Sub tuum praesídium confúgimus,
sancta Dei Génetrix;

nostras deprecatiónes ne despícias in necessitátibus;
sed a perículis cunctis líbera nos semper,
Virgo gloriósa et benedícta.

domenica 31 agosto 2014

Citazioni su memoria e reminiscenza

Anamnesi, ovvero memoria e reminiscenza... il passato che si rende presente alla coscienza vigile e ci realizza dal sottosuolo in cui riposano silenziose ma vigili le idee.

Aristotele, Della memoria e della reminiscenza: “La passione prodotta dalla sensazione nell’anima e nella parte del corpo che possiede la sensazione è qualcosa come un disegno... Infatti il movimento che si produce imprime come un’impronta della cosa percepita, come fanno coloro che segnano un sigillo con l’anello”.

Platone, Teeteto: “Supponi che vi sia nella nostra anima una cera impressionabile, in alcuni più abbondante, in altri meno, più pura negli uni, più impura negli altri... È un dono, diciamo, della madre delle Muse, Mnemosine: tutto ciò che desideriamo conservare nella memoria di ciò che abbiamo udito, visto o concepito si imprime su questa cera che noi presentiamo alle sensazioni o alle concezioni. E di ciò che si imprime noi ne conserviamo memoria e scienza finché ne dura l’immagine”.

Platone, Fedro: “Questo ha di terribile la scrittura, simile, per la verità, alla pittura: infatti le creature della pittura ti stanno di fronte come se fossero vive, ma se domandi loro qualcosa, se ne stanno zitte, chiuse in un solenne silenzio; e così fanno anche i discorsi”.

S. Agostino, Confessioni, X, 8: “Giungo allora ai campi e ai vasti quartieri della memoria, dove riposano i tesori delle innumerevoli immagini di ogni sorta di cose introdotte dalle percezioni; dove pure sono depositati tutti i prodotti del nostro pensiero, e tutto ciò che vi fu messo al riparo e in disparte e che l’oblio non ha ancora inghiottito o sepolto. Quando sono là dentro, evoco tutte le immagini che voglio. Alcune si presentano all’istante, altre si fanno desiderare più a lungo, quasi vengano estratte da ripostigli più segreti. Alcune si precipitano a ondate, e mentre ne cerco e ne desidero altre, ballano in mezzo, con l’aria di dire: “non siamo noi per caso?”. E io le scaccio con la mano dello spirito dal volto del ricordo, finché quella che cerco si snebbia e avanza dalle segrete al mio sguardo”.

Locke, Saggio sull’Intelletto Umano, (II, 10, 5), 1690: “Il nostro spirito assomiglia a quelle tombe dove le iscrizioni sono cancellate dal tempo e le immagini cadono in polvere, anche se rimangono il bronzo e il marmo”. (2, 10, 7): “La mente si mette spesso al lavoro in cerca di qualche Idea nascosta, e rivolge ad essa l’Occhio dell’Anima: perché a volte queste idee sorgono all’improvviso nella nostra mente di loro spontanea volontà... o spesso sono risvegliate e fatte uscire dalle loro celle oscure verso la luce da una passione turbolenta e tempestosa”.

Thomas De Quincey, Confessioni di un Mangiatore d’oppio (1822): “Molti anni fa, mentre guardavo le “Antichità di Roma” di Piranesi, Coleridge, che mi era accanto, mi descrisse una serie di tavole di quell’artista, chiamate Sogni, che rappresentano le visioni da lui avute nel delirio della febbre. Alcune di esse mostrano delle vaste sale gotiche: sul pavimento si vede ogni sorta di congegni e macchinari, ruote, cavi pulegge, leve, catapulte, etc, che danno l’idea di un’enorme forza impiegata per vincere una resistenza. Si vede una scala che corre lungo i muri, e su di essa sale faticosamente, a tentoni, lo stesso Piranesi: seguite la scala un po’ più in su e vedrete che termina improvvisamente, senza un parapetto, in modo che chi ne abbia raggiunto l’estremità, con un altro passo non può che precipitare giù nel vuoto. Qualunque sia la fine del povero Piranesi, voi pensate che almeno le sue fatiche debbano in qualche modo finire qui: ma alzate gli occhi, e vedrete una seconda scala che si inerpica ancor più in alto, e su di essa c’è di nuovo il Piranesi, ma questa volta proprio sull’orlo dell’abisso. Alzate di nuovo gli occhi e vedrete un’altra rampa di scale ancora più aerea: e di nuovo il povero Piranesi si affatica nella sua penosa salita: e sempre così, finché le scale interrotte e il Piranesi si perdono entrambi lassù nel buio della sala. Allo stesso modo si formavano, crescevano senza fine e si riproducevano da sole le architetture dei miei sogni”.

Thomas De Quincey, Il palinsesto del cervello umano: “Dal profondo dell’oscurità, dal fantastico immaginifico del cervello tu estrai città e templi, più belli delle opere di Fidia e di Prassitele dall’anarchia dell’incubo sognante tu richiami alla luce del sole i volti di bellezze da tempo sepolte”. “Che cos’è il cervello umano se non un naturale e grandioso palinsesto? Il mio cervello è un palinsesto, come un palinsesto è il tuo cervello, o lettore! Infiniti strati di idee, immagini, sentimenti, sono scesi nel tuo cervello leggeri come la luce. Ti è parso che ogni strato successivo seppellisse tutti i precedenti. Pure, in realtà, non uno è stato distrutto”.

Sigmund Freud, Nota sul “notes magico”, 1924: “Sembrerebbe che nei procedimenti di cui ci serviamo per surrogare la nostra memoria, l’illimitata capacità ricettiva e la conservazione di tracce mnestiche permanenti siano fra loro incompatibili: o bisogna rinnovare la superficie ricevente o bisogna distruggere le annotazioni già prese. (...) Da un po’ di tempo, con il nome di “notes magico”, è entrato in commercio un piccolo aggeggio che promette prestazioni migliori sia del foglio di carta sia della lavagna. Non vuole essere nulla di più che un taccuino da cui gli appunti scritti possono essere cancellati mediante un comodo movimento. Eppure, se lo si guarda più da vicino, ci si accorge che questo taccuino è costruito in un modo che presenta mutevoli concordanze con la struttura da me ipotizzata del nostro apparato percettivo, e che effettivamente può offrire sia una superficie sempre disposta ad accogliere nuovi appunti, sia le tracce permanenti delle annotazioni già prese. Questo foglio, che è la parte più interessante del piccolo aggeggio, consiste a sua volta di due strati separabili uno dall’altro ad eccezione che nei due spigoli in alto. Lo strato superiore è una pellicola di celluloide trasparente, quello inferiore un foglio sottile e traslucido di carta incerata. (...) L’uso di questo notes magico consiste nel prendere annotazioni sulla pellicola di celluloide del foglio ricoprente la tavoletta incerata. Per far questo non è necessaria una matita o un pezzo di gesso, dal momento che lo scrivere non consiste in questo caso nel depositare un certo materiale su una superficie ricevente. È un po’ come tornare al modo in cui scrivevano gli antichi, su tavolette di argilla o di cera. Un punteruolo acuminato scalfisce la superficie, i cui avvallamenti danno luogo alla ‘scrittura’. (...) Nei punti toccati dal punteruolo lo strato sottostante di carta incerata aderisce alla tavoletta di cera, e i solchi così ottenuti diventano visibili sulla superficie della celluloide, altrimenti grigio chiara, con una scritta di colore scuro. Quando si vogliono eliminare queste scritte, basta prendere il doppio foglio dal bordo inferiore libero e, con un leggero movimento della mano, sollevarlo dalla tavoletta incerata. (...) Il notes magico è ora libero da scritte e pronto ad accogliere nuove annotazioni (...) Eppure è facile constatare che si è conservata sulla tavoletta di cera la traccia permanente delle cose che erano state scritte e che, con un’illuminazione appropriata, esse ridiventano leggibili. Il notes magico non offre dunque soltanto una superficie come quella della lavagna, che può essere usata ex novo innumerevoli volte, ma offre altresì di conservare la traccia permanente di ciò che è stato scritto, come un normale notes di carta (...); esso risolve il problema di unificare queste due funzioni ripartendole fra elementi (o sistemi) separati, ma fra loro interconnessi (...) ciò coincide con un’idea che mi sono fatto da molto tempo (...) riguardo al modo in cui funziona l’apparato percettivo della nostra psiche”.

Charles Dickens, “La storia nella cera”, 1854: “Ero passato davanti a questo edificio migliaia di volte senza rendermi mai conto che quella grandezza su cui avevo fantasticato per tutta la vita era lì, come una presenza visibile: non era solo scolpita nel marmo o ritratta su tela, ma calata nelle vesti di una vita vissuta: potevo andare vicino ed esaminarla; girarle attorno da ogni lato; toccarla...”.

Victor Hugo, Parigi, 1867: “Chi guarda nel fondo Parigi ha una vertigine. (...) Sotto la Parigi attuale, si distingue l’antica Parigi, come il vecchio testo nelle interlinee del nuovo. (...) Non c’è nulla di più difficile da penetrare di questa formazione geologica alla quale si sovrappone la meravigliosa formazione storica che chiamiamo Parigi”.

Freud, Il disagio della civiltà, 1929: “Dal momento in cui abbiamo superato l’errore di supporre che il dimenticare cui siamo abituati significhi distruggere la traccia mnestica, sia cioè un annullamento, propendiamo per l’ipotesi opposta, ossia che nella vita psichica nulla può perire una volta formatosi, che tutto in qualche modo si conserva e che, in circostanze opportune, attraverso ad esempio una regressione che si spinga abbastanza lontano, ogni cosa può essere riportata alla luce. Cerchiamo di chiarire il contenuto di tale ipotesi ricorrendo a un paragone desunto da un altro campo. Prendiamo come esempio l’evoluzione della Città Eterna. Gli storici ci insegnano che la Roma più antica fu la Roma quadrata, un insediamento cintato sul Palatino. Seguì la fase del Septimontium (...) Non vogliamo considerare ulteriormente le trasformazioni dell’Urbe; domandiamoci che cosa possa ancora trovare nella Roma odierna, di tali stadi precedenti, un visitatore che supponiamo dotato di vastissime conoscenze storiche e topografiche (...) Salvo poche interruzioni, potrà trovare tratti delle mura aureliane. In alcuni luoghi potrà trovare tratti delle mura serviane portate alla luce dagli scavi. (...) Non c’è bisogno di ricordare che tutti questi resti dell’antica Roma sono disseminati nell’intrico di una grande città sorta negli ultimi secoli, dal Rinascimento in poi. (...) Facciamo ora l’ipotesi fantastica che Roma non sia un abitato umano, ma un’entità psichica dal passato similmente lungo e ricco, un’entità, dunque, in cui nulla di ciò che un tempo ha acquistato esistenza è scomparso, in cui accanto alla più recente fase di sviluppo continuano a sussistere tutte le fasi precedenti”.

Walter Pater, Il Rinascimento, 1869 sulla Monnalisa di Leonardo da Vinci: “Tutti i pensieri e tutta l’esperienza del mondo han lasciato là il loro segno e la loro impronta (...): l’animalismo della Grecia, la lussuria di Roma, il misticismo del medioevo con la sua ambizione spirituale e i suoi amori ideali, il ritorno del mondo pagano, i peccati dei Borgia. (...) Ella è più antica delle rocce tra le quali siede; come il vampiro, fu più volte morta, e ha conosciuto i segreti della tomba; è discesa in profondi mari e ne serba intorno a sé una luce crepuscolare (...)”.

T.S. Eliot: Tradizione e talento individuale, 1919: “Nessun poeta, o artista, ha il suo significato in se stesso. (...) Non lo puoi valutare da solo, ma devi collocarlo, per contrasto e confronto, fra i morti. (...). Ciò che accade quando una nuova opera d’arte è creata è qualcosa che accade simultaneamente a tutte le opere d’arte che l’hanno preceduta. (...) il passato è alterato dal presente tanto quanto il presente è diretto dal passato. Il senso storico comporta la percezione non del passato in quanto passato, ma come presente. (...). Tutta la letteratura dell’Europa a partire da Omero ha un’esistenza simultanea e compone un ordine simultaneo. Il senso storico è il senso dell’atemporale tanto quanto del temporale, come pure dell’atemporale e del temporale insieme. (...) Il poeta... deve essere consapevole che la mente dell’Europa – la mente della sua stessa nazione – è una mente che cambia, e che questo cambiamento è un’evoluzione che non abbandona nulla lungo il cammino, che non rende obsoleti Shakespeare, o Omero, oppure i graffiti paleolitici. Questo sviluppo, da intendersi forse come maggiore raffinatezza e senz’altro come progressiva complessità (...) non rappresenta però per l’artista alcun miglioramento”.

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