La sofferenza ha un grande
valore espiativo e redentivo, chi soffre nella carne ha tagliato i ponti con il
peccato, dice la Sacra Scrittura; moltissime persone vedono nella sofferenza un
male e nel benessere qualcosa a cui tendere per essere veramente felici, ma
nella prospettiva di Dio quale è la verità? La sofferenza terrena è davvero il
peggiore dei mali? Nelle visioni mistiche di alcuni Santi e di alcune Sante,
come nella speculazione filosofica cristiana, la sofferenza soprattutto fisica
ma anche mentale, è quel torchio eletto sotto cui il Signore tempra le anime
alla virtù, specialmente alla carità, questo è vero se si considera che le
persone maggiormente compassionevoli, empatiche, sono quelle che nella vita
hanno sperimentato sulla propria pelle la sofferenza e l’hanno accettata con
coraggio e onore. Soffrire quindi ha un valore, per quanto sia arduo da
comprendere, il male morale lo si espia con la sofferenza, il carattere
espiativo, purificatore della sofferenza, ha la sua massima espressione nella
Passione e Croce di nostro Signore, Gesù soffrendo con noi e al nostro posto,
ci ottiene dal Padre misericordioso la remissione dei peccati, l’emendazione
dalla colpa, da tutte le colpe: un atto di amore unito al dolore, è quella
goccia onnipotente che scardina le porte dell’inferno e riconduce le anime alla
Luce sempiterna della Carità; soffrire significa essere in comunione con il
sacrificio di amore al Padre di Gesù, significa unire alla Croce di Cristo la
nostra personale sofferenza, per la nostra redenzione e quella del prossimo, il
patire è quindi il veicolo privilegiato della Grazia, quel dinamismo oblativo
che comunica la Grazia a tutta l’umanità, facendo germogliare e crescere i
frutti della benedizione di Dio, innanzitutto la salvezza eterna della nostra
anima. Soffrire non è una punizione che viene dall’alto, ma un segno di
predestinazione, paradossalmente la dimostrazione che Dio ci ama e ci vuole più
vicini al suo Cuore: tutti fuggono la sofferenza, nessuno la vuole e chi soffre
è malvisto, nel senso che è considerato dall’opinione comune uno sfortunato, un
poveretto da commiserare e pietire vilmente, come sanno fare bene tutti i
benpensanti del mondo, quelli che “ consumano ” la vita, che mangiano il
piacere e l’orgoglio, che si perdono nelle vanità seduttrici; nell’antichità la
sofferenza era il castigo per il peccato, per le opere malvagie, così la
pensavano ad esempio i Giudei del tempo di Gesù, quindi chi soffriva in vita
soggiaceva alla legge del contrappasso, per cui a uguale peccato corrispondeva
uguale tormento, ma il Signore con la sua Parola esprime la Verità della sua
Rivelazione, dicendo che chi soffre manifesta in sé stesso le opere di Dio,
quindi l’amore e la compassione dovutagli da chi lo incontra, e che c’è un premio
oltre la morte per chi patisce, invece il male morale e spirituale, il peccato
per intenderci, porta alla sofferenza eterna che è peggio di qualunque malattia
terrena e sventura in cui possiamo imbatterci, peggio della morte corporale,
questo Gesù ce lo insegna con la parabola del ricco epulone e del povero
Lazzaro, nel Vangelo di san Luca. Soffrire significa affinare l’amore e
incontrare l’Amore, per partecipare a una vita più alta, che trascende il mondo
con i suoi miraggi di felicità, l’Amore di un Dio che ha scelto il patire della
sua Passione e della sua Croce, la sua vita nascosta nell’abiezione di Nazaret,
l’umiltà e la piccolezza del Bambino di Betlemme, per essere vicino a ogni uomo
e a ogni donna, per dimostrare a ciascuno di noi il suo Cuore compassionevole e
misericordioso di Padre, la sua predilezione verso ogni povertà umana… per
redimerci, per introdurci nel suo Regno di beatitudine: sofferenza e amore,
sono la via maestra nel percorso purificatore di ogni figlio di Dio, sono la
via dell’elezione di un’anima verso la salvezza eterna.
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