“Se tu non mi stessi cercando significherebbe
che non mi hai trovato, ma proprio perché mi cerchi… senza saperlo mi hai già
trovato”, così talvolta il Signore parla al cuore delle persone; il
desiderio di dare un senso positivo alla propria vita è segno di buona salute psicologica,
spirituale e morale, coloro che si interessano soltanto della questione del
vivere e tralasciano di conoscere il perché del loro stare al mondo, sono persone
tanto misere quanto biasimevoli che si accontentano dell’ordinario e del
monotono. Sono convinto che se si leggesse il Vangelo non come una favola della
buonanotte ma conferendogli quel realismo che merita una cronaca storica
intessuta di fatti straordinari, convincendosi dell’esistenza del
soprannaturale, molto della nostra prospettiva esistenziale cambierebbe; forse
ci sono due possibili esiti a questa visione della realtà, o illudersi nel
fanatismo, o pervenire ad una equilibrata felicità che ci offre la chiave per
decifrare ogni cosa delle nostre vite, del nostro stare al mondo e del nostro
destino. Il messaggio fondamentale che ci viene dato dal Vangelo è questo: un
uomo è tornato dalla morte e ha dimostrato con qualcosa di così eloquente e
inequivocabile, quel che ha predicato nel corso della sua vita terrena riguardo
a sé stesso e a ogni creatura umana. L’ambito per accedere a questa verità
storica è e sarà sempre l’adesione di fede personale, ciascuno per sé senza che
altri possano intromettersi nella scelta di credere in qualcosa di sconosciuto
e inspiegabile. Questa scelta di credere io l’ho fatta e non mi sono mai
contraddetto riguardo alle convinzioni a cui ho aderito, anzi sono maturato e
penso di aver compreso quello che per tanto tempo ignoravo, o addirittura
disprezzavo con quel sarcasmo che i miscredenti hanno nei confronti di coloro
che vogliono proporgli una qualsivoglia verità precostituita. Nelle mie pagine
parlo spesso della fede, non per fanatismo ma perché penso si tratti di un bene
molto prezioso che tutti dovrebbero aver modo di possedere, non è qualcosa che
si conquista e poi si mette da parte dimenticandosene col tempo, è qualcosa che
va coltivato giorno per giorno; il mezzo più importante per pervenire alla fede
e conservarla è la preghiera, non tanto la preghiera come tale ma il perseverare
in essa, semplicemente la devozione o meglio la vita devota, non chissà quale
grande esercizio ascetico riservato a pochi eletti, semplicemente la preghiera
cristiana così come la tradizione di tanti secoli ci ha tramandato. Con una
similitudine la dinamica della grazia si può descrivere in questo modo: la
preghiera è l’acqua apportatrice di vita, la sana dottrina e cioè la conoscenza
della verità rivelata è la pianta che occorre coltivare, i beni che ne derivano
sono puramente soprannaturali, sono le virtù e il conseguimento della salvezza
eterna della propria anima. Appartiene tutto all’ambito dell’invisibile e dell’indimostrabile,
ma non per questo si tratta di assurde fantasticherie bensì di realtà, anzi è
la realtà costitutiva della natura umana e non si può né vedere né toccare,
come la maggior parte delle nostre facoltà. Credere
è una scommessa come diceva il filosofo e matematico Pascal, ma non più di
quel tanto perché la fede è plausibile e il nostro mondo è costruito da
innumerevoli illusioni che servono ad alienarci, a distrarci per farci perdere
di vista l’essenziale: non si deve mai rinunciare a dare un significato alle
cose, a spiegarle per conoscerle… si ama solamente ciò che si conosce a fondo o
si cerca di conoscere, è il motore dell’anima e non possiamo farne a meno.
Nessun commento:
Posta un commento