Propongo ai lettori una breve
storia del Crocifisso, il simbolo autentico della fede cristiana che ciascun
battezzato dovrebbe portare sul petto con coraggio.
La
Croce paleocristiana
Il segreto della Croce nel
simbolo del pesce.
Percorso in nove punti.
1° Nei primi secoli del
Cristianesimo non si "scorge" il segno della croce. La ragione
del mistero è legata alla persecuzione dei primi Cristiani: occorreva camuffare
con simboli misteriosi e incomprensibili l'appartenenza a quella religione.
2° Il simbolo maggiormente
utilizzato fu il pesce-delfino: segno di riconoscimento di Cristo ed emblema
cristologico per eccellenza. Pertanto, nel simbolo del pesce doveva celarsi il
segreto della croce. Tuttavia, i teologi non sono riusciti a cavare un ragno dal
buco: non è stato individuato l'emblema della croce nella figura del pesce.
3° Se per un attimo pensassimo
che nel pesce non c'era alcuna attinenza con la crocifissione, ciò
significherebbe che i primi cristiani giudicavano irrilevante l'atto più
rilevante del Cristianesimo. Francamente, ci sembra un'ipotesi infondata. Dunque, proviamo
a ricercare quel nesso occulto tra la figura del pesce-delfino e il simbolo
della crocifissione.
4° Scartiamo innanzitutto il
parallelismo tra parole e figure: l'acronimo greco ICQUC "Gesù Cristo di
Dio Figlio Salvatore" è solo una forzatura che trasmigra dal disegno
romano alle parole greche. Per di più, quelle parole non indicano la croce né l'episodio
della crocifissione. Per gli stessi motivi vanno scartate quelle acrobazie
esegetiche che si arrampicano sugli specchi per i significati eucaristici del
pesce.
5° Seguiamo invece la
strada più semplice per giungere al verosimile. L'elemento essenziale del
simbolo-pesce è nel perimetro che costituisce l'essenza del segno catacombale.
E nella sagoma della linea esterna è nascosta probabilmente la chiave del
mistero.
6° Prima, però, occorre
compiere un piccolo passo indietro sul tema della croce. Al tempo dei Romani
erano in uso diverse forme di croci: 1) Il patibolo (crux simplex) 2) La
croce a X (del martirio di sant'Andrea) 3) La croce a T (crux
commissa) 4) La croce detta greca (con 4 bracci uguali). Non esisteva
ancora la croce divenuta poi simbolo del Cristianesimo.
7° Esaminiamo brevemente la
crux simplex: la più antica. Presso gli Assiri la crux simplex era adoperata
come forca. Presso i Romani il palo era utilizzato come patibolo per
legare il condannato. La crux simplex aveva una forma semplice, un
tronco acuminato piantato sul terreno e sul quale venivano legate le mani e i
piedi del condannato. Nella Legge di Dio c'era la lapidazione, mentre nella
legge dei Romani la crocifissione. Cristo fu assassinato dai romani e non dagli
ebrei, motivo per cui occorre risalire alla prassi dell'impero romano
raffigurata nei dipinti dell'epoca per identificare il vero "palo"
della crocifissione. Quando nell'Antico Testamento si parla di croce - dice
Marucchi - si tratta di questa semplice croce "crux simplex" [Dictionn.
de la Bibl.]. Il patibolo, strumento di supplizio, era chiamato in latino stipes, lignum o anche arbor – che invece San
Girolamo (Bibbia del 405) tradurrà più volte per "cruce" =
"croce". E da allora così è rimasto. Nella pagina dal palo
alla croce si può notare una correzione della CEI sulla parola
"cruce" nella Bibbia di San Girolamo. In ogni caso, ci sono anche
altri riscontri testuali. Ad esempio, il Breviario Romano - nel riportare il
martirio di san Marco e san Marcelliano (286 d.C.) - recita: "Ad stipitem
alligati sunt, pedibus clavis confixis". Significa che i fratelli
Marco e Marcelliano furono legati ad un tronco e trafitti nei piedi con acuti
chiodi. Infatti Seneca chiama il tronco "acuta crux". Quindi, in
un'epoca successiva alla crocifissione di Cristo (Diocleziano), era
normalmente in uso il palo presso i Romani. Lo stesso discorso vale per San
Sebastiano, anch'egli martire sulla crux simplex. Inoltre, nel testo biblico
c'è una particolarità descrittiva che converge con la tesi del palo, risalente
a prima di Cristo.
8° Proviamo adesso a
rappresentare l'immagine della crocifissione sulla crux simplex confrontandola
con i lineamenti del pesce-delfino delle catacombe. Il pesce ha mimetizzato il
patibulum con una decodificazione simbolica. Il delfino era raffigurato in
posizione orizzontale (tranne qualche sparuto caso), cosicché «l'eloquente»
pesce era incomprensibile e silente, tanto necessario nelle persecuzioni. Per
di più, in greco, il vocabolo pesce (Icthûs)
permette di comporre un singolare acrostico, ossia: "Gesù Cristo figlio di Dio, Salvatore". La scelta del delfino,
tra l'altro, ben si concilia con la pinna caudale spalancata sui due lobi che
allude ai piedi divaricati dell'impalato. E per comprendere che nelle esecuzioni
i piedi erano disposti ad angolo e non accavallati è sufficiente osservare la
surrettizia evoluzione dei chiodi nel crocifisso cristiano.
9° Il segreto della
metafora del pesce, in quanto trasmesso oralmente, si è poi dissipato nel
passaggio generazionale allorquando si è chiusa la fase della clandestinità. E
nessuno ha più avuto bisogno di quel simbolo catacombale ormai trapassato e
seppellito. Successivamente, i testi biblici hanno fatto da battistrada alle
nuove icone plasmate sulla parola "croce" [con la Bibbia di San
Girolamo], che hanno dato vita a molteplici anagrammi e acrostici eterogenei e
discordanti tra loro, sia pur con la prevalenza della croce a X. Qualche
secolo dopo [inizio IV d.C.], dopo l'editto di Costantino, si passò
dalle catacombe alle chiese. In questo trapasso è stata concepita un'immagine
più artistica per esaltare la "gloriosa croce": il simbolo a T per
poi giungere alla croce latina. Nell'arco di questa transizione c'è
stato il passaggio dal pesce catacombale alla fiction della croce attuale.
L’evoluzione
della Croce a T
Nell'estetica e nel contenuto
dal IV secolo al 1420 (Brunelleschi).
LA SAGOMA DELLA CROCE Dopo
l'editto di Costantino (313 d.C.) si passò dalle catacombe alle chiese, una
transizione che ha cambiato radicalmente il simbolo della croce. L'immagine
della crux simplex - essendo rozza - non si accordava con un discorso
artistico. Il pesce, con l'essenza figurata della croce, apparteneva a un
simbolismo semplice della clandestinità. Ragion per cui, superata la fase della
persecuzione, si è aperta la fase della raffigurazione artistica per la
"glorificazione della forca". L'arte cristiana si è impossessata
della croce a T con i primi dipinti del IV secolo. Tuttavia,
successivamente l'ha arricchita sino a giungere all'attuale simbolo con il
vettore verticale che si allunga sopra la trave orizzontale.
I CHIODI Premessa essenziale. Secondo
i quattro Vangeli non c'è stata una crocifissione
"privilegiata" per Cristo e una crocifissione "comune" per
i ladroni. Cioè, Cristo è stato crocifisso come gli altri condannati: sullo
stesso tipo di croce e nell'identico modo. Vero è che in qualche dipinto
medievale Cristo appare legato con le corde. Ma già prima i chiodi avevano
preso il sopravvento. Nelle prime due figure Gesù appare crocifisso mediante
chiodi; i due ladroni invece sono legati con corde. I ladroni evidenziano il
gradino iconografico precedente, le tracce della metamorfosi del Crocifisso. In
un caso o nell'altro, i venerandi artisti hanno mentito. I chiodi comparvero
per la prima volta sulle mani, mentre i piedi restarono liberi o annodati con
una corda. In seguito, ciascun piede fu trapassato da un chiodo. In totale quattro
chiodi (come nella croce della Chiesa Ortodossa). Infine, con la scuola
di Margaritone e Cimabue, si passò a un solo chiodo sui due piedi accavallati.
Così da giungere a tre chiodi complessivi, in ossequio al significato
allegorico e esoterico del numero 3.
IL POGGIAPIEDI [suppedaneo]
La croce, oltre ad essere uno strumento di tortura, aveva funzione
"deterrente" per scoraggiare le rivolte (Spartacus 71 a.C.) e
l'inosservanza delle leggi. In quell'ottica era del tutto illogico far riposare
"comodamente" i piedi del condannato-torturato. Anche qui è utile
comunque osservare la differenza tra Cristo e i due ladroni. Si riscontri la
differenza tra i chiodi e le corde sui piedi dei tre condannati.
VOLTO ADDOLORATO E TESTA
RECLINATA Nei primi dipinti troviamo un Cristo dal volto gioioso, occhi aperti
e con il capo ritto. Quel volto esprimeva il concetto di redenzione nella beata
sofferenza: il sublime appagamento per un'uccisione attesa che doveva
compiersi. In verità il presagio beatificante è un falso, tant'è vero che
Cristo prima di morire gridò al Padre "perché mi hai abbandonato?".
LA CORONA DI SPINE In nessun
condannato è presente un anello spinato. Anzi, per lungo tempo sul capo di
Cristo troviamo un'aureola, mentre solo più tardi comparirà la corona di
dolenze. Il tutto per aggiungere maggior "dolore teologico". D'altro
canto, i due temi (volto-gioioso/aureola e volto-addolorato/spine) sono
intrecciati in una concezione diametralmente opposta. Entrambi, comunque, hanno
una stessa finalità di fiction. Dal Messia sereno si è passato al Messia
delle sofferenze mediante il trapianto di una corona di spine che ha aggiunto
maggior evidenza ai triboli dell'espiazione, così da accrescerne la carica
emotiva.
LA SIGLA JNRI Oltre ai dipinti
possiamo avvalerci dei testi evangelici: Matteo 27,37 «Questi è il re dei
Giudei»; Marco 15,26 «Il re dei Giudei»; Giovanni 19,19 «Gesù il Nazareno, il
re dei Giudei»; Giovanni 19,21 «Non scrivere: il re dei Giudei, ma che egli ha
detto: Io sono il re dei Giudei».
IL TITULUS CRUCIS: PERCHÉ LE
PAROLE SONO STATE PUNTEGGIATE? A) Il testo biblico depennato. Nel testo
c'era la motivazione della condanna, così come prescritta dal diritto romano. L'iscrizione
era in tre lingue: Greco, Latino ed Ebraico. (Luca 23,38) Così è scritto nella
Vulgata, ma la Bibbia CEI ha cancellato queste parole. Perché? B) Ragioni
di contenuto. Il "Re di un popolo o di una nazione" è infinitamente
lontano e immensamente discordante dal concetto di un Dio universale. Quel
riferimento patriottico sconfessa il ruolo e l'essenza "dell'entità
Assoluta" sovranazionale e soprannaturale. Qualcuno ha osservato che
punteggiando la frase (JNRI) non viene richiamata alla memoria l'enunciazione,
così che evitando di pronunciarla si evita di riflettere sull'incongruenza
evocativa. Chiaramente, alla bisogna, sono state scelte le parole di Giovanni,
giacché quelle di Matteo e di Marco sono ancor meno pregevoli.
L'ALTEZZA DELLA CROCE Le croci,
secondo l'uso romano del tempo, non erano alte. Il condannato, tutt'al
più, rimaneva coi piedi un palmo al di sopra del terreno. L'altezza della
testa di Cristo si può desumere anche dalla canna di issopo sulla quale era
stata infissa una spugna per inumidire le labbra di Gesù. L'issopo è infatti
una pianta piuttosto bassa e la canna può misurare appena un piede [30
centimetri]. Cosicché la testa di Gesù era all'altezza di un uomo con un
braccio elevato più una parte della lunghezza della canna: in tutto 220 - 230
cm circa: bassissima.
RICOPERTO I condannati, tra le
varie crudeltà, subivano anche lo svestimento. Ma del Cristo ignudo non
desideriamo parlare. Anzi, per deontologia, ci piace considerare
"artisticamente corretta" l'alterazione dell'immagine. Da un discorso
di un teologo agli artisti sull'idealismo della Croce: il problema plastico del
Crocifisso. «Il primo fine dell'arte sacra deve essere l'espressione della
nostra adorazione a Dio (…) sorpassando e trasfigurando la materia, anche oltre
le sue leggi. L'arte sacra ha un secondo fine "ermeneutico", cioè
deve essere la forma ausiliaria dell'eloquenza sacra: i pittori fanno per la
religione coi loro quadri quanto gli oratori con i loro discorsi....» Op.
sopra cit. pagg. 50 e 51.
Nota
La
trasfigurazione della Croce, pur falsificando il simbolo della venerazione, ha
un valore del tutto marginale nell'ambito della dottrina divina. È una
questione puramente profana; alla stregua della polemica sui preti-atei. Pur tuttavia, è la riprova che il vizio o
la necessità della manipolazione sono presenti in molti passaggi della teologia
biblica; finanche per quanto attiene al segno della Croce. Comunque per il
credente è necessario sapere che Gesù si è sacrificato veramente su una Croce
di legno costituita da un palo verticale e un patibolo orizzontale, come è scritto nei Vangeli storici e ha sofferto la sua Passione per
amore di ciascuno di noi, per redimerci dal peccato e dalla morte.
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