In una apparente e angosciosa assenza di Dio ecco la morte che prima o poi infallibilmente miete tutti, ma cos’è la morte, cosa accade quando moriamo? Ci separiamo dal corpo e lo lasciamo alla polvere di questo mondo, andiamo a vivere per sempre con il Signore nella Sua e nostra beatitudine. La morte non è una notte eterna o lo svanire nel nulla delle nostre menti, l’oblio della coscienza così come la descrivono i miscredenti. Con la morte ci ritroviamo fuori dal corpo con le nostre facoltà ancora integre, nel pieno possesso delle nostre facoltà, con la nostra personalità o individualità, non perdiamo nulla di noi stessi, se eravamo malati sono le malattie che scompaiono e non noi con esse. Chi rimane da questa parte non s’accorge di niente, si passa dal tempo del creato all’eternità di Dio. Mia mamma come OSS assisteva un’anziana ammalata di alzheimer e le è stata accanto sette anni e poi a causa di un infortunio dovette lasciare, prima che la malattia si aggravasse togliendole la facoltà della parola questa donna oramai invalida ripeteva spesso una giaculatoria che aveva imparato da giovane, una lontana reminiscenza, tre semplici parole: DOLCE, AMABILE GESÙ.
cupio dissolvi
〈kùpio ...〉 locuz. lat. (propr. «desiderio d’essere dissolto»). – Espressione che ha la sua origine in san Paolo, il quale nella 1a lettera ai Filippesi scrive, secondo il testo della Vulgata, desiderium habens dissolvi et cum Christo esse, traduz. letterale del gr. τὴν ἐπιϑυμίαν ἔχων εἰς τὸ ἀναλῦσαι καὶ σὺν Χριστῷ εἶναι: dove dissolvi e ἀναλῦσαι esprimono il concetto dello scioglimento dell’anima dal corpo e quindi della morte. La frase ritorna con frequenza nella patristica latina, come citazione diretta o come reminiscenza, anche con varianti formali, tra le quali predomina appunto quella stabilizzatasi nell’uso come cupio dissolvi ecc., che in questa forma risale con molta probabilità a versioni bibliche anteriori alla Vulgata (cfr. infatti Tertulliano, De patientia 9, 5: «Cupio dissolvi et esse cum Christo, dicit Apostolus»). Col tempo però il senso originario di cupio dissolvi si è via via trasformato, per indicare in genere un desiderio di mistico annientamento in Cristo, e il motto è stato assunto a simbolo di aspirazione a una vita ascetica, di rinuncia alla propria personalità, e successivamente adattato anche ad accezioni e usi più laici e profani, esprimendo, a seconda dei casi, rifiuto dell’esistenza, desiderio di estenuazione, volontà masochistica di autodistruzione, e sim.
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