Sub tuum praesídium confúgimus,
sancta Dei Génetrix;

nostras deprecatiónes ne despícias in necessitátibus;
sed a perículis cunctis líbera nos semper,
Virgo gloriósa et benedícta.

domenica 27 ottobre 2013

La Madonna è nostra Madre e ci insegna a pregare

Le grazie giungono all’uomo attraverso Maria, piena di grazia, Lei è la mediatrice tra Cristo e i cristiani, tra il Cielo e la terra

Ogni grazia che gli uomini ricevono, con bellissimo ordine da Dio vien concessa a Cristo, da Cristo alla Vergine, dalla Vergine a noi. Infatti il donatore di ogni grazia è primariamente Dio, come scrive l’Apostolo Giacomo: “ Ogni buon dato e ogni perfetto dono viene di sopra, scendendo dal Padre dei lumi ”. Le grazie procedono secondariamente dal Signore Gesù Cristo in quanto uomo, poiché Egli mentre visse nel mondo ci meritò tutti quei favori che Dio fino dall’eternità aveva disposto di concedere al mondo, siccome è scritto nel Vangelo di san Giovanni: “ E dalla pienezza di Lui noi tutti abbiamo ricevuto e una grazia in cambio d’un’altra ”. Le grazie procedono in terzo luogo dalla Vergine benedetta, poiché, fin dal tempo nel quale essa concepì Dio nel suo seno, ebbe, direi quasi, padronanza ed autorità su di ogni temporale concessione fatta dallo Spirito Santo, dimodoché nessuna creatura riceve alcuna grazia se non per mezzo di Lei. Pertanto, essendo Cristo il nostro capo dal quale ogni benefico influsso deriva nel corpo mistico, la beata Vergine è come il collo, per cui questo influsso passa per le varie membra, siccome Salomone parlando di Cristo attesta: “ Il Tuo collo, cioè la Vergine Santissima, è come torre d’avorio ”. Di che san Bernardo esclama: “ Nessuna grazia scenda dal Cielo in terra, se non passa per le mani di Maria ”. A buon diritto adunque può salutarsi piena di grazia Colei dalla quale tutte le grazie derivano nella Chiesa.

San Bernardino da Siena, Cinque sermoni, pp. 71-72

Come si prega il Santo Rosario

« Ave oh Maria, piena di grazia, il Signore è con Te, Tu sei benedetta tra le donne e benedetto è il frutto del Tuo seno Gesù; santa Maria, Madre di Dio, prega per noi peccatori, adesso e nell’ora della nostra morte. Amen ».

La preghiera più potente ed efficace per chiedere e ottenere le grazie da Dio è il Santo Rosario della Beata Vergine Maria, ed è anche la preghiera con il più grande potenziale apotropaico e di liberazione dal male, che secoli di tradizione orante nella Chiesa ci hanno consegnato, è una preghiera semplice che tutti possono recitare, è la preghiera dei piccoli e degli umili, la preghiera dei poveri in spirito secondo le beatitudini evangeliche, così come sono i veri figli e le vere figlie della Madonna; il Santo Rosario è una preghiera contemplativa e litanica, costituita da quattro Corone e da venti Misteri da meditare in concomitanza con la recita delle Ave Maria, tutti i Misteri del Rosario sono attinti dal Santo Vangelo, dalla vita del Cristo e della sua Santissima Madre, dalla loro vita descritta nelle pagine della Sacra Scrittura, dagli episodi più importanti e significativi della loro esistenza tra noi e per noi, vera sorgente della nostra redenzione dal peccato, dalla morte e dal maligno, perché nel Santo Rosario c’è tutta la storia della nostra salvezza: per ognuno dei Misteri si pregano a voce un Padre nostro, dieci Ave Maria e un Gloria e si medita interiormente il Mistero corrispondente alle Parole del Santo Vangelo, si concludono i cinque Misteri di una Corona con la recita della Salve Regina e si aggiungono come intermezzo ai Misteri altre preghiere, di diverso carattere, si incomincia e si conclude il Santo Rosario con il segno della Croce. Anche la postura e l’atteggiamento che assumiamo con il nostro corpo è importante, ma di più le disposizioni interiori, in primo luogo la fede e la carità, è lecito affermare che occorra metterci il cuore per pregare bene, ma non il sentimentalismo romantico bensì un sincero sentimento filiale d’affetto alla propria Madre. Una preghiera che si recita alla fine di ogni Decina è stata insegnata dall’Angelo ai tre pastorelli di Fatima ed è la seguente: “ Oh mio Gesù, perdona le nostre colpe, preservaci dal fuoco dell’inferno, porta in Cielo tutte le anime, specialmente le più bisognose della Tua misericordia! ”.

Breve storia del Santo Rosario

All’origine del Rosario vi sono i 150 Salmi di Davide che si recitavano nei monasteri.
Per ovviare alla difficoltà, al di fuori dei centri religiosi, di imparare a memoria tutti i Salmi, verso l’850 un monaco irlandese suggerì di recitare al posto dei Salmi 150 Padre Nostro.
Per contare le preghiere i fedeli avevano vari metodi, tra cui quello di portare con sé 150 sassolini, ma ben presto si passò all’uso delle cordicelle con 50 o 150 nodi.
Poco tempo dopo, come forma ripetitiva, si iniziò ad utilizzare anche il Saluto dell’Angelo a Maria, che costituiva allora la prima parte dell’Ave Maria.
Nel XIII secolo i monaci cistercensi svilupparono una nuova forma di preghiera che chiamarono rosario, perché la comparavano ad una corona di rose mistiche donate alla Madonna. Questa devozione fu resa popolare da san Domenico, che nel 1214 ricevette il primo rosario della Vergine Maria come strumento per l’aiuto dei cristiani contro le eresie.
Nel XIII secolo si svilupparono i Misteri del Rosario: numerosi teologi avevano già da tempo considerato che i 150 Salmi erano velate profezie sulla vita di Gesù. Dallo studio dei Salmi si arrivò ben presto alla elaborazione dei Salteri di Nostro Signore Gesù Cristo, nonché alle lodi dedicate a Maria. Così durante il XIII secolo si erano sviluppati quattro diversi salteri: i 150 Padre Nostro, i 150 Saluti Angelici, le 150 lodi a Gesù, le 150 lodi a Maria.
Verso il 1350 si arriva alla compiutezza dell’Ave Maria come la conosciamo oggi. Questo avviene ad opera dell’Ordine dei certosini, che uniscono il saluto dell’Angelo con quello di Elisabetta, fino all'inserimento di «adesso e nell’ora della nostra morte. Amen».
All'inizio del XIV secolo i cistercensi, in particolare quelli della regione francese di Trèves, inseriscono le clausole dopo il nome di Gesù, per abbracciare all’interno della preghiera l’intera vita di Cristo.
Verso la metà del XIV secolo, un monaco della certosa di Colonia, Enrico Kalkar, introdusse prima di ogni decina alla Madonna, il Padre Nostro. Questo metodo si diffuse rapidamente in tutta Europa.
Sempre nella certosa di Trèves, all’inizio del 1400, Domenico Hélion (chiamato anche Domenico il Prussiano o Domenico di Trèves), sviluppa un rosario in cui fa seguire il nome di Gesù da 50 clausole che ripercorrono la vita di Gesù. E come aveva introdotto Enrico Kalkar, i pensieri di Domenico il Prussiano erano divisi in gruppi di 10 con un Padre Nostro all’inizio di ogni gruppo.
Tra il 1435 e il 1445, Domenico compone per i fratelli certosini fiamminghi, che recitano il Salterio di Maria, 150 clausole divise in tre sezioni corrispondenti ai Vangeli dell’infanzia di Cristo, della vita pubblica, e della Passione-Risurrezione.
Nel 1470 il domenicano Alain de la Roche, in contatto con i certosini, da cui apprende la recita del Rosario, crea la prima Confraternita del Rosario facendo diffondere rapidamente questa forma di preghiera: chiama Rosario «nuovo» quello con un pensiero all’interno di ogni Ave Maria, e Rosario «vecchio» quello senza meditazione, con solo le Ave Maria. Alain de la Roche riduce a 15 i Misteri (suddivisi in gaudiosi, dolorosi, gloriosi), e sarà solamente con Papa Giovanni Paolo II (un grande apostolo del Rosario), con la lettera apostolica «Rosarium Virginis Mariae» (2002), che verranno reintrodotti i misteri luminosi sulla vita pubblica di Gesù.
I domenicani sono stati grandi promotori del Rosario nel mondo. Hanno creato diverse associazioni rosariane, tra cui la Confraternita del Rosario (fondata nel 1470), la Confraternita del Rosario Perpetuo (chiamata anche Ora di Guardia, fondata nel 1630 dal padre Timoteo de’ Ricci, si impegnava ad occupare tutte le ore del giorno e della notte, di tutti i giorni dell’anno, con la recita del Rosario), la Confraternita del Rosario Vivente (fondata nel 1826 dalla terziaria domenicana Pauline-Marie Jaricot).
La struttura medievale del Rosario fu abbandonata gradualmente con il Rinascimento, e la forma definitiva del Rosario si ha nel 1521 ad opera del domenicano Alberto di Castello.
San Pio V, di formazione domenicana, fu il primo «Papa del Rosario». Nel 1569 descrisse i grandi frutti che san Domenico raccolse con questa preghiera, ed invitò tutti i cristiani ad utilizzarla.
Leone XIII, con le sue 12 Encicliche sul Rosario, fu il secondo «Papa del Rosario».
Dal 1478 ad oggi si contano oltre 200 documenti pontifici sul Rosario.
In più apparizioni la Madonna stessa ha indicato il Rosario come la preghiera più necessaria per il bene dell’umanità. Nell’apparizione a Lourdes del 1858, la Vergine aveva una lunga corona del Rosario al braccio. Nel 1917 a Fatima come negli ultimi anni a Medjugorje, la Madonna ha invitato e ha esortato a recitare il Rosario tutti i giorni.

Dal libro: Le Litanie

venerdì 18 ottobre 2013

Le bugie del diavolo

L’arte della menzogna è un’abilità che il maligno possiede in sommo grado, non a caso il Signore nei Vangeli lo definisce il padre della menzogna; ci sono numerose testimonianze di esorcismi in cui il demonio fa delle dichiarazioni spontanee, queste dichiarazioni debbono essere considerate sempre come delle falsità, come delle astute bugie; le persone che subiscono la possessione diabolica durante la preghiera di esorcismo entrano in trance e a quel punto è il demonio dentro quella persona a parlare, e lui è un grandissimo bugiardo, cerca di distogliere dall’obiettivo primario degli esorcismi e cioè dalla liberazione e di portare i presenti ad atti di curiosità che esulano dallo scopo della preghiera rituale, che dev’essere sempre e soltanto la cacciata dei demòni dalla persona colpita dalla possessione, la liberazione duratura di quella persona, una liberazione senza ulteriori ricadute, perché la liberazione dal male è sempre un atto di carità nei confronti di una persona sofferente, è parte della pastorale di carità in tutte le chiese. I demòni parlano non di rado di anime di defunti presenti nella persona o nei luoghi infestati, e queste presenze di anime umane dichiarate dai demòni sono sempre e soltanto menzogne, a dare i disturbi non sono mai le anime dei trapassati ma sempre i demòni, anche se è possibile che le anime dei dannati siano richiamate dall’inferno per un’attività di natura diabolica, ma questa è e rimane soltanto un’ipotesi teologica, non c’è nulla di confermato: la fede cattolica ci insegna che le anime dei defunti dopo la morte vengono giudicate da Dio e vanno direttamente nelle loro sedi eterne che sono l’inferno, il purgatorio, che è già un ambito di salvezza, o il Paradiso, non ci sono anime che restano legate alla dimensione terrena per cui i viventi possono interagire con i morti, questo è un inganno che i demòni sono interessati a far passare come veridico, basti pensare agli errori dello spiritismo, della necromanzia e di un certo occultismo, dove chi esercita queste pratiche non fa altro che entrare in contatto con gli stessi demòni, con il maligno ed è esattamente ciò che loro desiderano, per questo tentano in ogni occasione che gli si presenta di ingannare e di portare le persone testimoni di questi fenomeni soprannaturali, all’inganno più subdolo; satana è uno spirito intelligente e conosce alla perfezione la mente umana, comprese le sue debolezze, per questo motivo gli risulta facile ingannarci. A volte i demòni nell’interrogatorio sono costretti a dire la verità, quando ad esempio l’esorcista glielo impone nel Nome di Gesù Cristo o della Madonna, ma a quanto dichiarano spontaneamente non c’è da credere: il Rituale dice di fare solamente alcune domande al demonio durante l’esorcismo, come ad esempio i motivi che lo hanno indotto a possedere quella persona o riguardo la data precisa della sua fuoriuscita, della liberazione, le domande di curiosità che esulano da quanto il Rituale ammette come lecite e attinenti sono da evitare per una questione di prudenza, sono assolutamente da evitare per non essere tratti in errore; il demonio quando è ciarliero parla con lo scopo di distogliere le persone dalla preghiera e dal desiderio della liberazione, che è l’unico bene da perseguire negli esorcismi, l’unico bene per la persona vittima del maligno. Satana è sempre e soltanto un gran bugiardo, ricordiamocelo sempre, lui dice le bugie per portarci lontano dalla Verità e in questa maniera danneggiare la nostra fede sana e genuina, il Rituale romano degli esorcismi lo definisce come il maestro di tutti gli eretici, cerchiamo di stare in guardia anche da tutti i vari falsi maestri del mondo contemporaneo, autoproclamatisi uomini di Dio, che sono più o meno inconsapevolmente suoi strumenti per spargere menzogne; queste sono tutte cose che fanno davvero male alla nostra anima e favoriscono l’impero delle tenebre. Consiglio a chi vuole conoscere la dottrina e la fede secondo la verità della Rivelazione cristiana, di leggere il Catechismo della Chiesa Cattolica, di studiarlo con attenzione perché è davvero una grande fonte di ricchezza spirituale, inoltre ci matura culturalmente. Aggiungo alla pagina una preghiera di liberazione della tradizione che si chiama Anima di Cristo:


Anima di Cristo, santificami
Corpo di Cristo, salvami
Sangue di Cristo, inebriami
Acqua del costato di Cristo, lavami
Passione di Cristo, confortami
Oh buon Gesù, esaudiscimi
Entro le Tue piaghe nascondimi
Dal maligno nemico difendimi
Nell’ora della mia morte chiamami
Non permettere che io sia separato da Te
Fa ch’io venga a Te a lodarti con i Tuoi Santi 
per i secoli dei secoli
Amen.

mercoledì 16 ottobre 2013

Il bene che voglio e il male che non voglio

Infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio ”. (Rm 7:19) Questa frase dell’Apostolo san Paolo tratta dalla Lettera ai Romani, pone in evidenza una contraddizione a cui tutti gli esseri umani sono soggetti, esiste una dicotomia nella natura psichica della persona, una sorta di incoerenza tra ciò che accettiamo come bene nella nostra coscienza, magari interiorizzando la Legge di Dio, e quello che compiamo con le nostre azioni, quindi una tendenza naturale al male che i Padri della Chiesa antica hanno definito con il termine concupiscenza; concupire significa sentire in sé il desiderio di compiere il male nonostante i dettami della propria coscienza, significa conoscere il bene e il male, scegliere il bene consapevolmente ma covare nella carne, quindi nella mente e nell’istinto, la frenetica inclinazione di fare il male, il desiderio irrefrenabile di violare la Legge di Dio, di calpestare i Comandamenti ogniqualvolta ci si presenta l’occasione per farlo, questo desiderio di male si manifesta specificamente in quelli che sono definiti dalla teologia come i sette vizi capitali, si può benissimo affermare che l’ego umano ha sette bocche fameliche da soddisfare che sono la superbia (sfoggio della propria superiorità rispetto agli altri), l’accidia (la pigrizia, l’ozio, la poca voglia di fare, l’apatia, il disinteresse verso gli altri, verso sé stessi, e verso la vita), la lussuria (dedizione al piacere e al sesso), l’ira (il lasciarsi facilmente andare alla collera), la gola (abbandono e esagerazione nei piaceri della tavola), l’invidia (desiderio malsano verso chi possiede qualità, beni o situazioni migliori delle proprie), l’avarizia (mancanza di generosità, colui che è taccagno, ma in origine indicava la tendenza all’accumulo eccessivo ed ingiustificato, la tesaurizzazione), questi sette vizi sono dei veri e propri abiti del male, come li definisce il grande filosofo greco Aristotele; al pari delle virtù, i vizi derivano dalla ripetizione di azioni che formano nel soggetto che le compie una sorta di abito che lo inclina in una certa direzione. I vizi diventano la manifestazione della psicopatologia dell’uomo. I vizi diventano quindi malattie dello spirito. La concupiscenza è l’origine di tutti i vizi, ed è scritta a caratteri indelebili nella nostra carne, è parte della nostra natura decaduta: per dire un no sincero ai vizi e far nascere in noi le virtù morali occorre un grande sacrificio, occorre rinunciare a sé stessi, al nostro egoismo esasperato, facendo ricorso alla mortificazione, vocabolo che letteralmente significa dare morte, a che cosa? alle radici del male che sono in noi, estirpandole dal nostro cuore, occorre scegliere e fare il bene tutte le volte che ne abbiamo l’occasione, in caso contrario facendo il male alimentiamo i vizi e ci corrompiamo interiormente, deturpiamo la nostra anima; se un raggio di luce entrasse nella nostra povera anima vedremmo con chiarezza lo stato pietoso di bruttura e sporcizia in cui versa e inorridiremmo, praticare la virtù significa fare pulizia dall’iniquità che abita in noi e preparare una degna dimora a Dio, perché la santità di Dio richiede che lo si ospiti in un cuore puro e terso, alieno dal male. Per comprendere lo stato della propria anima è necessaria una profonda conoscenza di sé e delle questioni spirituali e morali, occorre un esame accurato delle azioni compiute nell’arco di tutta la vita; ricordiamoci che il bene è difficile ed esige impegno mentre il male è facile, scolpire una statua stupenda per un abile e geniale artista richiede impegno e dedizione nel tempo, per distruggerla basta un istante e dopo non si può più riparare il danno, così è per la cura della propria anima: la virtù è difficile ma ci dona la libertà, mentre il vizio schiavizza e ci toglie dignità, è una battaglia che va combattuta con perseveranza, senza mai stancarsi o peggio ancora arrendersi, è una battaglia importante perché in gioco c’è la nostra eterna salute. Tutti noi desideriamo fare il bene e invece molto spesso ci capita di fare il male e la nostra coscienza, vigile e attenta vicaria di Dio, ci rimprovera e ci ammonisce severamente, e perché questo accade? Come ho detto prima la natura umana è corrotta e tutte le creature umane la condividono egualmente, ma la grazia del Signore ci guarisce e ci conferisce la forza di opporci ai vizi capitali e alle tentazioni, ci rende capaci di fare il bene e di acquisire meriti per la vita eterna; la grazia è una forza che guarisce l’anima, che la trasfigura nella carità, che la fa diventare simile alla Sorgente eterna da cui scaturisce, è una forza positiva e trasformante: le persone buone e virtuose le si può distinguere con chiarezza, anche se il cuore lo vede solamente Dio, Lui solo sa che cosa c’è in un’anima, noi semplicemente apprezziamo i frutti di quell’anima. Bisogna volere il bene e sforzarci di farlo, mentre il male va detestato ed evitato anche a costo di grandi sacrifici, la Legge di Dio e i suoi Comandamenti sono la nostra bussola, seguiamo la bussola per non cadere in errore, non possiamo barattare la nostra libertà per la soddisfazione meschina del nostro egoismo, Gesù ha detto: “ La Verità vi farà liberi ”, seguiamo l’insegnamento del Maestro, ascoltiamo la sua Parola che davvero rende liberi di amare  e incominciamo ad amare, non procrastiniamo nell’indolenza.

venerdì 11 ottobre 2013

Luce che splende nelle tenebre

Dai racconti pubblicati sul Bollettino ufficiale degli esorcisti italiani si desumono molti insegnamenti utili alla vita spirituale e morale delle anime; la casa del demonio è una casa tenebrosa, gli spiriti maligni sono abitatori delle tenebre e desiderano che nella persona che possiedono corporalmente e mentalmente non abbia accesso la luce. Che cos’è la luce per i demòni? La preghiera è luce, i Sacramenti sono luce, lo Spirito Santo è luce, la grazia con quello che l’accompagna è luce, come il bene, l’amore, la compassione, il perdono, la giustizia, la verità, la castità, ogni genere di purezza spirituale e morale, ogni buon sentimento e moto interiore positivo, tutto questo è considerato dai demòni come “ la Luce ”, Dio stesso è Luce e non soltanto Luce ma anche fuoco che brucia, il demonio non sopporta la Luce ed è arso dalla presenza e dal contatto con essa: l’acqua benedetta è per i demòni come fuoco scottante, così come i segni di Croce, la stola del sacerdote e le preghiere che sono per lui insopportabili, a queste cose il demonio reagisce quasi sempre in modo avverso e rabbioso, oppure tace ma in sé cova l’odio più feroce e disperante. Il demonio vuole che si creda che egli non esiste e soprattutto che non è presente in una persona, così rimanendo nascosto avvinghia quell’anima nelle spire del peccato e la fa sua, il suo scopo è di portarla all’inferno al momento della morte, non gli interessa nient’altro; quando una persona non prega il suo mondo interiore è tenebra in cui è quasi del tutto assente la luce, questa condizione di buio fa dell’uomo l’abitazione prediletta del maligno e allora egli non esita ad insediarsi e a infestare un individuo proprio alla maniera di uno spregevole parassita. Per espellere i demòni da una persona occorre tanta luce affinché la casa che si è scelto per abitare diventi per lui inabitabile e così se ne vada di spontanea volontà, oppure invocando il Signore, la Madonna o san Michele arcangelo siano essi a portare con la loro presenza la Luce e a scacciarlo definitivamente: il maligno non sopporta la Luce e i suoi occhi empi vedono tutto quanto è sacro come Luce, tutto quello che viene accomunato con Dio come Luce, alla Luce soffre terribilmente e cerca le tenebre, alla presenza della Luce si dà alla fuga e scappa lontano per nascondersi nel suo habitat naturale che sono le tenebre più oscure. Ci sono possessioni incolpevoli che riguardano il corpo e la mente e possessioni in cui è evidente la responsabilità del soggetto, per la sua scelta deliberata del male, del peccato, addirittura la sua consacrazione a satana con il patto di sangue: bisogna tenere presente un elemento importantissimo e cioè che senza la conversione personale a Dio la liberazione non è possibile! E una conversione autentica passa sempre dal pentimento delle proprie colpe e dalla penitenza, in particolare dal sacramento della Confessione che ha un potere liberatore dal maligno eccezionale… e poi ovviamente dalla preghiera personale, che è luce che scaccia le tenebre e i tenebrosi abitatori di quei luoghi oscuri e insospettabili. Rimanere nel peccato dà occasione ai demòni di far propria una persona e di nascondersi in essa, una persona che non crede e non prega mai è la casa preferita di satana, lui non esita a impossessarsene, quando ha fatto suo un cuore umano ha vinto la sua più importante battaglia contro la Luce, e quasi sempre quella persona non ne è consapevole, lo sarà quando dopo la morte perverrà giù nell’inferno eterno. Il maligno è il principe delle tenebre, lui predilige le tenebre e odia la luce, noi dobbiamo portare nella nostra anima la Luce, cioè la presenza di Dio per poterci difendere dal nemico della nostra eterna salute, innanzitutto occorre pregare con fede e aderire a ogni forma di carità, è la via preferenziale per rimanere stabili nella Luce: satana non si stanca mai, è sempre in agguato ed è all’opera sia di giorno che di notte e ci aggredisce quando meno ce lo aspettiamo, noi senza la Luce di Dio, senza il mistero della sua grazia, siamo deboli ed esposti. Se il maligno si nasconde e ti lascia in pace, significa che forse con te ha vinto, non possiede il tuo corpo bensì la tua anima. La vita spirituale è un continuo combattimento tra la Luce e le tenebre, guai se abbassiamo la guardia, non dobbiamo rinunciare o desistere dalla preghiera, non è la conversione all’amore di Dio ma è la perseveranza nella conversione, a condurci al porto sicuro della salvezza: chi si arrende è perduto, occorre perseverare.

martedì 1 ottobre 2013

La Confessione libera dalle catene del male

La Confessione ben fatta incatena il diavolo e non gli permette di agire nella nostra vita, non gli permette di influenzarci e di ingannarci, o peggio ancora di strumentalizzarci; come introduzione al discorso dico che ogni fedele deve considerare secondo verità che la Confessione non è una seduta psicoanalitica, ma è un evento soprannaturale che mette in rapporto reale l’anima umana con Dio. Per fare una buona Confessione occorrono le giuste disposizioni, interiori ed esteriori, le più importanti sono l’accusa scrupolosa di tutti i peccati mortali e anche veniali di cui ci ricordiamo, senza escluderne deliberatamente nemmeno uno per superficialità o vergogna, l’atto penitenziale pronunciato con fede nella misericordia di Dio che perdona tutto e sempre senza alcun limite, con la consapevolezza di aver sbagliato e di aver offeso il suo Amore per noi, possibilmente un sincero e sentito pentimento attraverso il rimorso della nostra coscienza, la volontà ferma e decisa di non commettere nuovamente quei peccati o altri peccati in avvenire, con il proposito di fare del bene per riparare al passato ed edificare la propria anima nelle virtù, innanzitutto nella Carità verso il prossimo, che il Signore ci chiede di amare, perché come dice l’Apostolo: “ Se non ami il prossimo che vedi, non puoi dire di amare Dio che non vedi ”, quindi chi dimostra di non amare gli altri è ovvio che non ama neppure Dio e se afferma il contrario, la Parola di Dio testimonia di costui che è un bugiardo. Queste sopraelencate sono le disposizioni cardine per confessarsi bene, poi viene l’assoluzione del sacerdote con le parole: “ Io ti assolvo dai tuoi peccati, nel Nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo ”; chi assolve dai peccati non è un semplice uomo, forse oltretutto anche peccatore come noi, ma è Gesù stesso che agisce attraverso la persona del sacerdote, il ministro della Confessione agisce in persona Christi, nella Persona del Signore e non come un sostituto che possiede in sé stesso chissà quali poteri superiori, cosa che non è affatto così, ma come un suo strumento vicario, come lo strumento della sua eterna Misericordia: chi agisce e rimette i peccati tramite il sacerdote è Gesù stesso, la Parola di Dio lo conferma, chi assolve dai peccati è il Signore! In alcune rappresentazioni dell’arte che ritraggono il sacramento della Riconciliazione e del perdono, nel confessionale dinanzi al penitente inginocchiato è rappresentato proprio Gesù al posto del sacerdote confessore. Gesù ha fondato la Chiesa sui Dodici Apostoli e vi ha messo a capo l’Apostolo Pietro, il pescatore di Galilea, conferendo loro anche il potere di rimettere i peccati con tutto ciò che ne consegue per un’anima, cioè la sua eterna salvezza, infatti la missione principale della Chiesa consiste nel salvare le anime dall’inferno, dalla dittatura di satana, dalla schiavitù del peccato, liberandole e conferendo loro la grazia santificante, per consegnarle a Dio e al suo progetto di redenzione, che Gesù nel Vangelo chiama il Regno. Questa missione della Chiesa attraversa i secoli e la storia, e nel tempo questo potere salvifico conferito agli Apostoli è condiviso dai loro successori, loro ne sono gli amministratori e non i depositari che per il proprio ruolo possono permettersi tutto, quindi devono agire con saggezza, senso di responsabilità e soprattutto con profonda carità e compassione per le anime, specialmente dei peccatori, per cercare di avvicinarsi al più santo ideale dell’apostolato, per cercare di somigliare quanto più possibile al Maestro, a tal proposito alcune preci fanno riferimento al sacerdote definendolo come il palpito più tenero, amabile e sentito del  divino Cuore di Gesù, per questo motivo un sacerdote in peccato mortale è una ferita dolorosissima inferta al Cuore di Gesù; occorre ricordare che ogni peccato ferisce l’amore di Dio, ma il peccato di un sacerdote lo ferisce con particolare e acuta sofferenza, è un peccato in cui i dolori della Passione del Signore si rinnovano in modo acerbissimo e richiede una particolare riparazione. Alcune anime di cristiani vanno all’inferno non perché non si sono confessate prima della morte, ma perché si sono confessate nella vita e prima della morte in maniera tale da escludere quelle disposizioni essenziali per fare una buona Confessione, quindi perché si sono confessate male! Per attingere alla Sorgente della divina Misericordia occorre confessarsi bene, poiché sono molte le Confessioni sacrileghe che causano danno alle anime, addirittura ne provocano la perdizione eterna. Ogni volta che andiamo a confessarci rinnoviamo la nostra fede perché stiamo per celebrare un sacramento e sentiamoci come il figlio prodigo della parabola del Vangelo che ritorna alla casa paterna e diciamo con sincera contrizione: “ Padre, perdonami perché ho peccato ”; ricordiamoci anche della domanda di Pietro a Gesù: “ Quante volte dovrò perdonare al mio prossimo se pecca contro di me, fino a sette volte? ”, Gesù risponde: “ Ti dico non fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette ”, il Signore è così, perdona a ciascuno di noi fino a settanta volte sette, cioè sempre, senza computo e ci chiede di fare la stessa cosa con gli altri, anche se sono antipatici e ci hanno fatto dei torti, persino gravi… quindi Gesù ci dice: “ Se vuoi ottenere misericordia da me, sii misericordioso ”. Noi non abbiamo idea di quanti torti facciamo a Dio ogni giorno della nostra vita e Lui non perde mai la pazienza, è sempre calmo e longanime; proviamo a rifletterci seriamente, è un pensiero che può farci del bene.