Non dimentichiamo i morti sul
lavoro, italiani e internazionali, e in particolare le più di duecento vittime
del recente crollo di una fabbrica fatiscente in Bangladesh: quelle operaie e
quegli operai lavoravano per pochissimo,
soltanto per il pane quotidiano e sono morti senza un perché,
semplicemente come gli ingranaggi di un disumano meccanismo: le loro anime
trovino la pace eterna. Per tutelarsi dagli inganni di chi ci vuole segregare
nel limbo degli imbecilli, occorre sviluppare un profondo senso critico e
operare un sano discernimento sulla base di criteri morali quanto
intellettuali; imparare a vivere significa imparare l’adattamento al
cambiamento, e se qualcosa nella nostra vita cambia andando storto e noi
finiamo col “ crashare ” siamo
letteralmente al fallimento e non a una svolta che con la forza di volontà,
possiamo far diventare positiva. Un crash nella vita può voler dire anche
suicidio, forse non sempre fisico, forse soltanto morale e psicologico, ma pur
sempre doloroso e rovinoso per il proprio destino di salute e di equilibrio. Il
limbo degli imbecilli è quel territorio borderline tra la consapevolezza della
propria condizione umana e il baratro del nulla nel disordine più totale; il
limbo degli imbecilli è fatto per coloro che perdono la bussola dove l’ago traccia
la rotta in un mare di certezze granitiche che tutto a un tratto diventano
labili e illusorie, è il limbo dei non pensanti, delle teste vuote e di quelli
che si accontentano del benessere oltre misura, senza accorgersi o meglio convincersi che il mondo è
fatto per due/terzi da persone che soffrono e che vivono a fatica il proprio
quotidiano, un mondo dove più dei due/terzi della popolazione è fatto da
sfruttati e meno di un/terzo sono gli sfruttatori che beneficiano del prodotto
interno lordo del pianeta, prodotto di consumo che tante operose formiche
accumulano per quei pochi che le derubano dei diritti e della dignità, all’uopo
della stessa vita. Questo è il limbo degli imbecilli, è l’occidente grasso e
crapulento, dove si consuma l’epula gogliardica sugli immensi cimiteri delle
vecchie fabbriche cadenti asiatiche, africane e sud americane, tombe fatte da
macerie di edifici che ricoprono cadaveri di sepolti vivi, corpi di coloro che
hanno contribuito al benessere dei tiranni che agitano speranzosi le bandiere
dei mercati economici, come bandiere nere di pirati con teschio e ossa su navi
fantasma, che sono le nazioni egemoni di quella grande prostituta che è la
comunità internazionale del profitto e della ricchezza a prezzo del sangue dei
più deboli, a prezzo del sangue dei poveri operai pagati una miseria per
sopravvivere tra le immondizie di esistenze in discarica, fantasmi che si
aggirano tra i rifiuti smaltiti dalle città senza più anima e prive di cuore e
di compassione; il limbo degli imbecilli è il limbo di chi fa finta di non
vedere e afferma con presunzione che tutto va per il meglio, quando il mondo è
una macchina antropofaga in cui si macinano ossa umane, è il limbo di chi ha
voluto fermarsi a tempo indeterminato nella disumanità vorace della logica di
produzione, consumo e profitto, logica di chi ha smarrito il senso dell’umano
ed è caduto nel senso di un vuoto affermarsi di ombre senza futuro, presagio di
maledizione, profezia di decadenza in favore della crescita dove ciascuno starà
bene, ma in realtà i più periranno e la demografia rientrerà in pareggio con l’ingiustizia.
Il limbo degli imbecilli è il nostro limbo, un territorio in letizia di festa
fatto di false luci diurne, per non vedere in cielo le nubi nere della crisi universale
senza ritorno, perché coloro che muoiono non ritornano, ma ci ammoniscono sul
comune e assurdo destino, in quanto senza la saggezza dei gufi e prigionieri
dell’avidità dei corvi, siamo preda del diavolo e responsabili del nostro lento
e inesorabile declino, i cuori che convulsano nella ridicola soddisfazione
materiale e si spengono suicidandosi in un lucignolo fumigante senza più storia,
senza più passato.
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