispettata anche se tra noi ogni tanto si litigava,
nascevano conflitti per le cose più banali, ma poi tutto tornava a posto. Era
contenta del catechismo, delle cose che scrivevo, del voto sempre alto, anche
da ragazzino mi piaceva scrivere, in italiano e in grammatica andavo bene, chi
mi leggeva trovava le mie cose originali, significa che pensavo, che mi facevo
delle convinzioni autonome senza lasciarmi influenzare da nessuno, avevo le mie
idee ma rimanevo tollerante. A costruire la nostra casa nuova fu mio nonno con
il suo lavoro e l’aiuto degli amici, vendette i campi che coltivava e con il
ricavato e i risparmi di una vita si adoperò nella costruzione di una piccola
villa su tre piani con giardino, che fu la mia casa d’infanzia, ricordo i
volumi delle stanze, era grande. Mio nonno materno non fece nemmeno in tempo ad
andare in pensione che si ammalò di una malattia cronica a sessantatré anni, un
tumore osseo. Fui presente alla sua morte in quella casa, nella stanza da
letto, avevo sei anni e mi fece segno di avvicinarmi a lui perché voleva dirmi
qualcosa, ebbi timore e scappai via. Poi incontrai un parente sulle scale poco
dopo che mi disse che era morto, allora salii nella mia cameretta al terzo
piano e me la presi con un crocifisso che era appeso al muro, gli dissi perché
me lo hai portato via? E piansi. Vidi il suo corpo esanime come se dormisse.
Mio nonno materno era un uomo semplice ma giusto, veramente onesto. Anche il
fratello di mia mamma si ammalò di una malattia degenerativa e morì a soli
quarant’anni, desiderava guarire ma era impossibile per una malattia come
quella. Fui preso dal rimorso perché ero un ragazzino stupido e cattivo e non dimostrai
quell’affetto che invece sentivo, ed era sincero e lo nascondevo dentro di me.
Nell’adolescenza persi le persone care, anche mia nonna che soffrì per anni
anch’essa per malattia. Perdere le persone che si amano è un po’ come se il
sole si oscurasse, manca una presenza ed è come se una parte di te si fosse
spenta, fosse andata perduta, il lutto è mancanza irrimediabile, si deve
ricominciare da capo a ricostruirsi psicologicamente, a rielaborarsi e a non
piangere più sapendo che chi ci lascia con il corpo, con l’anima è in un luogo
migliore, non si dimenticano di noi che hanno lasciato, ci amano e pregano.
Sono persone che mi hanno insegnato quanto sia grande il valore della vita ma
non fine a sé stessa, bensì in relazione al nostro prossimo, cominciando dalle
persone che abbiamo il dovere di amare come i genitori o i figli. Chi ci lascia
vive in Dio ed è felice, se in vita avremo amato ci ricongiungeremo con loro
nell’al di là. Sono credente e Cristo ha fatto questa promessa, credo nella
risurrezione e nella vita del mondo che verrà, è la professione della nostra fede
cristiana.
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