Sub tuum praesídium confúgimus,
sancta Dei Génetrix;

nostras deprecatiónes ne despícias in necessitátibus;
sed a perículis cunctis líbera nos semper,
Virgo gloriósa et benedícta.

lunedì 13 maggio 2019

La vita non è tolta ma trasformata

Mia madre stava seduta su una sedia di vimini in giardino, il cielo era sereno di un bell’azzurro con qualche nuvola, un bel sole con qualche nuvola in quella lontana primavera di malinconia. Ricordo la sua voce che mi parlava domandandomi cosa avessi fatto la mattina a scuola e io le dicevo nulla di particolare, le solite cose, abbiamo letto, fatto esercizi dal libro, conversato tra amici. Mia madre mi è sempre sembrata un po’ distante, talvolta indifferente, anaffettiva e io le ho sempre voluto bene, l’ho rispettata anche se tra noi ogni tanto si litigava, nascevano conflitti per le cose più banali, ma poi tutto tornava a posto. Era contenta del catechismo, delle cose che scrivevo, del voto sempre alto, anche da ragazzino mi piaceva scrivere, in italiano e in grammatica andavo bene, chi mi leggeva trovava le mie cose originali, significa che pensavo, che mi facevo delle convinzioni autonome senza lasciarmi influenzare da nessuno, avevo le mie idee ma rimanevo tollerante. A costruire la nostra casa nuova fu mio nonno con il suo lavoro e l’aiuto degli amici, vendette i campi che coltivava e con il ricavato e i risparmi di una vita si adoperò nella costruzione di una piccola villa su tre piani con giardino, che fu la mia casa d’infanzia, ricordo i volumi delle stanze, era grande. Mio nonno materno non fece nemmeno in tempo ad andare in pensione che si ammalò di una malattia cronica a sessantatré anni, un tumore osseo. Fui presente alla sua morte in quella casa, nella stanza da letto, avevo sei anni e mi fece segno di avvicinarmi a lui perché voleva dirmi qualcosa, ebbi timore e scappai via. Poi incontrai un parente sulle scale poco dopo che mi disse che era morto, allora salii nella mia cameretta al terzo piano e me la presi con un crocifisso che era appeso al muro, gli dissi perché me lo hai portato via? E piansi. Vidi il suo corpo esanime come se dormisse. Mio nonno materno era un uomo semplice ma giusto, veramente onesto. Anche il fratello di mia mamma si ammalò di una malattia degenerativa e morì a soli quarant’anni, desiderava guarire ma era impossibile per una malattia come quella. Fui preso dal rimorso perché ero un ragazzino stupido e cattivo e non dimostrai quell’affetto che invece sentivo, ed era sincero e lo nascondevo dentro di me. Nell’adolescenza persi le persone care, anche mia nonna che soffrì per anni anch’essa per malattia. Perdere le persone che si amano è un po’ come se il sole si oscurasse, manca una presenza ed è come se una parte di te si fosse spenta, fosse andata perduta, il lutto è mancanza irrimediabile, si deve ricominciare da capo a ricostruirsi psicologicamente, a rielaborarsi e a non piangere più sapendo che chi ci lascia con il corpo, con l’anima è in un luogo migliore, non si dimenticano di noi che hanno lasciato, ci amano e pregano. Sono persone che mi hanno insegnato quanto sia grande il valore della vita ma non fine a sé stessa, bensì in relazione al nostro prossimo, cominciando dalle persone che abbiamo il dovere di amare come i genitori o i figli. Chi ci lascia vive in Dio ed è felice, se in vita avremo amato ci ricongiungeremo con loro nell’al di là. Sono credente e Cristo ha fatto questa promessa, credo nella risurrezione e nella vita del mondo che verrà, è la professione della nostra fede cristiana.

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