Sub tuum praesídium confúgimus,
sancta Dei Génetrix;

nostras deprecatiónes ne despícias in necessitátibus;
sed a perículis cunctis líbera nos semper,
Virgo gloriósa et benedícta.

mercoledì 16 ottobre 2013

Il bene che voglio e il male che non voglio

Infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio ”. (Rm 7:19) Questa frase dell’Apostolo san Paolo tratta dalla Lettera ai Romani, pone in evidenza una contraddizione a cui tutti gli esseri umani sono soggetti, esiste una dicotomia nella natura psichica della persona, una sorta di incoerenza tra ciò che accettiamo come bene nella nostra coscienza, magari interiorizzando la Legge di Dio, e quello che compiamo con le nostre azioni, quindi una tendenza naturale al male che i Padri della Chiesa antica hanno definito con il termine concupiscenza; concupire significa sentire in sé il desiderio di compiere il male nonostante i dettami della propria coscienza, significa conoscere il bene e il male, scegliere il bene consapevolmente ma covare nella carne, quindi nella mente e nell’istinto, la frenetica inclinazione di fare il male, il desiderio irrefrenabile di violare la Legge di Dio, di calpestare i Comandamenti ogniqualvolta ci si presenta l’occasione per farlo, questo desiderio di male si manifesta specificamente in quelli che sono definiti dalla teologia come i sette vizi capitali, si può benissimo affermare che l’ego umano ha sette bocche fameliche da soddisfare che sono la superbia (sfoggio della propria superiorità rispetto agli altri), l’accidia (la pigrizia, l’ozio, la poca voglia di fare, l’apatia, il disinteresse verso gli altri, verso sé stessi, e verso la vita), la lussuria (dedizione al piacere e al sesso), l’ira (il lasciarsi facilmente andare alla collera), la gola (abbandono e esagerazione nei piaceri della tavola), l’invidia (desiderio malsano verso chi possiede qualità, beni o situazioni migliori delle proprie), l’avarizia (mancanza di generosità, colui che è taccagno, ma in origine indicava la tendenza all’accumulo eccessivo ed ingiustificato, la tesaurizzazione), questi sette vizi sono dei veri e propri abiti del male, come li definisce il grande filosofo greco Aristotele; al pari delle virtù, i vizi derivano dalla ripetizione di azioni che formano nel soggetto che le compie una sorta di abito che lo inclina in una certa direzione. I vizi diventano la manifestazione della psicopatologia dell’uomo. I vizi diventano quindi malattie dello spirito. La concupiscenza è l’origine di tutti i vizi, ed è scritta a caratteri indelebili nella nostra carne, è parte della nostra natura decaduta: per dire un no sincero ai vizi e far nascere in noi le virtù morali occorre un grande sacrificio, occorre rinunciare a sé stessi, al nostro egoismo esasperato, facendo ricorso alla mortificazione, vocabolo che letteralmente significa dare morte, a che cosa? alle radici del male che sono in noi, estirpandole dal nostro cuore, occorre scegliere e fare il bene tutte le volte che ne abbiamo l’occasione, in caso contrario facendo il male alimentiamo i vizi e ci corrompiamo interiormente, deturpiamo la nostra anima; se un raggio di luce entrasse nella nostra povera anima vedremmo con chiarezza lo stato pietoso di bruttura e sporcizia in cui versa e inorridiremmo, praticare la virtù significa fare pulizia dall’iniquità che abita in noi e preparare una degna dimora a Dio, perché la santità di Dio richiede che lo si ospiti in un cuore puro e terso, alieno dal male. Per comprendere lo stato della propria anima è necessaria una profonda conoscenza di sé e delle questioni spirituali e morali, occorre un esame accurato delle azioni compiute nell’arco di tutta la vita; ricordiamoci che il bene è difficile ed esige impegno mentre il male è facile, scolpire una statua stupenda per un abile e geniale artista richiede impegno e dedizione nel tempo, per distruggerla basta un istante e dopo non si può più riparare il danno, così è per la cura della propria anima: la virtù è difficile ma ci dona la libertà, mentre il vizio schiavizza e ci toglie dignità, è una battaglia che va combattuta con perseveranza, senza mai stancarsi o peggio ancora arrendersi, è una battaglia importante perché in gioco c’è la nostra eterna salute. Tutti noi desideriamo fare il bene e invece molto spesso ci capita di fare il male e la nostra coscienza, vigile e attenta vicaria di Dio, ci rimprovera e ci ammonisce severamente, e perché questo accade? Come ho detto prima la natura umana è corrotta e tutte le creature umane la condividono egualmente, ma la grazia del Signore ci guarisce e ci conferisce la forza di opporci ai vizi capitali e alle tentazioni, ci rende capaci di fare il bene e di acquisire meriti per la vita eterna; la grazia è una forza che guarisce l’anima, che la trasfigura nella carità, che la fa diventare simile alla Sorgente eterna da cui scaturisce, è una forza positiva e trasformante: le persone buone e virtuose le si può distinguere con chiarezza, anche se il cuore lo vede solamente Dio, Lui solo sa che cosa c’è in un’anima, noi semplicemente apprezziamo i frutti di quell’anima. Bisogna volere il bene e sforzarci di farlo, mentre il male va detestato ed evitato anche a costo di grandi sacrifici, la Legge di Dio e i suoi Comandamenti sono la nostra bussola, seguiamo la bussola per non cadere in errore, non possiamo barattare la nostra libertà per la soddisfazione meschina del nostro egoismo, Gesù ha detto: “ La Verità vi farà liberi ”, seguiamo l’insegnamento del Maestro, ascoltiamo la sua Parola che davvero rende liberi di amare  e incominciamo ad amare, non procrastiniamo nell’indolenza.

Nessun commento:

Posta un commento