Ciascuno
di noi vive degli affetti che comportano il nostro coinvolgimento nella vita di
un’altra persona, amare una persona che sia la mamma o il papà, la sorella o la
propria sposa è conforme alla natura umana, noi viviamo dei legami speciali con
altre persone e desideriamo per loro ogni bene e la felicità; penso che l’ideale
dell’amore aperto al prossimo senza distinzione sia puramente una questione
ideale che appartiene all’ambito filosofico o della religione, perché le
persone ordinariamente vivono dei rapporti di carattere esclusivo, è nella
nostra natura. Da bambino ero particolarmente legato a mio nonno materno e
quando venne a mancare a causa di una malattia contratta durante alcuni anni di
lavoro, proprio nella casa che lui stesso edificò per i figli, io andai nella
mia cameretta e me la presi con il crocifisso accusandolo di avermelo portato
via e lo tolsi con rabbia dalla parete su cui era appeso: avevo solamente sei
anni, ero un bambino che vide suo nonno andarsene prematuramente dopo pochi
anni dalla sua entrata in pensione maturata con tanti anni di lavoro onesto,
sentii quella esperienza come una gravissima ingiustizia e me la presi con Dio.
Nelle settimane successive dopo il funerale sognai mio nonno che saliva le
scale della nostra casa e veniva verso di me con un volto sereno, con uno
sguardo benevolo. La vita è fatta così e gli uomini hanno su di essa ben poco
potere, sono convinto che l’essenziale consista nel saper distinguere il bene
dal male, e dalla buona volontà che ci rende capaci di scegliere sempre il
bene: noi non siamo come gli altri animali, abbiamo una capacità morale e penso
sia la dimostrazione scientifica della nostra anima. Oggi quando guardo il
crocifisso vedo in esso mio nonno e tutte le persone care che ho perso e sono
convinto che Dio ci abbia amato non togliendoci dalla nostra brutta situazione
o illudendoci, ma partecipando alla nostra stessa vita e al nostro destino, condividendo
tutto con noi, persino i nostri sentimenti più profondi, diventando uno di noi
capace di compatirci in tutto, anche nel gesto blasfemo di prendercela con Lui
con un atteggiamento di rancore e di ribellione. Il Vangelo in una parabola
propria di san Luca dice che se anche qualcuno dovesse tornare dai morti molti
non sarebbero persuasi a credere e a convertirsi, questo ci suggerisce che non
bisogna biasimare coloro che non posseggono un dono tanto prezioso come la
fede, dobbiamo biasimare noi stessi quando con tanta arroganza pretendiamo di
giudicare il prossimo nelle sue scelte e nei suoi convincimenti, senza averne
alcuna umile comprensione. E’ un atteggiamento contrario alla carità e quindi a
Dio, il nostro dovere è quello di pregare per gli altri se con coerenza ci
diciamo credenti, altrimenti dimostriamo di essere soltanto degli impostori e
degli ipocriti, che avanzano stoltamente delle pretese di saccenza. Non abbiamo
potere su niente o quasi perché siamo misere creature, possiamo semplicemente
dire: “Sia fatta la tua volontà”,
forse questa è la preghiera più difficile ma anche quella più autentica, anche
se umanamente parlando è difficile accettare tutto quello che ci accade, è
difficile credere di essere amati da Dio o meglio che Egli esista senza mai
dimenticarci.
✠ Sub tuum praesídium confúgimus,
sancta Dei Génetrix;
nostras deprecatiónes ne despícias in necessitátibus;
sed a perículis cunctis líbera nos semper,
Virgo gloriósa et benedícta.
sancta Dei Génetrix;
nostras deprecatiónes ne despícias in necessitátibus;
sed a perículis cunctis líbera nos semper,
Virgo gloriósa et benedícta.
sabato 20 maggio 2017
mercoledì 17 maggio 2017
La lanterna e lo scrittore
Nella
torre in cima alla collina dimenticata viveva un vecchio che nei lontani paesi
conoscevano con l’appellativo di padre
corvo; era un uomo chiuso e schivo che detestava chiunque vedeva dalla sua
finestrella passare in lontananza. Una fanciulla un giorno si trovò sul
sentiero che portava dal suo borgo al fiume che scorre lento e inesorabile
sulla linea del destino, e da lontano voltandosi verso l’orizzonte imperituro
vide la torre del venerando anacoreta. Si accorse che su quella collina non vi
era vegetazione e non si sentiva nemmeno un passero cantare, ebbe timore del
luogo e passò oltre quella tetra visione. Nei boschi attorno alla collina
passarono molte altre creature e una di esse molto affranta dal tedioso proseguire
della vita, senza per questo desistere dal dovere di vivere a cui tutti sono
chiamati dal Creatore e dal suo ordine stabilito, decise di salire l’altura per
incontrare colui che di molte leggende era diventato il centro e l’idea
predominante. Questa creatura diversa dalle altre era un viandante cieco che si
orientava lento e scrutava la realtà circostante con l’occhio oscuro e
recondito della malvagità; il suo pensiero andò a colui che abitava la torre.
Disse dentro di sé con voce roca e sofferta: “Quell’uomo vecchio è l’anima che fugge alla legge della perdizione,
andrò da lui e gli domanderò se vuole cadere nelle tenebre”. Affrettò il
passo e seguì il sentiero impervio, arrivato alla porta chiusa bussò tre volte.
Rispose il venerando: “Chi è che mi
cerca? sono da molto tempo morto al mondo”. Il viandante con atteggiamento
risoluto così parlò: “Sono il diavolo dai
modi gentili e dall’inganno persuasivo, apri la tua porta perché colui che ti
parla è un mietitore e un portatore di sventura”. Il vecchio aprì la porta
e vide un fanciullo biancovestito con una clessidra nella mano sinistra e una
pergamena nella mano destra, la sabbia scorreva nella clessidra dal basso verso
l’alto e sulla pergamena ingiallita vi erano parole impronunciabili che
potevano essere comprese solamente da chi ha odiato il senso della vita e il
suo perdersi nell’eternità. “Perché sei
qui?”, disse il venerando digrignando i denti dalla collera, “Sono qui per farti scappare dalla solitudine
e dal rancore”, e la voce appariva triste e rassegnata mentre il cuore era
intriso di desiderio. La torre dopo pochi istanti crollò e i due si ritrovarono
ciascuno in un mondo diverso, lontani dalla collina e in pianure sconosciute; avvicinandosi
per la prima volta da tante epoche trascorse, furono separati dalla morte. Non
c’è un luogo, per quanto abbandonato e perso nel mondo dei viventi, dove la
morte prima o poi non separi, è la morte che inesorabile pone il suo sigillo sulla
sapienza e sulla follia, questo è il regno della morte e coloro che gli sono sudditi
– anche se
malvolentieri – debbono
obbedire ai suoi decreti, padre corvo
lo sapeva e aspettava rassegnato. Ma nel mezzo del divenire la Vita increata da
millenni arcani aveva già conquistato la vittoria, non tutti lo seppero e
soltanto alcuni furono consolati, soltanto coloro che videro quella luce che
predicatori impavidi chiamano fede, una luce che non può estinguersi e che
rifulge in cima ad alte torri oltre la vanità e il mentire: ciascun uomo che si
converte e piange i suoi peccati è quella torre tanto luminosa.
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