Sub tuum praesídium confúgimus,
sancta Dei Génetrix;

nostras deprecatiónes ne despícias in necessitátibus;
sed a perículis cunctis líbera nos semper,
Virgo gloriósa et benedícta.

sabato 12 maggio 2012

Una persona normale


La condizione della normalità esiste o è una chimera? Coloro che vengono considerati normali rientrano in certi canoni, in certe regole, comunemente condivise dalla collettività, quelli che non rientrano nelle classi precostituite, sono fuori norma, sono gli estranei, i fuori casta; ma chi fa le regole per dichiarare una persona normale? Le regole sono fatte e trasmesse da coloro che influenzano la massa, fissate nella mente in modo tale da esercitare un potere di esclusione, condivise dalla debolezza dei singoli nella massa. Il branco di appartenenza è sicurezza, è forza, è sopravvivenza, mentre gli altri sono quelli estranei, quelli di fuori, gli anormali; la realtà è che la normalità è soltanto un criterio formale di valutazione, mentre le diversità sono l’autentica molteplicità della realtà, vista da una prospettiva consona e propria; l’essere normale è per il singolo un criterio preconcetto di esclusione, per il branco è un criterio di esclusione massificato, quindi escludere ed emarginare sono l’azione vincente per affermare la cosiddetta normalità di condizione. Gli anormali sono i diversi e la forza con cui li si allontana da sé è il pregiudizio, un pregiudizio in cui sono inclusi egoismo e violenza, un pregiudizio fatto di comportamento chiuso ed autarchico, sempre nel contesto dei gruppi e della massa; tutti sono anormali perché ognuno è diverso dagli altri e possiede delle caratteristiche proprie e uniche, in quanto persona, ma chi cerca protezione, rifugio e sicurezza nella massa tende a stare alle norme di quella casta e ad escludere, perché si sente debole ed esposto fuori dal contesto del branco, del gruppo sociale formalizzato e rientrante in determinati schemi. Bisogna avere il coraggio dell’individualità e affermarla con decisione nonostante le risposte negative da parte degli altri, che si sono adeguati a dei paradigmi sociali e vivono nell’illusorietà che l’egoismo focalizzato nell’appartenenza, sia segno di libertà e affermazione: il coraggio di essere individui esprime al meglio la propria personalità e la propone agli altri con buon senso e misura, con rispetto e mitezza; chi accetta la diversità dà una forte dimostrazione di maturità psicologica e si rende autentico amico dell’umanità altrui. Normalità e anormalità sono soltanto formalità preconcette, non esistono né normalità né anormalità, ma esiste la persona umana, con la sua originalità, con i suoi propri attributi e occorrono per costruire la civiltà, rispetto e accettazione, quello che comunemente in una parola antipatica, viene definita tolleranza: non si tollera, ma si propone la propria solidarietà, un segno grande di maturità e di civiltà, in un ambito massificato di adeguamento sociale. Le norme della normalità, devono diventare le norme a favore della diversità estranea al pregiudizio, le regole del vivere civile, una nuova coscienza civile, se così possiamo intendere.

sabato 5 maggio 2012

Mistero ecclesiale


“ Dove sono due e tre riuniti nel mio Nome, io sono in mezzo a loro ”, dice il Signore nel Vangelo: questa Parola di Dio rivela e sottolinea la presenza di Gesù, tra quelli che credono in Lui, cioè in mezzo a loro, quando ci si raccoglie in assemblea per pregare; la Fede nel Signore quando si è insieme, richiama la sua presenza e il suo intervento, quindi nel gruppo ecclesiale è sempre presente Dio, quando si prega insieme, lo Spirito Santo si effonde sui presenti, a condizione che vi sia purezza di cuore, rettitudine di intenzioni, vera Fede e sincera Carità. Nel Vangelo di Giovanni non è presente il racconto dell’istituzione dell’Eucaristia, così come è presente nei tre Vangeli detti sinottici, simultaneamente visibili, ma è presente un discorso del Signore alla sinagoga di Cafarnao, il cosiddetto discorso di Gesù pane di Vita, discorso che prepara e preannuncia l’Eucaristia, istituita prima della sua cruenta Passione e Crocifissione, prima della sua morte e della sua gloriosa Risurrezione la domenica di Pasqua. Gesù afferma che ci si deve nutrire del suo Corpo e del suo Sangue per avere la vita eterna, per essere risuscitati nell’ultimo giorno proprio da Lui, poiché il suo Corpo è vero cibo e il suo Sangue vera bevanda; afferma nel discorso la sua superiorità rispetto a Mosè, che diede ai padri la manna ma essi morirono, mentre il Signore dà ai suoi fedeli il pane che viene dal Cielo, perché essi non muoiano ma vivano per sempre: questa affermazione sancisce la Nuova Alleanza che non annulla quella Antica, ma la completa, la porta al suo pieno compimento. Gesù dice di sé stesso di essere il Pane che viene dal Cielo e se qualcuno mangia di quel Pane non morirà mai, ma vivrà per Gesù, in Gesù e con Gesù, unito a Lui nel vincolo indissolubile dell’Amore di Dio, questa è la volontà del Padre che dà all’umanità il Pane che viene dal Cielo, Pane che comunica la Vita, la grazia santificante, l’eterna salvezza. La Nuova Alleanza è stabilita attraverso il sacrificio di Gesù sulla Croce, è un’Alleanza fatta nel suo sangue, Gesù riconcilia l’umanità con il Padre, attraverso il sacrificio espiativo dei peccati di ogni creatura umana sulla Croce, il peccato è offesa infinita all’Amore di Dio, è separazione da Lui, il sacrificio sulla Croce del Figlio di Dio guarisce la ferita mortale nelle anime in relazione al proprio peccato, è un rimedio che guarisce dal male, esso colma la misura infinita della colpa con l’Amore infinito di Dio, il sacrificio oblativo sulla Croce: su quella Croce dovrebbe esserci ognuno di noi, per pagare le nostre colpe, invece c’è Gesù con il suo Amore infinito al Padre e ad ognuno di noi, Egli ci ha redenti, ci ha riscattati dalla perdizione eterna, mettendosi al nostro posto, condividendo con noi la nostra condizione e morendo sulla Croce distrusse il peccato e la morte, riconciliandoci con Dio, come nell’amicizia primordiale che avevamo con Lui prima del peccato originale di Adamo e di Eva, prima della caduta della nostra stirpe per opera del demonio. La comunione con Dio è opera del sacrificio del Figlio di Dio sulla Croce, è una comunione di Amore, quindi la Croce è la sorgente della remissione dei peccati, della misericordia e del perdono di Dio, è la sorgente dell’Eucaristia, di Gesù nutrimento per le anime, cibo di Vita eterna. La Risurrezione del Signore è la chiave per comprendere la Verità della Fede, credere in Gesù risorto, significa confermare nella Verità tutto quello che il Signore ha compiuto stando in mezzo a noi, entrando nella storia umana duemila anni fa, entrando oggi nella nostra storia personale: è la prova che la Fede cristiana è l’unica vera Fede che conduce alla salvezza, alla Vita e che estraniati dall’economia del Vangelo non c’è autentica salvezza, non c’è altro Nome fuori dal quale ci si possa salvare, se non il Nome di Gesù, Figlio di Dio.

giovedì 3 maggio 2012

L'anima creata


Nel canone dell’Antico Testamento l’anima era tutta la persona, cioè la sua vita corporale in questo mondo, il bene più importante da conservare, la vita nella sua prosecuzione e incolumità fisica; nel Nuovo Testamento, con l’avvento della Rivelazione di Cristo, l’anima è la parte della persona più sacra e importante, la sua dimensione spirituale in relazione al suo Creatore, la persona da redimere in vista della vita eterna in comunione con Dio nell’al di là. Le anime sono più preziose di tutto l’universo creato, sono il bene più amato dall’Autore della vita, per la salvezza di una sola anima Dio si è fatto uomo ed è morto su una Croce, anche se il suo sacrificio fosse stato compiuto per la redenzione di un’anima solamente e non per innumerevoli; il concetto di anima collima con il concetto di persona, quindi anima e persona sono elementi vitali e ontologici equivalenti, l’anima non è altro che la persona con la sua unicità, distinta da tutti e da tutto: nel Nuovo Testamento si specifica che le anime sono esenti dalla possibilità di morire e sono distinte dal corpo, anche se a ciascun anima appartiene un determinato corpo e soltanto quello; la vera vocazione di un’anima umana è la comunione con Dio Carità, fuori da questa predestinazione c’è la morte autentica, la caduta nelle tenebre e nel vuoto. Le anime sono state create da Dio per Dio, da Lui provengono e a Lui ritornano, questo quando parliamo della Casa del Padre in relazione al destino dei defunti, cioè di coloro che nella vita transitoria hanno esercitato la propria funzione e l’hanno esaurita, in relazione al Signore e al proprio prossimo, ogni persona infatti non appartiene al caso, ma è innestata in un progetto che il Creatore ha pensato e prefigurato dall’eternità, un progetto che deve realizzarsi nella piena adesione alla volontà di Colui che ci ha creati, per il nostro vero bene ed il bene dei nostri simili: ognuno è libero di non corrispondere al progetto di Dio sulla sua vita e di scegliere un’altra strada, quindi di opporsi di sua iniziativa all’amore di Dio per lui o per lei, questo porta il nome tanto denigrato nei tempi moderni, di peccato. Le anime tendono naturalmente a ciò che considerano il bene, la loro autentica felicità; quando il cuore è distorto e la prassi del bene è tradita, un’anima si condanna all’autoesclusione dalla sua autentica realizzazione, alla sua morte spirituale fuori dal disegno della prescienza di Dio: l’inferno è l’unico plausibile fallimento per la creatura umana, quello che il maligno desidera ardentemente nei confronti delle anime. Molti non credono nell’esistenza dell’anima e dell’al di là, infatti sono delle verità di Fede indimostrabili sul piano scientifico, ma non su quello della razionalità: molti pensano che l’anima, comprese le sue facoltà, decada con il disfacimento del sistema nervoso centrale e con il sopraggiungimento della morte corporale, ma sono realtà queste da confutare, non soltanto da parte dell’osservatore esterno, ma da parte soprattutto del partecipatore, cioè del soggetto in questione, infatti certe esperienze non si possono partecipare agli altri, ma vanno individualmente vissute per essere pienamente afferrate e comprese, quindi la loro confutazione rimane alquanto dubbia, forse addirittura insostenibile. L’anima sono io che afferro me stesso, nella piena consapevolezza di esistere individualmente, separato dagli altri, cosciente di essere persona vivente: chi può stabilire quando questo verrà meno? In verità, nessuno.

martedì 1 maggio 2012

Virtù della Giustizia


Gesù nelle beatitudini evangeliche, dichiara beati coloro che vengono perseguitati a causa della giustizia: la giustizia in questa frase del Signore la si può intendere in duplice modo, cioè la giustizia del mondo, quella degli uomini che sono nemici di Dio, che accusano quindi i figli di Dio falsamente, con ipotesi pretestuose e con testimonianze false, come è avvenuto durante la vita dello stesso Gesù, come è avvenuto durante le fasi del suo processo e della sua condanna; il termine giustizia lo si può intendere anche in un altro modo, cioè la giustizia del Vangelo, la giustificazione mediante la Fede in Cristo, il Vangelo stesso che il mondo rifiuta e combatte con asprezza e accanimento perché, come dice la Parola di Dio, tutto il mondo giace sotto il potere del maligno. Esiste una virtù che si chiama giustizia e consiste nel dare al Signore quello che gli è proprio, e al prossimo altrettanto, intendere la virtù della giustizia come la virtù della retribuzione per le proprie colpe, alla maniera dei tribunali e dei giudici umani, è un malinteso; la giustizia esige che ci si rapporti a Dio con la giusta misura del proprio cuore, e al prossimo facendo altrettanto, quindi dare il giusto nella giusta misura, nei riguardi di Dio e del prossimo. La giustizia esige l’esercizio della virtù regina di carità, amare è la misura per esercitare la giustizia, non c’è il giusto realizzato nella propria vita e nella vita degli altri senza amore; essere giusti significa essere persone che amano, che danno a Dio il proprio pentimento e la propria gratitudine e al prossimo il proprio perdono, la propria misericordia; giustizia significa anche pregare Dio con carità per il prossimo, poiché la preghiera fatta per gli altri, è un atto di giustizia davanti al cuore di Dio, come lo è il perdono sincero del cuore, misura questa per ottenere dal Signore la piena remissione dei nostri peccati: non si può piacere a Dio, se non si perdonano coloro che ci hanno fatto del male, con sincerità di sentimento e di volontà. La giustizia verso gli altri esige la misericordia, l’essere quindi conformi al comandamento di Dio, in quanto l’osservanza di tutti i comandamenti è giustizia davanti a Dio: i comandamenti sono l’espressione più alta della giustizia, conforme alla volontà di Dio per il nostro bene, i comandamenti portano in sé tutti i valori del Vangelo, cioè ama Dio con tutto te stesso, sopra ogni cosa e ama il prossimo tuo come te stesso; adempiere alla giustizia significa osservare tutti i comandamenti, nessuno escluso, poiché se si fa anche una sola eccezione si cade inevitabilmente nella colpa, si compie un atto di ingiustizia nei confronti di Dio o del prossimo e ci si estrania dalla Legge evangelica. Come detto prima la giustizia esige la carità, ma anche l’equità del giudizio in tutte le circostanze della vita, giudicare con equità ha il significato di dare a ciascuno il suo, di dare secondo la misura della propria coscienza, secondo autentica moralità, quindi discernendo il bene dal male, attraverso il consiglio dato da una retta coscienza, dalla consapevolezza che il giudizio retto passa dalla ricerca del bene comune, mettendo sé stessi e gli altri sul medesimo piano valoriale. La giustizia di Dio mette l’anima in relazione al suo creatore, la pesa secondo il criterio dell’amore dato a Lui durante il tempo della vita, il passaggio attraverso questa valle di lacrime, e la retribuisce in conformità alle scelte fatte dal suo libero arbitrio, nel bene o nel male, nell’osservanza o nella trasgressione dei comandamenti dell’Eterno.