Quello
che c’è in una persona non lo può vedere nessuno, chi è capace di vedere
chiaramente negli altri è molto spesso qualcuno innamorato della loro umanità,
rispettoso dei loro sentimenti, compassionevole delle loro fragilità. E’ tragica
quella posizione psicologica di chi si rapporta agli altri o a qualcuno dall’alto
in basso, senza considerare chi si ha davanti come un altro proprio simile che
porta in sé la medesima natura e le medesime facoltà costituenti l’essenza di
un individuo umano. Esiste in tutti una matrice che ci rende partecipi gli uni
degli altri e che ci accomuna come complementari e non separati e dissimili. La
capacità di vedere negli altri ci rende davvero umani, è quella capacità che
nel messaggio cristiano concretizza il prossimo, come il samaritano che andando
per una strada sperduta incontra e prova compassione per un bisognoso e lo
soccorre senza nemmeno farsi delle domande, senza nemmeno chiedersi chi sia
quell’uomo o se sia un suo nemico, lo aiuta semplicemente perché si tratta di
un altro uomo, di un’altra creatura vivente. Lo vede soffrire e ne sente
compassione, si sente chiamato a fare tutto il possibile per salvarlo, a fare
anche di più se potesse. Ci sono sempre state delle persone così, talvolta
nascoste e sconosciute. Chi ha la capacità di vedere nell’animo degli altri, di
accorgersi di certe cose è un filantropo, ama le persone e non in apparenza ma
per quello che veramente sono, ha uno sguardo attento che scorge la verità nei
dettagli. Questa penso sia la via giusta per sentirsi veramente felici, cercare
la felicità in altre cose ha davvero poco senso. C’è chi percepisce molto degli
altri e chi niente, c’è chi possiede una maggiore sensibilità e quindi soffre
di più, non in una torre alta e isolata ma accanto a coloro che si incontrano
nell’itinerario dell’esistenza, ogni giorno. Soffrire per gli altri qualcuno
potrebbe intenderla come una maledizione, sono felici gli apatici e i
menefreghisti, quelli che facendo finta di niente si girano dall’altra parte, sono
convinto invece che sia più felice colui che si sente più vicino agli altri, il
senso della prossimità è il primo moto dell’amore. La vita vissuta
egocentricamente con l’andare del tempo porta a sentire un grande vuoto
interiore, a provare frustrazione e tristezza in quanto ci si allontana da
quella sorgente di acqua pura che vivifica l’anima, quella sorgente è l’amore
con tutte le sue variabili. Chi veramente vuol bene al prossimo è felice, chi è
esente dalla cattiveria e dall’egoismo, chi non si lascia inquinare dal male che
qualcun altro ci arreca, chi non si lascia vincere dal male che talvolta
sentiamo emergere da dentro di noi. L’equilibrio lo si trova stando da soli e
avendo imparato a stare bene assieme agli altri, se si ama veramente – in
qualsiasi situazione o nelle prove più difficili – non si sente la vita come una
condanna ma bensì come un’opportunità per dimostrare che si può ricominciare,
che ci sono prospettive nuove e positive. La rinuncia al male è una vittoria, è
una liberazione per la psiche, è un atto taumaturgico che ci guarisce e che
comunica dei grandi benefici al nostro contesto sociale. A fare la differenza è
sempre una nostra scelta consapevole perché nessuno può toglierci la libertà,
anche Dio non può niente di fronte alla nostra libertà. Siamo tutti chiamati e
ognuno di noi risponde in modo diverso, perché sente in modo diverso, ha una visione
diversa. Nessuno ha il diritto di giudicare un altro uomo, si deve sempre guardare
a sé stessi, considerando che non c’è persona a cui è preclusa la facoltà di
discernere il bene dal male e di essere responsabile di ciascuna delle proprie
azioni; è la coscienza morale che ci differenzia dalle bestie, non un’etica fasulla
e in sé dissociata che ci viene presentata come un prodotto di consumo, ciò che
mi piace è bene e ciò che non mi piace è male, non si tratta di convenzioni
approvate dalla massa o di opinioni personali, si tratta di una Legge scritta
nei nostri cuori e che tutti possono riconoscere e amare con dedizione e
perseveranza.