Sub tuum praesídium confúgimus,
sancta Dei Génetrix;

nostras deprecatiónes ne despícias in necessitátibus;
sed a perículis cunctis líbera nos semper,
Virgo gloriósa et benedícta.

mercoledì 10 giugno 2020

La tecnocrazia distopica

L’uomo di oggi vive in un mondo tecnologizzato in continuo progresso, nonostante tutti i paradossi etici e le diseguaglianze sociali che rispecchiano la sua crisi interiore e il suo disagio esistenziale. La tecnologia serve all’uomo più di quanto l’uomo serva ad essa, non è ancora un supervisore indipendente dotato di pensiero autonomo, rimane uno strumento nelle mani di un artefice che detta le regole entro cui le azioni delle macchine devono esplicarsi per trarre un profitto utile alla nostra specie o a corporazioni della nostra specie, si pensi infatti al digital divide e alla marginalizzazione di grandi fasce della società o di interi popoli definiti in via di sviluppo. L’educazione nelle scuole passa anche dall’alfabetizzazione informatica fin dall’infanzia, si pensi alla didattica a distanza durante l’emergenza Covid-19 che qualcuno critica perché favorirebbe l’autismo digitale o un comportamento coatto da hikikomori, quindi la mancanza di socialità reale e di relazioni sane che ogni ambito scolastico dovrebbe fornire agli studenti di ogni età. I computer sono parte integrante del mondo produttivo e della scuola, sono necessari allo sviluppo e le intelligenze artificiali fanno sempre più parte del nostro mondo, con queste intelligenze dobbiamo entrare in una dialettica per acquisire conoscenze, informazioni e come una significativa estensione del nostro pensiero e del nostro ragionare, persino della nostra immaginazione sul piano creativo. Senza le macchine interconnesse che costruiscono un mondo smart e cybernetics avremmo una civiltà meno evoluta sul piano dell’intelligenza e risposte incerte della nostra intelligenza a ogni problema del vivere e dello stare insieme. Il problema del senso del vivere non si pone in una società dove le tecnologie sono una rete di fattori che migliorano la qualità della vita con l’ambizione di renderci liberi, dove per libertà s’intende l’emancipazione da tutto ciò che contraria il benessere e la piena realizzazione della persona secondo le sue qualità e il suo potenziale. In una tecnodemocrazia per rendere fattibile la convivenza civile occorrono delle leggi che mettano l’uomo al centro e considerino le macchine delle fonti di utilità e non le destinatarie dell’opera dell’uomo, la rivoluzione delle macchine consiste nell’equilibrio tra le azioni dell’uomo in riferimento al proprio ambito, non in una declassazione dell’uomo in favore delle realtà artificiali; senza l’umanità che viene valorizzata e un’etica condivisa nelle dinamiche relazionali, il ruolo delle macchine perde la sua funzione positiva, la sua valenza filantropica in favore di una tirannide dove l’uomo si asservisce alla produzione e al consumo come prosternandosi davanti a un idolo di cui non può fare a meno, e che lo mette nella condizione di perdere diritti e dignità. Le macchine possono essere programmate, seguono degli automatismi e non diventeranno mai esseri viventi, è una convivenza in cui l’uomo che è l’architetto delle macchine non può rinunciare al suo primato di fondatore di un ordine dove l’artificiale e il biologico non staranno mai sullo stesso piano, la macchina è una estensione dell’uomo, l’opera della sua intelligenza e non sarà mai il contrario. Ogni macchina costruita dall’uomo ha sempre avuto lo scopo di favorire la conoscenza della realtà, intervenire su di essa e migliorarci dal punto di vista antropologico, con la sinergia di diverse discipline come matematica, fisica, chimica e filosofia della scienza. Se nella Bibbia si legge un verso che dice che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio, nella tecnologia tutto dovrebbe concorrere al bene dell’uomo, senza cadere nel malinteso delle macchine come un fine utile a cui tendere in senso assoluto e non come un mezzo di cui disporre per il sostentamento del genere umano e delle sue società. La matematica per spiegare la natura necessita sempre di una coerenza senza difetti, la filosofia di una morale senza compromessi che ponga l’uomo al centro, l’informatica di protocolli e codici condivisi e di un accesso libero alle risorse che non trascuri nessuno. Una macchina non potrà mai pensare sé stessa, la persona umana invece può pensare le macchine e inventarle con il suo genio, c’è grande differenza tra essere cosa ed essere persona. Se nel futuro i ruoli si confonderanno sarà l’inizio di una decadenza e non di una evoluzione che ci farà passare oltre i limiti della nostra natura. La vita biologica come la sua origine rimangono ancora quasi del tutto inspiegabili, se ci sarà la vita artificiale non diventerà mai l’equivalente di un clone, piuttosto un semplice prodotto in nostro favore e tale rimarrà sempre, le implicazioni etiche tra l’artefice e l’artefatto piuttosto serie se questa sicurezza dovesse scardinarsi. I computer della nostra modernità sono molto diversi da quelli di film cult come Matrix, le macchine autocoscienti che con le loro reti neurali assimilano l’uomo come fonte energetica e il nostro cervello prigioniero di una neurosimulazione appartengono all’ambito della fantascienza.