Nel profondo della natura della
nostra stirpe esiste un archetipo fondamentale, quello che si può rappresentare
nella figura del dio pagano Abraxas, la personificazione manichea dell’equilibrio
tra le forze del bene, la luce e le forze del male, le tenebre: in Abraxas
sussistono e convivono tutte quelle realtà che sono simmetricamente
contrapposte, come Dio e il diavolo; Abraxas è in realtà la forma dicotomica
tra lo stato di grazia santificante e lo stato di peccato mortale, tra Paradiso
e inferno, è la figura stereotipata della caduta dell’umanità primigenia nel
peccato originale e al contempo il passaggio dalla perdizione alla redenzione,
il primo uomo Adam e l’uomo nuovo, il Cristo Gesù, il primo l’artefice della
rovina, il secondo l’artefice della restaurazione; in Abraxas converge questa
dinamica di passaggio in una direzione e all’inverso, Abraxas è il dio dell’ordine
cosmico, il dio del dualismo e dell’ordine perfettamente simmetrico. Ovviamente
Abraxas è soltanto un mito antico ma rispecchia come molti altri miti antichi
elementi dubbi e contraddittori della teologia più genuina, e nel caso
specifico intendo la teologia del peccato originale e quella frattura
spirituale che si riversa nella materia, portando ad essa un serio disordine
che travalica ogni possibilità di comprensione e di analisi soddisfacente, cioè
il mistero del male: un pianeta biologicamente fecondo tratto dall’orbita più
conveniente alle condizioni della sua sussistenza, l’orbita della stella da cui
trae energia per pulsare di vita, brucia nel calore più veemente o si spegne
nel freddo più inesorabile, senza un ordine primario l’equilibrio è
inevitabilmente compromesso: fuori dalla comunione con Dio c’è essenzialmente
la morte, questo è il concetto chiave che spiega il peccato originale. Nella
natura umana di ogni persona è presente l’archetipo derivante dal peccato delle
origini, l’adversus Deus, l’opposizione
al proprio Creatore, l’antitesi alla tesi dell’Amore, tutto quello che è
riassumibile dal termine per molti scontato e comprensibile ma in verità molto
ambiguo che è “ odio ”; l’avversione a Dio è la sostanza della natura che
corrompendosi diventa substantia malum,
non tanto la sostanza del male ma il male della sostanza, la demonizzazione
dell’essere, della persona, la dissoluzione dell’essenza nel male, dove per
essenza si intende la proprietà positiva dell’essere, la relazione di
sussistenza con il Bene assoluto e la conseguente separazione da esso, come una
stella morta che si inabissa nel vuoto oltre i bastioni dell’universo. Il mito
di Abraxas è la sintesi riconoscitiva della natura in sé stessa divisa e in
forte conflitto, una natura scissa tra due opposti in continua lotta, l’ispirazione
beatificante è la voce buona della coscienza che ci vuole redimere, la
tentazione subdola è il richiamo seducente del serpente che ci vuole perdere,
che ci vuole portare lontano dalla salvezza, cioè dalla realizzazione della
nostra natura nella comunione con il Bene sommo, Dio: il peccato originale ha
indebolito la nostra libertà ma non l’ha del tutto annientata e Cristo, il
nuovo Adam, ci fornisce la grazia per essere ancora più forti nella decisione e
nella perseveranza del bene morale, la fonte autentica e reale della nostra
beatitudine di redenti e figli di Dio; la realtà umana è la realtà interiore, è
la dimensione del cuore, tutta l’azione evangelizzatrice di Cristo andava
esortando le anime a scoprire e a valorizzare il mondo interiore, la dimensione
delle virtù spirituali, è in quel territorio a cui soltanto ciascuno di noi
personalmente può accedere, che si compie la salvezza o la perdizione della
nostra anima, il cuore umano è il campo di battaglia tra le forze del bene e le
forze del male, l’archetipo primordiale è la forma della prassi del nostro
cuore creaturale, nient’altro è lecito per la persona che compiere il suo
destino con l’ultimo approdo in Dio.
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