Sub tuum praesídium confúgimus,
sancta Dei Génetrix;

nostras deprecatiónes ne despícias in necessitátibus;
sed a perículis cunctis líbera nos semper,
Virgo gloriósa et benedícta.

sabato 13 ottobre 2012

Contro lo stigma, per una cultura di pace

Definire lo stigma è un’impresa difficile, perché occorre cercare nel cuore delle persone quello che più disattende i loro canoni della normalità, o meglio della banalità; ogni persona è contraddistinta da delle particolarità che gli sono proprie e a maggior ragione bisognerebbe decifrare lo stigma come differenziazione tra gli individui, piuttosto che tra le categorie di individui, ma tutti noi sappiamo che la natura umana porta gli individui ad appartenere a specifici gruppi sociali, distinti da altri gruppi e dagli altri soggetti: la socialità umana restringe le persone ad omologarsi entro determinati gruppi esclusivi, in cui rientrano comportamenti e particolarità che distinguono l’ente sociale da altri enti e da altre persone, che non condividono le medesime caratteristiche. Lo stigma è costituito e realizzato nel contesto della socialità, cioè del gruppo sociale omologato, è in quell’ambito che si definiscono le diversità, quindi il pregiudizio: il diverso non appartiene alla società, perché non rientra nei canoni comunemente condivisi e accettati, è una sociologia simile alla distinzione tra le caste in certe culture orientali, dove il paria è semplicemente l’anomalo, il diverso. La diversità può essere costituita dal colore della pelle, dalla religione, dalla salute personale, fisica o mentale, dalla corporazione professionale di appartenenza, dalla classe sociale, etc.; insomma tutto quello che fa diversità potenzialmente è sul versante di diventare stigma, potenzialmente… è già stigma! Ciò dipende dalle convinzioni etiche dei singoli e dalla personale intolleranza alla diversità, intesa come pregiudizievole inferiorità sociopatica. Nello stigma il gruppo emargina e il singolo è emarginato, si tratta di una ignobile forma di violenza dei forti sul debole, quanto di più vigliacco e meschino in ambito sociale; è la cultura sociale che deve cambiare, attraverso l’educazione dei singoli, una cultura sociale in cui le diversità sono considerate, e diventano sul piano effettivo dei valori, una ricchezza collettiva, un bene da condividere con la solidarietà e la reciproca accettazione: una cultura simile è contro ogni forma di violenza e la si può propriamente definire cultura della pace. Lo stigma è la considerazione del prossimo come di un nemico dalle fattezze anormali, è davvero l’anticamera del conflitto sociale e dell’ingiustizia, per combatterlo efficacemente occorre molta intelligenza e preparazione morale; lo stigma può essere sconfitto se i giovani vengono educati ai valori autentici della vita, soprattutto attraverso una onesta educazione religiosa, che lasci da parte ogni fondamentalismo e ogni implicazione di violenza e di dominio sugli altri, una educazione religiosa in cui essere liberi di credere e di amare, forze che devono diventare le prerogative per la costruzione di un mondo nuovo. Le religioni hanno un grande potenziale di pace, ma questo è veramente possibile se i fedeli sono educati allamore, se i fedeli accettano l’amore come l’espressione più alta della propria fede e rinnegano lo stigma: la Carità non ammette diversità che non siano altro che una ricchezza e il dono delle persone alle persone, un dono reciproco di sé stesse agli altri e viceversa, ma la guerra e l’odio nel corso della storia hanno portato alla deriva questo grande ideale di pace, è necessario riconquistarlo con la formazione delle nuove generazioni, costruendo in questo modo una civiltà umana migliore, aperta al futuro e a favore della vita… stigmatizziamo l’intolleranza nelle sue forme più bieche, tra queste c’è il razzismo: apparteniamo tutti alla grande famiglia umana e dobbiamo agire tra di noi in spirito di fratellanza, lo stigma è l’esatto opposto, è ignoranza e paura delle diversità, la paura è il presupposto alla violenza: ognuno con saggezza dica il proprio no!

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