Sub tuum praesídium confúgimus,
sancta Dei Génetrix;

nostras deprecatiónes ne despícias in necessitátibus;
sed a perículis cunctis líbera nos semper,
Virgo gloriósa et benedícta.

sabato 15 settembre 2012

Monaci e combattenti, nel silenzio del deserto


Descrivere la solitudine come una condizione privilegiata sembrerebbe assurdo e tutti gli psicologi moderni sono concordi nell’affermare che la solitudine è una condizione di sofferenza, perché ogni persona ha bisogno dei suoi simili per trovare la propria realizzazione e la felicità, un buon equilibrio psichico; nei deserti del nord Africa e dell’Asia minore si diffusero nei primi secoli del cristianesimo i monaci, che abbandonando il mondo per una vita di penitenza, cercavano Dio e la perfezione evangelica: alcuni erano anacoreti, cioè monaci solitari e altri cenobiti, cioè monaci riuniti in piccole comunità cenacolo; quella scelta di vita definì l’inizio di tutto il monachesimo cristiano. I monaci anacoreti vivevano da soli, isolati dal mondo nel deserto e provvedevano al proprio sostentamento con il lavoro manuale, si ritrovavano insieme soltanto per celebrare l’Eucaristia: il loro combattimento spirituale era contro la propria natura incline al peccato, la carne con le sue passioni, contro il mondo che avevano abbandonato per abbracciare quella nuova forma di esistenza e contro il principe del mondo, cioè il demonio, quindi contro la malizia degli spiriti maligni che infestavano i deserti, il loro luogo privilegiato dove risiedere. Molti cercavano i monaci anacoreti per ascoltare la loro parola e ricevere da essi dei consigli e delle esortazioni, per essere da loro illuminati su varie questioni, soprattutto di carattere spirituale e morale, l’esercizio della carità li portava ad accogliere tutti con pazienza e sollecitudine e ad elargire l’aiuto necessario dalla loro maturità di figli di Dio; gli anacoreti vivevano in una estrema povertà e spoliazione materiale, il loro compagno prediletto era il silenzio, la loro forza principale era la preghiera incessante, lo stare sempre con il cuore alla presenza di Dio, là in quei luoghi desertici e solitari. Alcuni di quei monaci erano stati nel mondo persone importanti, persone ricche e potenti, ma per amore di Cristo lasciarono tutto per la desolazione del deserto, per la povertà materiale e la solitudine: vissero una vita longeva e raggiunsero una grande saggezza, si santificarono nel deserto praticando la perfezione delle virtù umane e cristiane, sconfissero il maligno in una lotta aspra e dura e furono degni di essere accolti alla fine del loro pellegrinaggio terreno, nel Regno di Dio, in Paradiso. Esistono delle raccolte scritte delle loro esperienze spirituali, degli apoftegmi, parola greca che sta a significare detti celebri con insegnamenti di tipo morale, una sorta di compendio delle loro vicissitudini di vita con una valenza pedagogica per il lettore, alcuni scrissero anche le loro biografie: il più grande e noto di questi monaci del deserto, fu sant’Antonio abate, un grande esempio di virtù e santità. Gli anacoreti sono lì nella storia ad insegnarci che la solitudine può diventare una grande risorsa per gli altri, anche se questa affermazione può sembrare un paradosso; nella solitudine possiamo incontrare il Signore e parlare con Lui, addirittura ascoltare la sua voce, lontani dal rumore e dal chiasso del mondo affollato e caotico; nella solitudine possiamo conoscere meglio noi stessi e gli altri, preparandoci all’incontro e al dialogo, affinché sia benevolo e costruttivo, realizzatore di conciliazione e pace. La solitudine diventa un dramma quando non è cercata e voluta, quando a imporla sono quelli che ci circondano, quando ci ritroviamo davanti a noi stessi in un vuoto spaventevole, perché abbiamo abbandonato la preghiera e con essa il Signore: la solitudine senza Dio è un baratro infernale, allora ci si affida alla stupida e superficiale compagnia dei balordi nei bagordi, con cui speriamo di riempire il vuoto esistenziale, questa è propriamente una grande tragedia giovanile dei tempi moderni, dove si è smarrito il valore del silenzio e dell’intima relazione con l’Assoluto e l’Eternità; purtroppo oggigiorno trionfa la mediocrità spirituale e il lassismo di chi si arrende subito davanti alle difficoltà di una vita autenticamente virtuosa: penitenza è una parola sconosciuta e priva di valore, ma i monaci dei tempi antichi conoscevano molto bene il suo reale significato; oggi ci si abbandona facilmente al vizio senza la consapevolezza della sua nocività per l’anima e si diserta il combattimento spirituale per una vita comoda e agiata, per l’illusione della felicità, per una felicità da belluini immersi nella fanghiglia della soddisfazione materiale. I monaci invece scelsero la via maestra che porta all’autentica felicità, ma prima di essa portarono coraggiosamente la propria croce seguendo la Croce di Gesù: prima viene la sofferenza, poi viene la gioia, prima le lacrime, poi il sorriso della beatitudine.

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