Sub tuum praesídium confúgimus,
sancta Dei Génetrix;

nostras deprecatiónes ne despícias in necessitátibus;
sed a perículis cunctis líbera nos semper,
Virgo gloriósa et benedícta.

lunedì 24 febbraio 2025

Breve meditazione sull'Eucarestia e la presenza mistica di Cristo

GESÙ TI PARLA DAL TABERNACOLO

Ovunque tu sia recati spiritualmente davanti al Tabernacolo e fatti amare da Gesù

Benvenuto/a in questa cappella, ti attendevo da tanto tempo e ora finalmente ci siamo incontrati. Se sei qui sicuramente hai un grande dolore, una grande sofferenza che ti lacera l’anima. E Io sono qui per te, per essere la Tua consolazione, la Tua speranza, la Tua forza. Da giorni ti stavo aspettando, volevo guardarti negli occhi. E se tu alzi lo sguardo Mi vedi nella Mia Misericordia. Desidero parlarti Cuore a cuore, voglio dirti tutto il bene che ti voglio, voglio che tu senta il Mio abbraccio per te. Mi sento fremere di compassione quando ti vedo piangere; Mi sento stringere nel Cuore quando vedo che soffri, ma ora sei finalmente qui, seduto su questi banchi. Mio caro amico e fratello, sentiMi seduto vicino a te, sentiMi al tuo fianco, Io non posso lasciarti solo, non posso metterMi da parte nella tua vita. Non pensare che Io sia indifferente o lontano dal tuo dolore, Io sono qui vicino a te! Sono veramente felice quando ti vedo!

Ho scritto il tuo nome sul palmo della Mia mano; tu sei una perla preziosa per Me e mai ti posso dimenticare! La sofferenza che ti ha colpito per ora non puoi comprenderla, rientra nel misterioso progetto d’amore del Padre Mio, ma sappi che tu sali con Me sulla Croce e con Me ti offri al Padre con amore… Mio compagno, Mio cireneo in questo percorso di vita! Ti prendo sottobraccio e cammino con te! Prego in te e per te, e ogni giorno al Padre, nella forza dello Spirito, nella comunione di amore che viviamo, preghiamo perché il tuo dolore sia offerto, perché la tua anima cerchi solo in Noi una risposta vera e autentica… Se potessi vedere anche solo per un istante quanto ti amiamo, moriresti dalla gioia. I Miei occhi non riescono a staccarsi da te per quanto ti amo, per quanto ti sono vicino e per quanto ci tengo a te! Mio caro fratello, Mio compagno nel dolore, apri la tua anima, apri il tuo cuore all’infinita forza del Mio Amore e anche quando i chiodi della sofferenza trapassano il tuo debole corpo, tu abbandonati a Me con tutto te stesso, cerca la tenerezza nella profondità del Mio Cuore.

Io desidero solo consolarti e donarti speranza e forza… Io piango con te e per te, e non credere che non Mi addolori vederti soffrire. Anche per Me è stato difficile abbracciare quella Croce, ma sappi che tutto questo avviene perché nella tua vita risplenda sempre di più l’amore e la fede. AmaMi così come sei, Io credo che tu sia un campione d’amore, dimostramelo ora: lascia da parte ogni cosa e prega profondamente con tutto te stesso, Mi sentirai vicino, volgi il tuo sguardo ai Miei occhi, tienili fissi in Me e sentiti amato, accarezzato, sostenuto dal Mio “debole” Cuore. Ti amo tanto fratello Mio, ti stringo dolcemente a Me, e so che su questa Croce ormai da anni non sono più solo..., tu sei con Me, ti fai Mio “cireneo” e con immensa tenerezza ti abbandoni al Padre Mio. Grazie… Amico, sono con te, ora e per sempre. Amen. Il tuo Amico, Gesù.

PREGHIERA SPONTANEA

Signore accogli le preghiere e i lamenti di coloro che soffrono e di quanti si adoperano per alleviarne il dolore. Tu che hai percorso la via del calvario e hai trasformato la croce in segno d'amore e di speranza conforta coloro che sono afflitti, soli e sfiduciati. Dona loro la pazienza sufficiente per sopportare le lunghe attese, il coraggio necessario per affrontare le avversità, la fiducia per credere in ciò che è possibile, la saggezza per accettare ciò che rimane irrisolto, la fede per confidare nella tua Provvidenza. Benedici le mani, la mente e i cuori degli operatori sanitari perché siano presenze umane e umanizzanti e strumenti della tua guarigione. Benedici quanti nelle nostre comunità si adoperano per accompagnare i malati perchè accolgano la profezia della vulnerabilità umana e si accostino con umiltà al mistero del dolore. Aiutaci, Signore, a ricordarci che non siamo nati felici o infelici, ma che impariamo ad essere sereni a secondo dell'atteggiamento che assumiamo dinanzi alle prove della vita. Guidaci, Signore, a fidarci di Te e ad affidarci a Te.

Il dio uno e quattrino e il suo culto idolatrico

Le chiese e le sette religiose predicano il regno dei cieli illudendo poveri allocchi, poi accaparrano denaro e beni del prossimo meglio se psichicamente vulnerabile con una cupidigia diabolica e senza rimorso, ma non sono personaggi mentalmente dissociati, sono maschere farisaiche, imbonitori o istrioni, essi sono coerenti con la natura umana quando dà il meglio di sé perché le attività umane – anche quelle in apparenza nobili e meritevoli – sono volte quasi sempre a sfruttare gli altri, a strumentalizzarli per un qualche interesse individualistico o di parte.

Se poi noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto in questa vita, siamo da compiangere più di tutti gli uomini. (1Cor 15,19)

giovedì 20 febbraio 2025

Concedimi o Signore un cuore puro

Dal Vangelo secondo Marco
Mc 7,14-23

In quel tempo, Gesù, chiamata di nuovo la folla, diceva loro: «Ascoltatemi tutti e comprendete bene! Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall’uomo a renderlo impuro».
Quando entrò in una casa, lontano dalla folla, i suoi discepoli lo interrogavano sulla parabola. E disse loro: «Così neanche voi siete capaci di comprendere? Non capite che tutto ciò che entra nell’uomo dal di fuori non può renderlo impuro, perché non gli entra nel cuore ma nel ventre e va nella fogna?». Così rendeva puri tutti gli alimenti.
E diceva: «Ciò che esce dall’uomo è quello che rende impuro l’uomo. Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dall’interno e rendono impuro l’uomo».

COMMENTO

Ciò che di malvagio o degenerato deturpa il mondo ognuno se lo porta dentro di sé, viene dal nostro cuore e si riversa sugli altri; nessuno è immune dal portarselo dentro, è qualcosa che ci accomuna tutti per natura oltre qualsivoglia differenza, intenzione o apparenza, è il male o la personalità oscura presente in noi che se assecondata ci rende costantemente più impuri, ma per nutrire questo mostro è necessario l’esercizio della volontà in quell’ambito di dignità così alto che ci rende simili agli Angeli e anche a quelli caduti e dissimili dalle bestie che non comprendono, è la libertà di fronte al bene e al male, la coscienza morale, la responsabilità per le proprie azioni e la capacità d’amare. Forse l’unico elemento che può purificare i nostri cuori è la scelta di amare nonostante tutte le contrarietà, di perdonare, di comprendere e di sentire compassione per l’altra creatura, e di dire sempre no al maligno che sussurra alla mente con la tentazione, con i vizi e le fami egoistiche. In quella stanza sporca e buia che può diventare la nostra anima quando asseconda il diavolo e cede all’inganno del peccato, rimane sempre un po’ di nostalgia per la chiarità delle virtù e la benignità così grande di Dio, la sua misericordia che può renderci ogni volta che ci pentiamo con cuore davvero contrito persone nuove, figli e figlie amati e non più schiavi incatenati di un despota iniquo.

lunedì 10 febbraio 2025

Preghiera di liberazione da ogni male

✠ Segno della Croce

Nel Nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.
Amen

Padre Santo, Dio onnipotente e misericordioso, in Nome di Gesù Cristo, per l’intercessione di Maria Vergine, manda il tuo Santo Spirito su (si dice il nome).
Spirito del Signore scendi su (nome); fondilo, plasmalo, riempilo di Te, esaudiscilo, usalo, guariscilo.
Caccia via da lui tutte le forze del male, annientale e distruggile, perché possa stare bene e operare il bene.
Caccia via da lui tutti gli spiriti cattivi, i malefici, le stregonerie, ogni effetto della magia nera, delle messe nere, delle fatture, delle legature, delle maledizioni e del malocchio.
Spezza tutti i legami occulti, medianici e di dipendenza che lo ostacolano; allontana da lui ogni possibile influenza diabolica, infestazione diabolica, vessazione diabolica, ogni ossessione diabolica, o possessione diabolica; allontana tutto ciò che è male, peccato, invidia, stoltezza, perfidia, discordia, impurità, bestemmia, infatuazione; allontana da lui la malattia fisica, psichica, morale, spirituale, diabolica.
Brucia tutti questi mali nell’inferno, perché non abbiano mai più a toccare né lui né nessun’altra creatura al mondo.
Nel Nome di Tuo Figlio, Gesù Cristo Salvatore, ordina e comanda a tutti gli spiriti immondi, a tutte le presenze cattive che lo molestano, di lasciarlo immediatamente, di lasciarlo definitivamente e di andare nell’inferno eterno, incatenati dagli Arcangeli Michele, Gabriele, Raffaele e dal mio Angelo Custode, oltre che schiacciati sotto il calcagno della Vergine Santissima Immacolata.
Dona a (nome), o Eterno Padre, tanta fede, gioia, salute e pace, oltre a tutte le grazie di cui ha bisogno per servirti sempre meglio.
Il tuo Preziosissimo Sangue, Gesù, mio Signore sia su (nome) e su tutti noi e ci protegga da ogni male. Così sia.

                                                                              3 Padre, Ave, Gloria

✠ Segno della Croce

Nel Nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.
Amen

Il Vangelo non è narrativa di genere fantastico

Dal Vangelo secondo Marco
Mc 5,1-20

In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli giunsero all’altra riva del mare, nel paese dei Gerasèni. Sceso dalla barca, subito dai sepolcri gli venne incontro un uomo posseduto da uno spirito impuro.
Costui aveva la sua dimora fra le tombe e nessuno riusciva a tenerlo legato, neanche con catene, perché più volte era stato legato con ceppi e catene, ma aveva spezzato le catene e spaccato i ceppi, e nessuno riusciva più a domarlo. Continuamente, notte e giorno, fra le tombe e sui monti, gridava e si percuoteva con pietre.
Visto Gesù da lontano, accorse, gli si gettò ai piedi e, urlando a gran voce, disse: «Che vuoi da me, Gesù, Figlio del Dio altissimo? Ti scongiuro, in nome di Dio, non tormentarmi!». Gli diceva infatti: «Esci, spirito impuro, da quest’uomo!». E gli domandò: «Qual è il tuo nome?». «Il mio nome è Legione – gli rispose – perché siamo in molti». E lo scongiurava con insistenza perché non li cacciasse fuori dal paese.
C’era là, sul monte, una numerosa mandria di porci al pascolo. E lo scongiurarono: «Mandaci da quei porci, perché entriamo in essi». Glielo permise. E gli spiriti impuri, dopo essere usciti, entrarono nei porci e la mandria si precipitò giù dalla rupe nel mare; erano circa duemila e affogarono nel mare.
I loro mandriani allora fuggirono, portarono la notizia nella città e nelle campagne e la gente venne a vedere che cosa fosse accaduto. Giunsero da Gesù, videro l’indemoniato seduto, vestito e sano di mente, lui che era stato posseduto dalla Legione, ed ebbero paura. Quelli che avevano visto, spiegarono loro che cosa era accaduto all’indemoniato e il fatto dei porci. Ed essi si misero a pregarlo di andarsene dal loro territorio.
Mentre risaliva nella barca, colui che era stato indemoniato lo supplicava di poter restare con lui. Non glielo permise, ma gli disse: «Va’ nella tua casa, dai tuoi, annuncia loro ciò che il Signore ti ha fatto e la misericordia che ha avuto per te». Egli se ne andò e si mise a proclamare per la Decàpoli quello che Gesù aveva fatto per lui e tutti erano meravigliati.

COMMENTO

Questo testo del Vangelo di Marco non è una pagina di letteratura, un fatto di pura invenzione, un romanzo con degli insegnamenti morali che qualche dotto deve saperci spiegare, è esattamente ciò che dice e cioè l’esorcismo di Gesù su un uomo posseduto dai demoni che addirittura richiama un contesto geografico, quei demoni tanto numerosi i quali lo riconoscono per bocca della loro vittima e attestano chi Egli sia veramente. Il racconto ha avuto per anni una tradizione orale e poi è stato scritto nel Vangelo che è uno tra i sinottici o simultaneamente visibili in cui ci sono delle sovrapposizioni tra gli avvenimenti, delle analogie narrative, è un fatto accaduto e i dialoghi e le circostanze sono una cronaca ma con un intento teologico, attestare chi sia Gesù e la realtà del mondo demoniaco, come Gesù sia veramente il Signore e anche i demoni con la loro ricusata sottomissione gli debbano obbedire. Gesù esprime la sua misericordia e la sua pietà liberando l’uomo dal male, i demoni esprimono tutta la loro malvagità con il fatto dei porci e il tormento continuo a cui era sottoposto l’indemoniato, il mondo degli spiriti non è un’invenzione letteraria o un mito religioso ma una realtà scientifica che talvolta cade sotto l’esperienza sensibile.

Signore fammi conoscere la tua volontà

C’è in alcuni la convinzione che il Signore nonostante sia pregato e invocato non esaudisca mai le preghiere, ma essi non considerano che Gesù ci guarda dalla prospettiva dell’eternità e che la grazia fondamentale per un’anima è vivere in grazia di Dio, è avere Gesù nel proprio cuore, è piuttosto amare con sincerità il prossimo la grazia più grande e così la sofferenza che espia il peccato, che ottiene conversioni e ci conforma a Cristo, non tanto ciò che desideriamo fosse anche il necessario, se Gesù non ci dà quel che chiediamo ci dà di meglio in vista del Cielo. C’è un proverbio popolare che dice “aiutati che Dio t’aiuta”, tutti devono fare la loro parte nel progetto di Dio, ciascuno è l’architetto del proprio destino anche se nel cammino della vita ci sono tanti inconvenienti che non dipendono dalla nostra volontà.

domenica 2 febbraio 2025

Quanto Gesù detesta l'ipocrisia

Senza sincerità in ciò che si dice, nascondendo le colpe, senza pentimento e senza riparazione al male commesso la Confessione è un atto sacrilego, se una persona non cambia vita che senso ha che Dio la perdoni? qualcuno in tal modo si convince di essersi messo a posto con Dio ma la sua Parola di verità dice: “Soprattutto conservate tra voi una grande carità, perché la carità copre una moltitudine di peccati” (1Pt 4:8). Sempre vuoti i confessionali e molti la domenica in ordine nelle Chiese per ricevere l’Eucaristia in piedi e sulla mano senza credere che chi si riceve è davvero Gesù stesso, nascosto da quelle apparenze così umili nella sua realtà mistica il ché significa soprannaturale, vivificazione e salute della nostra anima, farmaco d’immortalità ma senza un cuore puro ed esente da malizia, senza una coscienza del tutto retta che non ci rimprovera nulla, come si può ricevere degnamente Gesù? e si moltiplicano le Comunioni sacrileghe che sono un vero e proprio atto di culto a satana. Dopo si torna alla solita esistenza pagana dove conta soltanto il denaro, l’affermazione di sé e i beni materiali, dove le croci sono lo scandalo peggiore, con un menefreghismo sempre più grande nei confronti degli altri, in particolare dei fragili e delle persone in difficoltà. Non è Cristianesimo questo modo di fare, e nemmeno Vangelo ma una farsa ipocrita degna dei peggiori farisei, occorre sottolineare quanto sia facile ingannare la gente cosiddetta per ‘bene’, dalla condotta apparentemente irreprensibile – superficiale ed egoista, rancorosa e cattiva, pronta a condannare e a mettere alla gogna – e invece sia impossibile anche ai più intelligenti ingannare il Signore che vede nel segreto del cuore e che dovrà giudicarci.

La Santa in lotta con il demonio e protettrice degli esorcisti

BEATA EUSTOCHIO (LUCREZIA BELLINI) – VERGINE PADOVANA (1444-1469)

Nel 1965 un gruppo di alunni del «Tito Livio» di Padova compì un’importante e approfondita ricerca riguardante la vita della Beata Eustochio. Di seguito un testo liberamente tratto dalla rivista Padova e la sua provincia (Grafiche Erredicì), che nel novembre del 1982 volle offrire ai suoi lettori la trascrizione di quell’importante ricerca.

† † †

Il 13 febbraio nella Chiesa si fa memoria della Beata Eustochio, una monaca che nella sua vita fu fortemente vessata dal demonio; alcuni biografi parlano addirittura di possessione.

La nascita della Beata Eustochio non fu proprio legittima: nacque a Padova nel 1444 da una monaca del monastero benedettino di San Prosdocimo e da Bartolomeo Bellini. Al battesimo le fu dato il nome di Lucrezia. A quattro anni si cominciò a sospettare che la piccola Lucrezia fosse posseduta dal demonio. Spesso si mostrava sgarbata e arrogante verso i propri familiari, ma ciò – riferiscono i biografi – non era frutto della sua volontà, bensì delle vessazioni del Maligno. E comunque, anche in quei momenti la sua mente si manteneva lucida e raccolta in Dio. Quando Lucrezia compì sette anni, il padre si convinse che ella lo volesse avvelenare. E per prevenirla pensò bene di ucciderla. Ma poi, non desiderando realmente che ella morisse, il demonio gli suggerì di affidarla alle monache dello stesso monastero dov’era stata concepita, affinché in mezzo a tanta corruzione anch’ella si perdesse. In quel monastero, infatti, la condotta delle monache era tutt’altro che virtuosa. Il padre – quindi – nel 1451 la affidò alle benedettine di San Prosdocimo, non tanto perché le venisse data un’educazione religiosa – che certo in quel monastero non si impartiva -, ma solo perché imparasse i lavori femminili, secondo il costume dell’epoca, avendo intenzione – poi – di farla fidanzare e sposare. Tra le educande, Lucrezia era la più giovane, l’unica che conducesse una vita illibata nella corruzione generale. In quell’anno la comunità si componeva di sette monache più la Badessa: le monache conducevano una vita peccaminosa, uscendo di frequente dal monastero, mischiandosi ai secolari a danno del loro buon nome e con disonore per il loro Istituto. Ma la perfidia di quelle monache si spinse ben oltre, arrivando al punto di accelerare col veleno la morte della loro Badessa, una donna di sani costumi, che proibiva alle consorelle più giovani di uscire dal monastero nella speranza di ricondurle a una condotta di vita più santa. Alla morte della Badessa, il Vescovo di Padova, Jacopo Zeno (1460-1481), proibì di eleggere una nuova Badessa tra le monache presenti nel monastero, per evitare che la vita religiosa continuasse in quella maniera scandalosa. A questo punto, però, le monache e le educande – temendo una riforma – fuggirono presso parenti e amici. E nel monastero rimase soltanto Lucrezia. Il Vescovo, allora, pensò bene di fondare una nuova comunità a San Prosdocimo, e fece giungere dal monastero della Misericordia, Giustina de Lazara, una nobile padovana e pia monaca, insieme ad altre suore ed educande di migliori costumi, creando Badessa la stessa de Lazara. Lucrezia chiese di poter vestire l’abito monacale. Le altre monache, però, non la vedevano di buon occhio, essendo a conoscenza delle sue origini e credendola corrotta come le altre religiose che avevano occupato in precedenza il monastero. Ciò nonostante, il Vescovo volle accogliere la sua richiesta. E così il 15 gennaio del 1461 Lucrezia fece il suo ingresso ufficiale in monastero assumendo il nome di Eustochio, in ricordo della fedele discepola di San Gerolamo, già beata della Chiesa. In questo periodo, tuttavia, Eustochio cominciò a manifestare delle mancanze e ad apparire molto inquieta. Il confessore del monastero, allora, rivelò alla Badessa e alle altre monache che Eustochio era disturbata dal demonio, cosa – questa – che tra le monache suscitò una specie di ribellione, tanto che nessuna le voleva rivolgere più la parola. Il primo ottobre del 1461 (il giorno seguente la festa di S. Girolamo), nel chiostro accadde un incidente: Eustochio, spinta dal demonio, si ritrovò a minacciare con un coltello le altre monache. Il confessore, accorso, costrinse, con degli esorcismi, lo spirito a parlare, e questo disse, per bocca di Eustochio, di essere stato inchiodato a un banco da S. Girolamo, protettore della monaca. Ed effettivamente, sembrava che ella non potesse muoversi di lì, e poiché continuava ad agitarsi pericolosamente, la legarono a una colonna per qualche giorno. Poi si calmò, ma naturalmente era troppo peggiorata l’opinione che di lei avevano le compagne. Di lì a poco la Badessa si ammalò, senza che i medici riuscissero a capire la natura del suo male. Inoltre, si trovarono nel monastero strane «cose superstiziose» – come le definisce il Cordara, uno dei biografi della Beata -, e si pensò che fossero oggetti magici usati dalla Eustochio per avvelenare la Badessa. Per mandato episcopale, in seguito a questi fatti, Eustochio venne incarcerata come fattucchiera, in attesa di essere processata e quindi essere messa a morte. Le passavano soltanto pane e acqua, e ogni tre giorni veniva lasciata completamente a digiuno: i suoi carcerieri pensavano così di indurla a confessare le sue colpe. Eustochio passava tutto il suo tempo pregando per resistere alle tentazioni del demonio, che le prometteva di aprire i catenacci e le porte della prigione nel caso in cui avesse rinnegato Cristo. Dopo tre mesi di prigionia, grazie anche all’intercessione del suo confessore che la credeva innocente, Eustochio fu rinchiusa in infermeria, in una prigione più luminosa e vicina alle celle delle malate. Un giorno il demonio, toltale la benda e lo scapolare, cercò di strozzarla: le monache, richiamate dal chiasso che proveniva dall’infermeria e, non ricevendo risposta alle loro invocazioni, sfondata la porta, la trovarono a terra svenuta e subito si prodigarono per rianimarla. In seguito, Eustochio fu finalmente messa in libertà, ma con numerose restrizioni: non poteva recarsi nel coro né in chiesa per i sacri offici; non poteva andare in parlatorio né conversare con alcuno, nemmeno con i suoi parenti. Le altre monache avevano l’ordine di schivarla, pena la «scomunica», termine che in questo caso sta a indicare l’espulsione dalla comunità. Girava voce, inoltre, che Eustochio fingesse di essere tormentata dal demonio per suscitare la pietà del prossimo. La povera Eustochio ricambiava quest’odio con profondo amore, e recitava spesso le preghiere della solennità di Santo Stefano, che è il Santo invocato per poter amare i propri nemici. Negli anni consecutivi il demonio continuò a tormentarla con incredibile crudeltà e nei modi più impensati: la batteva con un flagello di funicelle armato di punte di rame molto aguzze, la sfregiava e le incideva profondamente le carni con un coltello; la trascinava per terra, la gettava violentemente al suolo, la bastonava, la legava con funi così strettamente da toglierle ogni possibilità di movimento. Ma non solo: spesso la povera Eustochio si sentiva come bruciare tra le fiamme di un rogo; altre volte le sembrava che tante lame di rasoio le straziassero le carni. Un giorno il demonio la portò addirittura su un’altissima trave e, tra lo sgomento generale, minacciò di gettarla a terra se non avesse rinnegato Cristo; fortunatamente sopraggiunse il suo confessore che la salvò scacciando il demonio con gli esorcismi di rito. Un’altra volta il diavolo le puntò un coltello al petto minacciando di colpirla al cuore. Ma ella, incrollabile nella sua fede, gli rispose di inciderle sul petto dalla parte del cuore il nome di Gesù. A seguito di tutte queste sofferenze, le consorelle cominciarono finalmente ad averne compassione e la portarono nella Basilica di Santa Giustina a visitare la tomba di San Luca, protettore degli indemoniati: da questa visita ella trasse molto beneficio. Eustochio si confessava spesso e ogni sette giorni si comunicava. Finalmente, all’inizio del 1465, fu ammessa al coro e il 25 marzo alla professione. Essendo molto debole per le vessazioni del demonio e per le penitenze che s’imponeva, non poté nemmeno alzarsi dal letto per andare in Chiesa a ricevere il velo nero. Pertanto, il 14 settembre del 1467 – festa dell’Esaltazione della Santa Croce – lo ricevette, invece che dal Vescovo, dal confessore che glielo portò a letto. Sei giorni dopo, rimessasi in forze, tanto che alle sorelle parve un miracolo, poté recarsi in Chiesa a ricevere ufficialmente il velo, ma con un semplice sacerdote, perché nella sua umiltà non voleva che il Vescovo venisse scomodato. Eustochio conduceva sempre una vita esemplare, rinunciava ai più piccoli piaceri come a ricamare, attività in cui era bravissima, e ad andare in parlatorio. Stava sempre sola, meditava sui libri spirituali, e aveva frequenti e edificanti colloqui col confessore intorno ai problemi dell’anima. Leggeva spesso la Sacra Scrittura, soprattutto le Epistole di San Paolo. Giudicando di non dover possedere nulla per sé, diede alla Badessa la chiave della cassettina dove teneva le sue povere cose e quasi tutte le altre monache ne seguirono l’esempio. Nel coro, la povera Eustochio scelse il posto più nascosto, perché i suoi occhi non si posassero sui fedeli o sul celebrante. Serviva e obbediva a tutte le monache, pregava per loro come anche per la salvezza dei suoi genitori. In tutte le vessazioni non si lamentava mai, anzi sorrideva sempre e ringraziava il Signore. La sua grande fede era animata dalla profonda convinzione che la vita terrena è soltanto una prova a cui Dio sottopone ciascun uomo in vista del premio o del castigo eterno. Appunto per questo riteneva di essere particolarmente fortunata per quelle terribili vessazioni che mettevano a dura prova la sua fede in Cristo. Non paga di quei tormenti che le procurava il demonio, s’imponeva da sé altre penitenze: ad esempio mangiava pochissimo, una sola volta al giorno, verso sera. E inoltre, pur essendo tanto debole da doversi reggere con un bastone, a ventitré anni continuava a digiunare due giorni alla settimana. Rifiutava ogni vanità, possedeva una sola veste, e pur soffrendo d’insonnia, si alzava prestissimo la mattina per recarsi in Chiesa a pregare. Sempre per non indulgere alla benché minima gioia dei sensi, non si concedeva mai la vista di un oggetto curioso, né il piacere di una vivanda gustosa o lo svago di una semplice passeggiata… A causa di queste continue privazioni, la sua bellezza, per essendo giovanissima, era completamente sfiorita, e il suo fisico debilitato. Ma non la sua mente e il suo cuore, che restavano sempre fermamente ancorati in Cristo. Dai 23 ai 25 anni pregò continuamente, comprendendo ormai di essere vicina alla morte. E per vincere quel naturale timore che il pensiero della morte suscita in ogni essere umano, volle essere presente nel momento del trapasso delle cinque consorelle che resero l’anima a Dio nell’ultimo anno della sua vita. Il demonio negli ultimi anni della sua vita la vessò in maniera ancora più dura, cercando invano di tagliarle le arterie, tanto che quello che usciva dalle sue ferite non sembrava più nemmeno sangue, ma acqua sanguigna. Undici giorni prima della sua morte, le vessazioni fisiche aumentarono di intensità e frequenza. Poi il demonio cessò di tormentarla nel corpo, provandola invece nello spirito: le procurava visioni di divertimenti sfrenati, di orge, bagordi; la terrorizzava dicendole che certamente sarebbe andata all’inferno, sperando, in questo modo, di suscitarle disperazione e cattivi pensieri. Ma Eustochio non cedeva alle tentazioni e ai tormenti, ammonendo le sue consorelle che neppure in punto di morte possiamo essere certi della nostra salvezza, poiché basta un unico cattivo pensiero per rendere vana la fatica di tutta una vita condotta santamente. Ormai la sua vita volgeva al termine: sette giorni prima della sua morte, raccogliendo le sue ultime forze, Eustochio poté andare in Chiesa per prendere il Viatico, e fu quella l’ultima volta che vi si recò. La domenica precedente la sua morte chiese di potersi confessare, sentendo che sarebbe stata l’ultima. Pregò poi Eufrasia – la sua consorella più cara – di non lasciarla sola in quella notte. In quelle ultime ore Eufrasia la vegliava amorevolmente, standole accanto nell’oscurità della sua celletta, quand’ecco che verso mezzanotte un rumore cupo e improvviso la fece trasalire: un rumore come di qualcuno – riferirà Eufrasia – che cerca di arrampicarsi lungo il muro della cella come per uscirne. Dopodiché la cella tornò nel silenzio più assoluto, e il chiarore argenteo dei raggi della luna che filtravano dalla finestrella fecero apparire agli occhi di Eufrasia la serena bellezza di quel volto non più turbato dalla presenza diabolica. Il giorno successivo Eustochio era ancora in vita, composta nella sua serenità. In uno sforzo finale, chiamò a sé la Badessa e le altre monache per dar loro l’ultimo saluto. Chiese perdono del cattivo esempio e del disturbo che aveva arrecato con i suoi travagli. Poi chiuse gli occhi e, senza che nessuno se ne accorgesse, come se si fosse dolcemente addormentata, spirò. Era il lunedì del 13 febbraio del 1469. Immediatamente dopo la sua morte numerosi furono i prodigi che ne confermarono la santità. Nel momento in cui ella spirava, il confessore si addormentò e gli apparve in sogno la Beata rilucente di gloria che gli disse: «O quanta dolcezza, o quanta allegrezza, o quanta beatitudine!». Poi scomparve ed egli si destò con una soave dolcezza nel cuore. In quella stessa ora – nell’ora della morte – ad alcuni cittadini parve di vedere l’immagine di Eustochio che ascendeva al cielo. E così in città si venne a sapere della sua morte, prima ancora che la notizia fosse data ufficialmente dalle monache. Coloro che, mentre era in vita, l’avevano calunniata, la piansero pentiti. Poi, quando le consorelle si accinsero a compiere le pietose pratiche funebri – com’era d’uso – nel lavarne il corpo trovarono inciso all’altezza del cuore il nome IESU, segno evidente dell’amore ch’ella portava a Cristo anche nei tormenti più atroci. Dal suo corpo emanava un soave odore che non trovava riscontro in alcuno dei profumi esistenti sulla terra e che venne perciò definito dai biografi «odor di Paradiso». Tale profumo perdurò per anni nei pressi del sepolcro; era però percepibile non da chi vi si accostasse per curiosità, ma solo da chi vi si recava per pregare. Dopo averla lavata, dunque, le consorelle la vestirono dell’abito monacale e la seppellirono in terra nel chiostro del monastero. Intanto si sparse dentro e fuori città la fama della santità di Eustochio, accresciuta dai numerosi prodigi, tanto che si composero inni e preghiere in suo onore, sebbene il culto non fosse stato ancora autorizzato. Grande era l’afflusso dei fedeli al suo sepolcro, soprattutto degli indemoniati che ricevevano molto giovamento e che spesso – grazie a quelle visite – venivano completamente liberati dai disturbi diabolici. Tre anni e nove mesi dopo la sua morte, moltiplicandosi i miracoli e perdurando il profumo, il vescovo Jacopo Zeno accordò il permesso di riesumarne i resti per riporli in una sepoltura più degna. La traslazione avvenne il 16 novembre del 1472. Benché Eustochio fosse stata inumata senza cassa, si ritrovarono il corpo e i vestiti intatti. La salma fu coperta di nuove vesti e le vecchie vennero usate per farne delle reliquie; quindi, venne deposta in una cassa di cipresso nel Capitolo del monastero. Tre anni dopo, il 14 novembre del 1475, la cassa fu trasportata in chiesa e posta alla sinistra dell’altare maggiore, in un monumento di marmo, sulla cui lastra fu inciso «Beata Eustochio Paduana». Nel 1676 fu costruito un apposito altare, dove però il corpo non era sempre visibile. Poiché il popolo voleva poterlo vedere, intorno al 1720 le monache fecero erigere un altare di marmo sopra il piano del quale, tra le colonne, fu posta una tela con l’effige del transito della Beata. Posto in un’arca di cristallo, il corpo adesso era visibile dietro una grata d’oro. Dato che sin dalla sua morte moltissimi erano stati i prodigi, la sua prima sepoltura non era stata richiusa, ma soltanto coperta con delle tavole. Dopo il giorno dell’Epifania del 1473, cominciò a sgorgare da questa fossa un’acqua limpidissima che venne definita non di natura terrena. Dato che quest’acqua aveva effetti prodigiosi sugli ammalati, veniva attinta di continuo e, ciò nonostante, risaliva sempre allo stesso livello. In alcuni periodi cessava di sgorgare, ma poi tornava anche in quantità maggiore, persino nei periodi di siccità, quasi a confermarne la natura miracolosa. Poi nel 1805 cessò per sempre di sgorgare. Il 12 settembre del 1806, alle due del mattino, il corpo della Beata fu traslato di nascosto nella Chiesa di S. Pietro; durante il tragitto scomparvero, forse rubate, due dita e una parte della mano destra della Beata. Nonostante le precauzioni prese, perché il trasportò rimanesse segreto, vi accorse una gran folla che seguì il corteo finché il corpo fu collocato nella cappella che guardava il Capitolo delle monache di San Pietro. La Beata Eustochio è invocata contro ogni sorta di diaboliche tentazioni, contro le possessioni, le infestazioni spiritiche, le vessazioni sataniche, le calunnie, le ingiustizie e le prepotenze, per sventare le macchinazioni e gli inganni diabolici.

A motivo della sua vita costantemente in lotta col Maligno, la Beata viene anche considerata la speciale protettrice degli esorcisti.

PREGHIERA ALLA BEATA EUSTOCHIO (Imprimatur Mons. Dr. Mario Morellato. Vic. Gen. – Padova 29/3/2000)

O potente nostra avvocata, Beata Eustochio, tu fosti suscitata fra noi da Dio, per essere un luminoso modello di virtù, soprattutto di straordinaria pazienza. La tua vita, segnata dalla Croce, ne è prova evidente. Prega ora per noi! Ottienici, ti preghiamo, la grazia di camminare sulla scia dei tuoi esempi e di considerare le tribolazioni e le sofferenze di questa vita, come un dono che ci viene dalla mano paterna di Dio, per il nostro vero bene. Fa’ che abbracciamo, a tua imitazione, con pace e fiducia, le sofferenze della nostra vita, certi di essere un giorno premiati dal Dio della pazienza e della consolazione. Sia Egli stesso l’abbondante ricompensa, per quanti si sottomettono volentieri alle sue amabilissime disposizioni. Così sia.

Padre – Ave – Gloria

– prega per noi Beata Eustochio,

– affinché siamo resi degni delle promesse di Cristo.

Preghiamo.

Onnipotente Eterno Dio, che rafforzasti la Beata Vergine Eustochio contro le potenze delle tenebre con una ammirevole virtù e un’invincibile pazienza, per i suoi meriti e per le sue preghiere, concedici, una volta liberati da ogni demoniaca influenza, di servirti con l’animo riposto in Te. Per Cristo Nostro Signore, Amen.

5 Pater e 5 Ave in onore delle 5 Piaghe del Redentore

Selezione di haiku n°106


sole nel cielo -
due aironi volano
lassù al freddo

germoglio verde
che cade nel torrente -
col plenilunio

ramo gemmato
sotto la luna piena -
ruscello cheto

zampa solerte
del gatto sospettoso -
tardi l'albeggio

nel folto bosco
un porcospino sbuffa -
greve calore

piove sull'atto
di carezzare lento -
gatto carino

un lupo morde
con ferocia la preda -
la neve langue

fiore candido
nella culla materna -
bel crisantemo

canta al cedro
un pettirosso solo -
tiepido giorno

nel mio giardino
un crisantemo rosso -
ombra di nube

si posa quaggiù
il passero sparuto -
tra le primule

stilla la goccia
sul ciliegio fiorito -
alba pulita

nido di gazza -
all'ombra del cipresso
edera verde

cedro lugubre
nel freddo agita fronde -
quel sentiero

fiori al suolo
dai ciliegi caduchi -
nel riverbero

un filo d'erba -
campo con tarassaco
nella rugiada

calma nascita
delle celesti nubi -
fiore di melo

Onice nera
nel selciato umido -
tenere foglie