Sub tuum praesídium confúgimus,
sancta Dei Génetrix;

nostras deprecatiónes ne despícias in necessitátibus;
sed a perículis cunctis líbera nos semper,
Virgo gloriósa et benedícta.

mercoledì 7 giugno 2017

Il nero sigillo

A nord del continente vi sono i ghiacci perenni, il freddo pungente e le alte montagne innevate, c’è un sigillo impresso sulla nuda roccia desolata di quei luoghi impervi, è il sigillo di un demone, è il sigillo del caduto. Per molte ere gli uomini guerreggiarono tra di loro per la supremazia e l’illusione del potere, per le ricchezze della terra e per l’inganno della sicurezza e dell’immortalità che falsi sapienti promisero a uomini e donne arroganti, colmi di orgoglio, superbi e desiderosi della gloria del mondo; i miasmi del caduto, dal luogo della sua dimora, attraversarono tutte le epoche e i territori, inquinarono i cuori dei mortali facendoli deviare dal retto sentiero, quello che conduce alla vita. Chi ama la vita non la ama solamente in sé stesso e per sé, ma la ama negli altri, in tutti coloro che incontra sul suo cammino. Un valoroso combattente di antiche battaglie si incamminò verso nord per impossessarsi del potere del caduto, il pungiglione della morte e avere potestà su tutti i suoi nemici rapinandoli della vita nel corpo e consegnando le loro anime alle bocche fameliche dei demòni, i principi, i duchi e i baroni di quel mondo tenebroso, gelido e impersonale in cui il caduto è despota e colonna portante, il faro che con la sua luce nera attraversa le creature perdute e amareggiate. Il guerriero arrivò ad un albero vegeto e rigoglioso pieno di gemme e fiori, come se quel piccolo spazio di terreno fosse straordinariamente portatore di vita alla maniera della stagione di rinascita che noi conosciamo, la primavera; dal gelo circostante entrò in una sfera fatta di luce e tepore, di aria pulita e piacevole da respirare. Disse tra sé e sé: “Qui non può dimorare il demone caduto, che portò nella morte i suoi fratelli…”. Ma egli stranamente era lì ma fuori dalla sua vista e rispose: “Sono io colui che cerchi e te lo dimostro domandandoti un’opera di morte, estrai la tua spada, la tua mietitrice e taglia il ramo più alto, forte e pieno di linfa vitale di questa pianta così bella e detestabile”. Luriahn, così era il nome del valoroso, obbedì ed estrasse la spada e tagliò all’istante il ramo frondoso dell’albero, la linfa verde cadde a terra come il sangue dei suoi innumerevoli nemici uccisi nei tanti conflitti violenti e spietati… e il demone rise per il male compiuto, rise di compiacimento per la follia e la schiavitù dell’uomo peccatore e privo di coscienza. Così Luriahn: “Ho fatto quello che mi hai chiesto, adesso dammi il pungiglione della morte perché possa continuare la tua opera nel mondo”. “Ti manca ancora qualcosa per essere perfetto nell’arte dell’uccisione, prendi il ramo che hai reciso e rimettilo al suo posto affinché riprenda a vivere”. Luriahn rimase costernato e domandò: “Che cosa significa questa richiesta?”. “Non è una richiesta, ma bensì la dimostrazione del tuo falso potere e della tua stoltezza, tu non puoi nulla se non riconosci che la vita è più forte della morte; hai sempre combattuto con la convinzione che la vita fosse effimera e senza valore; hai sempre combattuto anteponendo la tua vita e ciò che per te gli conferisce valore, al di sopra della vita delle altre creature; hai combattuto per il nulla privo di fede in un Creatore della vita e adesso che sei alla mia presenza il mio pungiglione ti darà la morte e comprenderai che il nulla non esiste, esiste la morte, quella vera e perpetua, che a confronto del nulla è sì preferibile ma non altrettanto a confronto della vita eterna, che tu oggi compiendo l’ultimo dei tuoi gesti blasfemi, hai perduto per sempre… e adesso verrai con me, misero uomo”. Luriahn ebbe paura per la prima volta da molto tempo e disse al demone: “Devo tornare alla guerra!”, “La tua guerra è finita e tu sei l’unico sconfitto, questo è il pozzo dell’abisso e ora cadi assieme a me”. L’albero della vita si dissolse e con esso la sfera d’aria pura, si aprì una spaventosa voragine e ne uscì un olezzo nauseabondo, era buio e profondo l’antro e si sentivano molte anime piangere; Luriahn domandò spaventato: “Perché piangono?”, rispose il demone traghettatore: “Hanno perso per sempre la possibilità di amare e di essere felici”. Luriahn chiese senza rendersi conto di quanto fosse assurdo il suo dilemma: “Che cosa significa amare?”, tradendo tra l’inaspettato e lo spavento una traccia di collera mista a rancore. “Non so cosa significa, non me lo ricordo”. E afferratolo con forza e determinazione lo portò giù nell’abisso e la voragine si chiuse, lasciandosi dietro aspre battaglie e valorosi soldati… ma questa è un’altra storia, speriamo non la nostra che siamo figli di quel Dio che è amante della vita, della riconciliazione e della pace.

Nessun commento:

Posta un commento