Dalla
relazione con gli altri, ed in modo particolare con i più deboli, manifestiamo
la nostra indole cristiana; il nostro temperamento si esprime nei modi di agire
gli uni verso gli altri, e quando ci accorgiamo delle persone diventiamo ciò
che nel nostro intimo talvolta abbiamo timore di esprimere. Non sempre ci è
possibile comprendere le situazioni e le difficoltà degli altri, ma quando ci
riusciamo il nostro animo viene nobilitato da una fonte limpida che scaturisce
dall’alto e che si chiama Carità. Le nostre parole nei confronti del prossimo
dicono chi siamo, quando diciamo bene di qualcuno o leniamo un dolore
psicologico tendiamo a quella fonte pura che non appartiene all’ordine di
quaggiù e che alcuni erroneamente definiscono solidarietà o empatia. Quando
vedo una persona che soffre provo compassione e il desiderio sincero di aiutare
e liberare da quel male che la opprime, un simile atteggiamento psicologico ci
qualifica come uomini e donne che possiedono quella natura genuina che ci rende
dissimili dalle creature inferiori, le quali sono condizionate dall’istinto e
non possiedono quel grande dono che è la libertà; con la libertà impostiamo la
nostra vita nel bene o nel male, con la libertà costruiamo noi stessi momento
per momento, è la libertà che ci trasforma in angeli o demòni. Il Signore ci ha
lasciato questo testamento nel suo Vangelo: “…i poveri li avrete sempre con voi, invece non avrete me per sempre”,
ed inoltre: “…quel che fate a loro, lo
fate a me”, in queste parole di nostro Signore c’è la chiave che apre la
porta del suo Regno; quando piangiamo per un’altra persona e non per noi stiamo
semplicemente amando, ci siamo aperti alla grazia e Dio ha preso posto nei
nostri cuori; le lacrime dell’egoismo sono le lacrime di chi è immaturo ed
estraneo alla logica della condivisione e del sacrificio: “…nessuno ha un amore più grande di questo, dare la vita per i propri
amici”, non c’è un amore vero senza abnegazione, senza che l’altro abbia
nel nostro cuore un posto tanto elevato da svuotarci del nostro io e della
nostra superbia, Dio infatti è mansueto e umilissimo: “…eccomi sono l’ancella del Signore, si compia in me la tua parola”,
è il sì di Maria al disegno di Dio, è la sua umiltà dinanzi a una domanda e a
una attesa, è l’amore di una creatura, la più alta e nobile. Con il povero ci
si può comportare in due modi, avendone disprezzo e indifferenza o piangendo
per lui, è la compassione che si traduce in un agire giusto secondo la volontà
di Dio. Ho incontrato dei poveri nella mia vita e sono stato al loro fianco, ho
condiviso la loro condizione e non me ne vergogno, sono felice di essere come
loro e di stare dalla loro parte. Chi è umiliato e soffre ha il cuore prossimo
a Cristo che ha condiviso tutto con ciascuno di noi fuorché il peccato, la
devianza del nostro libero arbitrio che ci porta a compiere il male; Cristo è
povero e sofferente e abita nelle persone povere e sofferenti, beati coloro che
conoscono il valore della compassione e la dilezione del cireneo sulla via
della Croce, sono quelle anime più vicine a Dio. Avere a cuore il destino degli
ultimi significa conoscere Dio e avere a cuore la salvezza della propria anima;
sono una persona introversa e sensibile e questo mi porta a soffrire di più,
probabilmente è una illusione convincersi di portare su di sé dei pesi
esistenziali eccessivi, perché molte più persone di noi in questo mondo hanno
sofferto e soffrono così tanto che non possiamo nemmeno averne idea, ma non è sbagliato sentirsi solidali con fratelli e sorelle che
vivono situazioni critiche e desiderare sinceramente di fare qualcosa per loro,
per toglierli da quel disagio o per lenire quel che provano e che li fa
piangere e disperare. Dio è così, non si ferma a guardare ma prende il nostro posto per
liberarci e portarci a Lui.
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