San Giuseppe Moscati, medico e
laico; nato a Benevento il 25 luglio 1880, morto il Martedì santo del 12 aprile
1927 a Napoli.
Queste che seguono sono parole colme di significato, tratte da alcuni suoi scritti risalenti a diversi
frangenti della sua vita, che manifestano il suo cuore e la sua personalità.
Il suo più alto insegnamento: “Ama
la verità; mostrati qual sei, e senza infingimenti e senza paure e senza
riguardi. E se la verità ti costa la persecuzione, e tu accettala; e se il
tormento, e tu sopportalo. E se per la verità dovessi sacrificare te stesso e
la tua vita, e tu sii forte nel sacrificio”.
Il 17 gennaio 1922 scrive: “Gli
ammalati sono le figure di Gesù Cristo. Beati noi medici, tanto spesso incapaci
di allontanare una malattia, beati noi se ci ricordiamo che oltre ai corpi
abbiamo di fronte delle anime immortali, divine, per le quali urge il precetto
evangelico di amarle come noi stessi”.
A Lourdes il 6 agosto 1923: “Attorno
alla grotta non manca mai gente. Durante queste funzioni l’immagine della
Vergine, al punto stesso ove appare, diviene supremamente bella”.
A Torino, davanti alla statua
dell’Addolorata: “La vita è per me un dovere; voi radunate le mie scarse forze
per convertirle in apostolato. Troppo la vanità delle cose, l’ambizione forse,
mi hanno deviato, mi hanno fatto apparire più forte d’intelletto e di scienza
di quello che sono!”.
Quando durante i suoi viaggi
all’estero non può fare la comunione eucaristica, annota nel suo diario: “Oggi, mio Dio,
sono stato senza di te”.
Nel giorno di Pentecoste del
1919: “Il vostro amore, o Gesù, mi volge non verso una creatura, ma verso tutte
le creature, all’infinita bellezza di tutti gli esseri creati a vostra immagine
e somiglianza”.
Lettera del 6 ottobre 1921: “Quali
che siano gli eventi, ricordatevi di due cose: Dio non abbandona nessuno.
Quanto più vi sentite solo, trascurato, vilipeso, incompreso, e quanto più vi
sentirete presso a soccombere sotto il peso di una grave ingiustizia, avrete la
sensazione di un’infinita forza arcana, che vi sorregge, che vi rende capace di
propositi buoni e virili, della cui possanza vi meraviglierete, quando
tornerete sereno. E questa forza è Dio! Di un’altra cosa dovrete ricordarvi, ed
è che non bisogna accasciarsi, ma mettere in pratica una delle quattro virtù
cardinali, la fortezza. Accasciarsi significa giustificare le ragioni, che gli
altri accampano per imporci un orientamento piuttosto che un altro”.
Dal diario, un momento di
grande difficoltà: “Io sono in preda ad un estremo esaurimento e una stanchezza
mortale, perché dagli anni della guerra ad oggi è un continuo lavoro e una
serie di emozioni per me! […] Passo le notti insonni; ho lasciato trascorrere l’opportunità
della ratifica della docenza. Forse la conseguirò nella prossima tornata del
corso superiore”.
Da una lettera datata 22 luglio
1922: “Non la scienza ma la carità ha trasformato il mondo… Solo pochissimi
uomini sono passati alla storia per la scienza, mentre tutti potranno rimanere
imperituri se si dedicheranno al bene”.
Da un frammento trovato da un
biografo: “Il dolore va trattato non come un guizzo o una contrazione
muscolare, ma come il grido di un’anima, a cui un altro fratello, il medico,
accorre con l’ardenza dell’amore, la carità”.
Da una lettera del 1921 ad un suo
allievo: “Ricordatevi che, seguendo la medicina, vi siete assunto la
responsabilità di una sublime missione. Perseverate, con Dio nel cuore. […] con
amore e pietà pei derelitti, con fede e con entusiasmo, sordo alle lodi e alle
critiche, tetragono alla invidia, disposto solo al bene”.
Da una lettera scritta pochi
giorni prima di morire: “Come mi commuove, maestro, la vostra fede nella nobile
missione della nostra scienza! E come la parola vostra si riscalda e si avviva
di luce quando la invocate non solo nei pensieri di sollievo fisico, ma di
bontà, ed educatrice di morale. Leggendovi, io penso ai sublimi detti di S.
Paolo: ‘Potete muovere le montagne, ma se non avete la fiamma della carità, voi
non valete niente!’. Tanti maestri frigidi, impregnati di scienza alemanna,
taciturni, che non stimolano all’entusiasmo, che non trascinano nei momenti
opportuni gli allievi all’amore per lo studio e la ricerca, che non sanno
educare… svaniranno dalla memoria!”.
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