L’uomo di
oggi vive in un mondo tecnologizzato in continuo progresso, nonostante tutti i
paradossi etici e le diseguaglianze sociali che rispecchiano la sua crisi
interiore e il suo disagio esistenziale. La tecnologia serve all’uomo più di
quanto l’uomo serva ad essa, non è ancora un supervisore indipendente dotato di
pensiero autonomo, rimane uno strumento nelle mani di un artefice che detta le
regole entro cui le azioni delle macchine devono esplicarsi per trarre un
profitto utile alla nostra specie o a corporazioni della nostra specie, si
pensi infatti al digital divide e
alla marginalizzazione di grandi fasce della società o di interi popoli
definiti in via di sviluppo. L’educazione nelle scuole passa anche dall’alfabetizzazione
informatica fin dall’infanzia, si pensi alla didattica a distanza durante l’emergenza
Covid-19 che qualcuno critica perché favorirebbe l’autismo digitale o un
comportamento coatto da hikikomori, quindi la mancanza di socialità reale e di
relazioni sane che ogni ambito scolastico dovrebbe fornire agli studenti di
ogni età. I computer sono parte integrante del mondo produttivo e della scuola,
sono necessari allo sviluppo e le intelligenze artificiali fanno sempre più
parte del nostro mondo, con queste intelligenze dobbiamo entrare in una
dialettica per acquisire conoscenze, informazioni e come una significativa estensione
del nostro pensiero e del nostro ragionare, persino della nostra immaginazione
sul piano creativo. Senza le macchine interconnesse che costruiscono un mondo
smart e cybernetics avremmo una civiltà meno evoluta sul piano dell’intelligenza
e risposte incerte della nostra intelligenza a ogni problema del vivere e dello
stare insieme. Il problema del senso del vivere non si pone in una società dove
le tecnologie sono una rete di fattori che migliorano la qualità della vita con
l’ambizione di renderci liberi, dove per libertà s’intende l’emancipazione da tutto
ciò che contraria il benessere e la piena realizzazione della persona secondo
le sue qualità e il suo potenziale. In una tecnodemocrazia per rendere
fattibile la convivenza civile occorrono delle leggi che mettano l’uomo al centro
e considerino le macchine delle fonti di utilità e non le destinatarie dell’opera
dell’uomo, la rivoluzione delle macchine consiste nell’equilibrio tra le azioni
dell’uomo in riferimento al proprio ambito, non in una declassazione dell’uomo
in favore delle realtà artificiali; senza l’umanità che viene valorizzata e un’etica
condivisa nelle dinamiche relazionali, il ruolo delle macchine perde la sua
funzione positiva, la sua valenza filantropica in favore di una tirannide dove
l’uomo si asservisce alla produzione e al consumo come prosternandosi davanti a
un idolo di cui non può fare a meno, e che lo mette nella condizione di perdere
diritti e dignità. Le macchine possono essere programmate, seguono degli
automatismi e non diventeranno mai esseri viventi, è una convivenza in cui l’uomo
che è l’architetto delle macchine non può rinunciare al suo primato di
fondatore di un ordine dove l’artificiale e il biologico non staranno mai sullo
stesso piano, la macchina è una estensione dell’uomo, l’opera della sua
intelligenza e non sarà mai il contrario. Ogni macchina costruita dall’uomo ha
sempre avuto lo scopo di favorire la conoscenza della realtà, intervenire su di
essa e migliorarci dal punto di vista antropologico, con la sinergia di diverse
discipline come matematica, fisica, chimica e filosofia della scienza. Se nella Bibbia
si legge un verso che dice che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio,
nella tecnologia tutto dovrebbe concorrere al bene dell’uomo, senza cadere nel
malinteso delle macchine come un fine utile a cui tendere in senso assoluto e
non come un mezzo di cui disporre per il sostentamento del genere umano e delle sue società. La matematica per spiegare la natura necessita sempre di una
coerenza senza difetti, la filosofia di una morale senza compromessi che ponga
l’uomo al centro, l’informatica di protocolli e codici condivisi e di un
accesso libero alle risorse che non trascuri nessuno. Una macchina non potrà
mai pensare sé stessa, la persona umana invece può pensare le macchine e
inventarle con il suo genio, c’è grande differenza tra essere cosa ed essere
persona. Se nel futuro i ruoli si confonderanno sarà l’inizio di una decadenza
e non di una evoluzione che ci farà passare oltre i limiti della nostra natura.
La vita biologica come la sua origine rimangono ancora quasi del tutto
inspiegabili, se ci sarà la vita artificiale non diventerà mai l’equivalente di
un clone, piuttosto un semplice prodotto in nostro favore e tale rimarrà
sempre, le implicazioni etiche tra l’artefice e l’artefatto piuttosto serie se
questa sicurezza dovesse scardinarsi. I computer della nostra modernità sono
molto diversi da quelli di film cult come Matrix, le macchine autocoscienti che con
le loro reti neurali assimilano l’uomo come fonte energetica e il nostro
cervello prigioniero di una neurosimulazione appartengono all’ambito della
fantascienza.