Sub tuum praesídium confúgimus,
sancta Dei Génetrix;

nostras deprecatiónes ne despícias in necessitátibus;
sed a perículis cunctis líbera nos semper,
Virgo gloriósa et benedícta.

sabato 20 maggio 2017

Gli affetti più cari

Ciascuno di noi vive degli affetti che comportano il nostro coinvolgimento nella vita di un’altra persona, amare una persona che sia la mamma o il papà, la sorella o la propria sposa è conforme alla natura umana, noi viviamo dei legami speciali con altre persone e desideriamo per loro ogni bene e la felicità; penso che l’ideale dell’amore aperto al prossimo senza distinzione sia puramente una questione ideale che appartiene all’ambito filosofico o della religione, perché le persone ordinariamente vivono dei rapporti di carattere esclusivo, è nella nostra natura. Da bambino ero particolarmente legato a mio nonno materno e quando venne a mancare a causa di una malattia contratta durante alcuni anni di lavoro, proprio nella casa che lui stesso edificò per i figli, io andai nella mia cameretta e me la presi con il crocifisso accusandolo di avermelo portato via e lo tolsi con rabbia dalla parete su cui era appeso: avevo solamente sei anni, ero un bambino che vide suo nonno andarsene prematuramente dopo pochi anni dalla sua entrata in pensione maturata con tanti anni di lavoro onesto, sentii quella esperienza come una gravissima ingiustizia e me la presi con Dio. Nelle settimane successive dopo il funerale sognai mio nonno che saliva le scale della nostra casa e veniva verso di me con un volto sereno, con uno sguardo benevolo. La vita è fatta così e gli uomini hanno su di essa ben poco potere, sono convinto che l’essenziale consista nel saper distinguere il bene dal male, e dalla buona volontà che ci rende capaci di scegliere sempre il bene: noi non siamo come gli altri animali, abbiamo una capacità morale e penso sia la dimostrazione scientifica della nostra anima. Oggi quando guardo il crocifisso vedo in esso mio nonno e tutte le persone care che ho perso e sono convinto che Dio ci abbia amato non togliendoci dalla nostra brutta situazione o illudendoci, ma partecipando alla nostra stessa vita e al nostro destino, condividendo tutto con noi, persino i nostri sentimenti più profondi, diventando uno di noi capace di compatirci in tutto, anche nel gesto blasfemo di prendercela con Lui con un atteggiamento di rancore e di ribellione. Il Vangelo in una parabola propria di san Luca dice che se anche qualcuno dovesse tornare dai morti molti non sarebbero persuasi a credere e a convertirsi, questo ci suggerisce che non bisogna biasimare coloro che non posseggono un dono tanto prezioso come la fede, dobbiamo biasimare noi stessi quando con tanta arroganza pretendiamo di giudicare il prossimo nelle sue scelte e nei suoi convincimenti, senza averne alcuna umile comprensione. E’ un atteggiamento contrario alla carità e quindi a Dio, il nostro dovere è quello di pregare per gli altri se con coerenza ci diciamo credenti, altrimenti dimostriamo di essere soltanto degli impostori e degli ipocriti, che avanzano stoltamente delle pretese di saccenza. Non abbiamo potere su niente o quasi perché siamo misere creature, possiamo semplicemente dire: “Sia fatta la tua volontà”, forse questa è la preghiera più difficile ma anche quella più autentica, anche se umanamente parlando è difficile accettare tutto quello che ci accade, è difficile credere di essere amati da Dio o meglio che Egli esista senza mai dimenticarci.

mercoledì 17 maggio 2017

La lanterna e lo scrittore

Nella torre in cima alla collina dimenticata viveva un vecchio che nei lontani paesi conoscevano con l’appellativo di padre corvo; era un uomo chiuso e schivo che detestava chiunque vedeva dalla sua finestrella passare in lontananza. Una fanciulla un giorno si trovò sul sentiero che portava dal suo borgo al fiume che scorre lento e inesorabile sulla linea del destino, e da lontano voltandosi verso l’orizzonte imperituro vide la torre del venerando anacoreta. Si accorse che su quella collina non vi era vegetazione e non si sentiva nemmeno un passero cantare, ebbe timore del luogo e passò oltre quella tetra visione. Nei boschi attorno alla collina passarono molte altre creature e una di esse molto affranta dal tedioso proseguire della vita, senza per questo desistere dal dovere di vivere a cui tutti sono chiamati dal Creatore e dal suo ordine stabilito, decise di salire l’altura per incontrare colui che di molte leggende era diventato il centro e l’idea predominante. Questa creatura diversa dalle altre era un viandante cieco che si orientava lento e scrutava la realtà circostante con l’occhio oscuro e recondito della malvagità; il suo pensiero andò a colui che abitava la torre. Disse dentro di sé con voce roca e sofferta: “Quell’uomo vecchio è l’anima che fugge alla legge della perdizione, andrò da lui e gli domanderò se vuole cadere nelle tenebre”. Affrettò il passo e seguì il sentiero impervio, arrivato alla porta chiusa bussò tre volte. Rispose il venerando: “Chi è che mi cerca? sono da molto tempo morto al mondo”. Il viandante con atteggiamento risoluto così parlò: “Sono il diavolo dai modi gentili e dall’inganno persuasivo, apri la tua porta perché colui che ti parla è un mietitore e un portatore di sventura”. Il vecchio aprì la porta e vide un fanciullo biancovestito con una clessidra nella mano sinistra e una pergamena nella mano destra, la sabbia scorreva nella clessidra dal basso verso l’alto e sulla pergamena ingiallita vi erano parole impronunciabili che potevano essere comprese solamente da chi ha odiato il senso della vita e il suo perdersi nell’eternità. “Perché sei qui?”, disse il venerando digrignando i denti dalla collera, “Sono qui per farti scappare dalla solitudine e dal rancore”, e la voce appariva triste e rassegnata mentre il cuore era intriso di desiderio. La torre dopo pochi istanti crollò e i due si ritrovarono ciascuno in un mondo diverso, lontani dalla collina e in pianure sconosciute; avvicinandosi per la prima volta da tante epoche trascorse, furono separati dalla morte. Non c’è un luogo, per quanto abbandonato e perso nel mondo dei viventi, dove la morte prima o poi non separi, è la morte che inesorabile pone il suo sigillo sulla sapienza e sulla follia, questo è il regno della morte e coloro che gli sono sudditi anche se malvolentieri debbono obbedire ai suoi decreti, padre corvo lo sapeva e aspettava rassegnato. Ma nel mezzo del divenire la Vita increata da millenni arcani aveva già conquistato la vittoria, non tutti lo seppero e soltanto alcuni furono consolati, soltanto coloro che videro quella luce che predicatori impavidi chiamano fede, una luce che non può estinguersi e che rifulge in cima ad alte torri oltre la vanità e il mentire: ciascun uomo che si converte e piange i suoi peccati è quella torre tanto luminosa.